Il “Buon senso” nella “Buona scuola”
di Ivan Cervesato
I tuoi educatori non possono essere
niente altro che i tuoi liberatori.
(F. Nietzsche, Schopenhauer come educatore)
Datato 2 ottobre e in bell’evidenza sull’home page del sito web del Ministero dell’Istruzione: l’attenzione del Signor C., lettore curioso, è catturata dal comunicato-stampa, strumento tramite il quale l’Istituzione informa, con festosa solennità, delle proprie meritorie iniziative.
È quel singolare titolo ad attirare la sua attenzione: d’altro canto, i titoli non sono scelti proprio con questa finalità? Qui pienamente conseguita, perché il desiderio di saperne di più si fa immediatamente bruciante.
“Buon Senso”, al via progetto Miur-Laterza. Sperimentazione in nove scuole, studentesse e studenti a lezione di pensiero critico. Fedeli: “Iniziativa per le nuove generazioni che favorisce comprensione del mondo e cittadinanza attiva”. Laterza: “Buon senso è giusto equilibrio tra razionalità ed emotività, tra interessi immediati e di lungo periodo, tra idee generali ed esperienza individuale”.
Si tratta – lo si capisce subito – di un progetto che coinvolge il Miur, la casa editrice Laterza e la RAI (TGR RAI e RAI Cultura) e che si rivolge ai fortunati studenti di nove istituti scolastici italiani di tre città – Bari, Roma, Torino (almeno in questa prima fase “sperimentale”: nella prospettiva – si suppone – di una successiva estensione del progetto ad una più larga platea di meritevoli).
Il comunicato, impiegando l’efficace tecnica dell’in medias res, entra subito nel merito: l’obiettivo è quello di fornire a studentesse e studenti (il Signor C. è sempre ammirato dall’impeccabile uso ministeriale di sapienti espressioni “politicamente corrette”) gli strumenti per imparare a decodificare il flusso dell’informazione, aiutandoli a formarsi un’opinione corretta e completa sui temi di maggiore attualità e a comunicarla efficacemente. (…) Le studentesse e gli studenti saranno chiamati ad approfondire, di volta in volta, un argomento diverso. Si parte dal tema attuale e dibattuto dell’immigrazione. Con il sostegno di un docente-tutor, ragazze e ragazzi dovranno documentarsi, esercitare la capacità di risalire alle fonti originali, dovranno confrontarsi su posizioni diverse, sviluppando o potenziando le loro competenze logiche e dialettiche. Il progetto nasce dall’esigenza di strutturare e consolidare in studentesse e studenti le competenze per leggere la realtà che li circonda, formarsi una propria opinione e comunicarla efficacemente, sostenendo e sollecitando una loro più ampia partecipazione come cittadine e cittadini alla discussione pubblica. Ragazze e ragazzi partecipanti, alla fine del percorso, dovranno preparare un prodotto culturale, realizzando elaborati (saggi brevi, reportage, dibattiti, video o spettacoli teatrali) che saranno selezionati e valutati nell’ambito di un concorso dedicato.
Il comunicato prosegue rassicurante: al progetto parteciperanno numerosi “partner qualificati”, tra i quali spiccano la Banca d’Italia, la Gazzetta del Mezzogiorno e l’Istat. Non mancherà la disponibilità a sostenere l’iniziativa di esperti, personalità dello spettacolo e della comunicazione, tra i quali si trovano giornalisti, sociologi, scrittori, funzionari ministeriali, critici musicali, antropologi, ecc.
“Sono particolarmente soddisfatta di presentare oggi questo progetto che abbiamo fortemente voluto e che rappresenta un’offerta importante che facciamo alle scuole. Quelli proposti in questo progetto sono percorsi di cittadinanza attiva e consapevole per le nostre ragazze e i nostri ragazzi – ha dichiarato la Ministra Valeria Fedeli -. Con i partner dell’iniziativa stiamo prendendo un impegno significativo, stiamo condividendo la responsabilità di educare le nuove generazioni, di fornire loro strumenti e conoscenze per far sì che possano interpretare il mondo e comprendere i fenomeni e le questioni che interessano le società in cui viviamo. Società che sono sempre più complesse e globali, attraversate da mutamenti repentini. Questo schieramento di forze e di volontà è un chiaro esempio di cosa sia una forte alleanza educativa, di come si possa sostenere in maniera efficace e convinta le scuole nei loro percorsi formativi. Di come sia necessario il contributo di tutti, ciascuno per le proprie funzioni e per la propria parte di responsabilità. Un grazie, quindi, è doveroso ai partner e alle scuole partecipanti”, ha concluso la Ministra.
Sulle prime, un po’ stordito da tale spiegamento di forze, al Signor C. l’iniziativa di impartire “lezioni di pensiero critico” a “studentesse e studenti” appare meritoria (“Quanto bisogno c’è, di pensiero critico oggi!” esclama, subito pentendosi di avere impiegato espressioni recriminatorie, alla maniera degli anziani laudatores temporis acti). Peccato che di tale fortuna possano avvalersi solo gli studenti di nove scuole d’Italia, pensa.
Eppure, dopo appena qualche istante, alla mente del Signor C. si affaccia la sgradevole sensazione che qualcosa non quadri: il tarlo di un subitaneo dubbio comincia a farsi sentire.
Perché il Signor C., ora che ci pensa un po’ meglio, ha sempre creduto che il primo, fondamentale compito della Scuola (quella con la maiuscola e senza aggettivi) sia e sia sempre stato proprio quello di educare al pensiero critico. Ha sempre pensato che proprio questa sia l’essenza della Scuola (che poi l’apprendimento abbia una sua spendibilità nel mercato del lavoro è magnifico valore aggiunto, certo).
Il Signor C. è poi sempre stato convinto di un’altra cosa: che lo sviluppo di capacità di riflessione e di decodifica della complessità del mondo (“fornire loro strumenti e conoscenze per far sì che possano interpretare il mondo e comprendere i fenomeni e le questioni che interessano le società in cui viviamo”, secondo le belle espressioni scritte per il Ministro) dovrebbe costituire il fine e delineare la fisionomia di ogni insegnamento, di ogni educazione e di ogni istruzione (perché “educazione ed istruzione”? al Signor C. viene in mente la lezione gentiliana: istruire è eo ipso educare).
E allora – egli si dice –, un passo sulla via dell’educazione al pensiero critico sarà fatto quando, ad esempio, letta una pagina di Dante o di Leopardi, tu maestro ed io scolaro cercheremo insieme la Verità e in tale ricerca non saremo più distinti, ma saremo uno. Ecco ancora una volta tornargli alla mente il “vecchio” Gentile che, ne La riforma dell’educazione, scriveva: “il vero maestro è interno allo stesso animo dello scolaro, anzi è lo stesso scolaro nel dinamismo del suo sviluppo”, in un rapporto di “unità nello spirito” che non sacrifica l’educato all’educatore né l’educatore all’educato (è quello stesso Gentile che un tempo ricoprì la carica di Ministro della Pubblica Istruzione: il Signor C. lo sa, ma fa ugualmente una certa fatica mentale – chissà perché, forse l’età… – a porre in relazione presente e passato).
Ma l’educazione al pensiero critico, che è poi educazione sia alla verità, sia alla stessa libertà (esiste libertà che non sia vera? esiste verità che non sia libera?), passa allora per qualunque insegnamento – nessuno escluso – che aspiri ad essere vero, efficace, autentico. Lo studio della storia dell’arte, del pensiero filosofico, delle discipline tecnico-scientifiche, dei costrutti astratti delle matematiche, delle mutevoli vicende della storia umana, della musica, delle lingue e delle letterature: al Signor C. pare che nella Scuola ogni disciplina debba concorrere alla formazione della personalità dell’alunno, alla sua educazione al pensiero critico, senza che vi sia bisogno di alcun “progetto”, di “esperti”, di “partner qualificati”! (banche, gazzette, istituti di statistica…).
Perché se così non è – viene ancora da pensare al Signor C. –, se educare al pensiero critico necessita cioè di “specifici progetti”, peraltro affidati ad attori che si occupano di tutto fuorché di educazione, allora in primo luogo si sta dicendo: maestri e professori, in quanto incapaci di svolgere il vostro precipuo compito, siete degni di commissariamento (l’operazione gli pare d’altronde coerente con la sistematica svalutazione e mortificazione della funzione docente, perseguita con lucida costanza negli ultimi decenni, al di là di dichiarazioni di circostanza ad uso giornalistico, nella sostanza enfatiche e puramente retoriche).
Ma – si chiede il Signor C. che si sente invadere da un sentimento di leggero sgomento – lungo questa china non si giunge alla certificazione della morte stessa della Scuola, al riconoscimento esplicito, ufficiale, della sua sostanziale scomparsa, almeno nelle forme che sono state disegnate da una millenaria tradizione?
Se è così, allora è giunta l’ora del Tramonto di una certa idea di Scuola: evento a suo modo grandioso, come grandioso è il Tramonto di ogni grande struttura di pensiero, come la fine di ogni grande civiltà. E la luce del Tramonto, riconosciuto come tale, riesce forse a rischiarare, a illuminare di significato processi altrimenti interpretabili con difficoltà: ecco che nell’ora dell’Occaso assume senso la sostituzione di “antichi” valori e contenuti con pure procedure formali, definite esclusivamente in termini di praticabilità tecnica, con le quali si tenta (peraltro inutilmente) di rispondere all’ “emergenza educativa” di cui tutti parlano.
È forse questo processo di desertificazione – pensa il Signor C. – a rendere necessario il disperato tentativo di supplire alla carenza di legittimazione della Scuola (ma egli sospetta che il processo sia più generale ed investa l’intera società occidentale) sostituendo l’educazione con un lungo elenco di educazioni, di progetti (appunto) o di attività le più svariate (al Signor C. viene in mente l’ultima arrivata: la cosiddetta alternanza scuola-lavoro, di taglio ottocentesco ma spacciata per formidabile conquista di moderna ed efficiente civiltà).
Ed è questa scuola che, avendo rinunciato ad impiegare gli strumenti della cultura, li ha sostituiti con interminabili discussioni su competenze e metodo (l’ossessione metodologica, incapace di capire che non è il maestro ad avere bisogno del metodo, ma semmai il metodo ad avere bisogno del maestro!). È questa scuola che finisce per non assolvere più ad alcuna reale funzione educativa, pur restando paradossalmente invischiata in infinite discussioni sul merito (degli studenti anzitutto, ma oggi anche dei professori e, in misura molto più marginale, dei presidi): in fondo, discussioni accademiche ed astratte, in quanto condotte entro il perimetro di una realtà strutturalmente incapace di riconoscere e promuovere i migliori.
Ma allora, si chiede il Signor C., quanto deve preoccuparsi una scuola nella quale serve un “progetto” (peraltro affidato con soddisfatta enfasi a chi di istruzione si occupa al più nel tempo libero: a turisti della didattica e della pedagogia…) per educare i propri studenti ad esercitare la capacità di risalire alle fonti originali, a confrontarsi su posizioni diverse, sviluppando o potenziando le competenze logiche e dialettiche?
Quanto deve preoccuparsi una scuola che necessita di una “progetto” per strutturare e consolidare in studentesse e studenti le competenze per leggere la realtà che li circonda, formarsi una propria opinione e comunicarla efficacemente?
Quanto deve preoccuparsi una scuola che non si pone più come obiettivo della propria quotidianità l’educazione alla cultura, al pensiero critico, alla verità e (dunque) alla libertà, ma il “buon senso”?
Si pensa davvero che i giovani debbano confrontarsi con gli innumerevoli “temi difficili” del pensiero, della società e dell’esistenza stessa facendo leva non già sul tentativo di risposta delle migliori menti che ci hanno preceduto, ma sulla categoria del “buon senso”? Questo è il traguardo cui secoli di riflessione filosofica e pedagogica hanno finito per condurre, nel XXI secolo?
Alla celebrazione di quello stesso “buon senso” (che al Signor C. sembra poi non differire molto dal “senso comune”), in base al quale il bambino – o il non-acculturato – ritiene che il Sole si muova attorno ad una Terra piatta? Quello stesso “buon senso” che proprio il percorso di istruzione-educazione deve intellettualmente sopraffare – e con quale sforzo! – per consentire alla fine la gioiosa comprensione di vette del pensiero quali la relatività einsteiniana, la metafisica hegeliana, l’arte di Picasso (così drammaticamente sprovviste di “buon senso”…). Si tratta di un passo avanti o non piuttosto di spaventoso regresso?
Il Signor C. è ormai invaso dai dubbi, dalle perplessità e persino da un senso di tristezza. La riflessione l’ha confuso.
Pensa, un po’ depresso: “Meglio spegnere il pc. Anzi: era meglio non accenderlo proprio e darsi invece a qualche buona lettura…”.
Poi però, quando meno se lo aspetta, un pensiero felice gli si affaccia improvvisamente alla mente: la scuola frequentata da sua figlia non “sperimenta”.
Ed è con un sorriso che abbandona la scrivania.