Nuovo Governo delle Istituzioni scolastiche
ma l’Autonomia è ancora debole
di Gian Carlo Sacchi
L’autonomia scolastica è l’orizzonte in cui si colloca il governo del sistema scolastico italiano, dopo i decreti delegati del 1974 che istituivano la “partecipazione” della comunità alla vita della scuola e tanti anni di sperimentazione che cercavano di collegare la funzione formativa della stessa con lo sviluppo del territorio.
Questa nuova prospettiva è contenuta nella riforma degli enti locali del 1990 (L. 142), della Pubblica Amministrazione del 1997 (L. 59), che ha iniziato una azione di decentramento delle competenze statali verso gli enti locali (D.Leg.vo 112/1998) e ha dato il via alla costruzione dell’impalcatura della scuola autonoma (DPR 275/1999), con il conferimento della personalità giuridica alle scuole nell’ambito di un’azione di programmazione territoriale (DPR 233/1998).
Questo impianto, anche se ancora lontano dall’essere compiutamente realizzato ha già subito cambiamenti (L. 111/2011), ma comunque non ha perso valore in quanto sancito dalla modifica del titolo quinto della Costituzione (anch’esso però non ancora applicato) (L.C. n. 3/2001) ed è in qualche modo confermato dalla normativa sul così detto federalismo fiscale (L. 42/2009 e D.Leg.vo 68/2011) nonché dai recenti provvedimenti sulla semplificazione (DL 5/2012).
La legislazione richiamata sta cercando, pur non senza contraddizioni, di ricostruire un governo del sistema educativo – scolastico – formativo ai diversi livelli di organizzazione territoriale, che riparta dal basso e cioè dal riconoscimento, secondo quanto indicato dalla predetta norma costituzionale, degli organi della Repubblica tra i quali è “fatta salva” l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 117 della Costituzione).
L’autonomia dunque non è concessa, in una prospettiva meramente decentralistica dell’ordinamento statale, ma è riconosciuta, e quindi ha bisogno oltre che di avere spazio di darsi una configurazione istituzionale: autonomia statutaria. La situazione ricalca molto, dicono gli studiosi, quella universitaria, entrambe infatti sono state identificate dalla predetta legge 59 come autonomie funzionali. Per l’università però tale impostazione era già praticata ed è stata riconfermata, mentre per la scuola il centralismo statale ha di fatto sempre impedito di arrivare a soluzioni veramente autonomiste, sia che si tratti di passaggi di competenze agli enti locali/autonomie scolastiche, sia che si voglia valorizzare il “sistema formativo” come una componente veramente autonoma nell’esercizio della funzione culturale ed educativa pur all’interno di un “sistema nazionale dell’istruzione”, anch’esso ridefinito dalla L. 62/2000.
E’ quest’ultimo approccio infatti quello assunto dalla predetta riforma costituzionale, ma, come si è detto, molto resta ancora da fare.
Proprio per rinforzare tale impostazione si deve pensare ad una revisione della governance interna agli istituti, ferma ai decreti del 1974; con la proposta di legge licenziata alla VII Commissione della Camera si cerca dunque di rivedere organi, processi e strumenti nella più recente visione della piena realizzazione di un’autonomia scolastica come parte del sistema nazionale dell’istruzione, ma anche parte inscindibile della comunità locale.
Nell’ambito del “sistema delle autonomie” deve esistere dunque un’autonomia statuaria che dia valore alla personalità giuridica e porti le scuole autonome allo stesso livello di altri enti territoriali. Sono gli statuti delle scuole infatti che devono saper interpretare le “norme generali dell’istruzione” e tradurle in offerta formativa, nell’ambito dei “livelli essenziali delle prestazioni”e per la crescita dei singoli sul piano umano, culturale e professionale, come potrà essere indicato dagli standard nazionali e locali perché sia riconosciuto il diritto alla formazione a tutti i cittadini italiani.
In tale contesto, famiglie, studenti, comunità locali, docenti dovranno potersi muovere autonomamente per garantire un’offerta sempre più qualificata in un’ottica generale ma che sia aderente alla realtà in cui la scuola opera, per poter incontrare i problemi e le aspettative che tale realtà esprime e nello stesso tempo contribuire a “collocare nel mondo”.
Le scuole autonome sono il punto di riferimento e la loro consistenza deve essere oggetto di un’attenta azione di programmazione territoriale e gestione della spesa secondo un’azione multilivello, come indicato dai predetti provvedimenti sul federalismo fiscale. Reti e consorzi sono strumenti per potenziare l’autonomia e ottimizzare l’uso delle risorse, in vista del raggiungimento di migliori e più qualificati obiettivi.
Gli organi di governo prevedono la distinzione delle funzioni di indirizzo, di quelle professionali in senso stretto e di gestione, pur in una visione e pratica di integrazione tra di loro.
Il dirigente scolastico è il rappresentante legale dell’istituzione, presiede i momenti strategici per l’impostazione della programmazione e risponde dei risultati; i docenti, sul piano individuale e collegiale, hanno “libertà di insegnamento” ma sono responsabili della progettazione e conduzione dell’impianto didattico, nonché della valutazione degli alunni; la comunità locale è corresponsabile, sul piano dei bisogni formativi e delle risorse, e interviene, anche attraverso la compartecipazione alle entrate fiscali, per quanto riguarda il sostegno all’intero sistema: essa deve poter partecipare tenendo presente l’integrazione tra i servizi educativi del territorio.
La presidenza del Consiglio dell’Istituzione Scolastica viene mantenuta ad un membro eletto dalle famiglie, che con il dirigente scolastico ed altre componenti saranno coinvolte nelle modalità di rappresentanza della stessa, sia per intraprendere intese e azioni locali, sia nei processi elettivi di livello regionale e nazionale.
La scuola veramente autonoma non potrà sottrarsi a processi valutativi per corrispondere agli standard indicati a livello di sistema, ma anche come capacità di autoanalisi delle proprie attività, di confronto dei risultati e con le aspettative e su come riesce ad promuovere il successo formativo, anche attraverso una autonomo nucleo di valutazione.
L’autonomia è prima di tutto un processo culturale che oltre a rendere più efficiente il servizio deve migliorare costantemente la consapevolezza di assicurare su tutto il territorio nazionale un sistema di qualità nel quale viene tutelata la libertà di insegnamento. Il tutto verrà demandato ad un “Consiglio delle Autonomie Scolastiche”.
Sono sempre le medesime autonomie scolastiche il riferimento per le politiche regionali e degli enti locali, i quali devono valorizzare le associazioni tra le scuole che vogliono accrescere l’efficacia della loro presenza e della loro azione insieme ad altri enti e soggetti locali.
Un risultato importante, raggiunto a livello parlamentare, come non si vedeva da tempo: il potere legislativo che finalmente si riappropria del suo ruolo ed i problemi della scuola non vengono relegati alla sola gestione burocratica. Sarà la nuova tregua politica ? Fatto sta che questo provvedimento, bipartisan, è di buon auspicio, sia per il modo, anche se affrettato, sia per il luogo, che allontana dagli interessi che cercano di prevalere in altri palazzi del governo.
Attraverso questi strumenti l’autonomia cerca di prendere il largo, ma la nave è ancora fragile e rischia di incappare nei pericoli tesi da vecchi e nuovi centralismi; soprattutto è la cultura dell’autonomia ed i protagonisti di questa esperienza che devono portare la scuola all’interno di processi sociali significativi per lo sviluppo del territorio ai diversi livelli, in modo da valorizzare questa funzione non solo secondo la logica della gerarchia delle fonti del diritto, ma della qualità della crescita delle persone, dell’economia, della società.
E qui c’è un problema di cornice istituzionale: senza l’applicazione del Titolo Quinto della Costituzione le pedine non vanno a posto ed alcuni passaggi di questa legge sono scivolosi. Ciò che si mette come norma transitoria, riferita al potere degli Uffici Regionali dell’Amministrazione Scolastica nel controllo degli statuti e del (mal)funzionamento degli organi, rischia di rimanere in eterno se le competenze non vengono definitivamente decentrate agli enti territoriali ed alle scuole stesse. Il riferimento alle norme di contabilità dello stato per la redazione del “programma annuale” diventerà un macigno sulla strada della gestione delle risorse, soprattutto se lo Stato continuerà ad essere pressoché l’unico finanziatore. Abbiamo già avuto esperienza di come un decreto di contabilità (1975) di fatto abbia bloccato la nascente autonomia dei decreti delegati (1974). Più o meno le cose stanno ancora così nonostante l’ammodernamento della redazione del bilancio. Altro che scuole/fondazioni, di cui peraltro si è persa traccia! Anche quando si parla di “regolamento” relativo alle reti ed ai consorzi occorre vigilare, per vedere se sono regole che favoriscono o inibiscono.
Rispetto alle risorse finanziarie si capisce che siano erogate in gran parte dallo Stato ed altri (Fondazioni, privati, e quindi anche le famiglie) possono intervenire in senso integrativo, ma la novità insita nel federalismo fiscale è proprio la modalità con la quale vengono prelevate, non più soltanto a livello di trasferimenti (es: fondo di istituto), ma di compartecipazione ai tributi locali/regionali. Quindi occorre presidiare ora l’altro settore, quello delle norme sulle autonomie locali, in discussione al Senato. E’ per questo che se da un lato occorre che i servizi educativi – scolastici e formativi rientrino (come sono rientrati) tra le “funzioni fondamentali” degli Enti Locali e quindi ciò richiede una efficace azione di questi ultimi sul piano delle programmazione della organizzazione Es.: unioni di comuni/istituti comprensivi), dall’altro diventerà progressivamente inutile uno stringente riferimento alla contabilità statale, quando magari proprio lo Stato si potrebbe limitare alla retribuzione (con partita di spesa in conto tesoro) del personale. Da notare che l’autonomia finanziaria era già contenuta nell’art. 21 della legge 59/1997.
Compito vero dello Stato fin qui disatteso sono le “norme generali sull’istruzione” e i predetti livelli essenziali delle prestazioni: ma su questo non accade nulla, nemmeno nei più recenti provvedimenti del nuovo Governo. Ed allora forse tocca ancora al Parlamento!?
Anche le disposizioni di questa legge costituiscono norme generali sull’istruzione, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera n), della Costituzione ed in quello spirito sono dunque finalizzate alla piena attuazione dell’autonomia scolastica, come indicata dalla già citata legge n.59 del 15 marzo1997, art. 21 e dal DPR n. 275 del 8 marzo 1999.
La nuova governance degli istituti scolastici fa leva sulla capacità delle scuole stesse di concorrere alla definizione e alla realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, che trovano poi compiuta espressione nel piano dell’offerta formativa, fondato su uno stretto rapporto con la domanda sociale, senza perdere di vista l’efficacia (valutazione) della sua appunto funzione universalistica di crescita personale e culturale. Dovranno quindi essere valorizzati la funzione educativa dei docenti, il diritto all’apprendimento e alla partecipazione degli alunni alla vita della scuola, le scelte dei genitori, il patto educativo tra famiglie e docenti e tra istituzione scolastica e territorio.
Con questa legge lo Stato non deve cercare le modalità per condizionare l’autonomia, è già stato così per più di vent’anni con la sperimentazione, in barba a quanto previsto dall’art. 3 del DPR 419/1974 e dall’art. 11 DPR 275/1999, ma fare la sua parte secondo quanto la costituzione gli affida. E’ ovvio che senza cornice si rischia lo sbandamento, ma con la gestione centralistica siamo già nella paralisi.
Il problema dunque non sta nel prevedere nuove reti di scuole per la gestione degli organici, ma in organici anch’essi funzionali alla popolazione scolastica ed all’offerta formativa dati alle autonomie scolastiche, che per effetto delle varie soluzioni territoriali (istituti comprensivi, ISII, ecc.) sono già reti e possono per effetto di quanto già previsto dall’art. 7 del citato decreto 275 scambiarsi il personale e costituire anche laboratori per la documentazione, la ricerca, l’innovazione. Le reti devono infatti essere convenienti e non obbligatorie e andranno valorizzate associazioni di scuole autonome che si costituiscono per esercitare un migliore coordinamento delle azioni delle stesse ed aumentare l’efficacia dei rapporti con altri enti e realtà territoriali.
Domanda e offerta, qualità e partecipazione sono ingredienti che lo Statuto deve saper far reagire per la costruzione della comunità scolastica pienamente inserita in quella territoriale, garantendo per studenti e famiglie l’esercizio dei diritti di riunione e di associazione. In quest’ottica si inserisce la necessità di rendere più flessibili curricoli, tempi, gruppi e organizzazione della didattica e quindi di un’adeguata politica del personale.
Sul piano della valutazione resta in piedi il comitato di valutazione del servizio degli insegnanti di cui al DPR 416/1974, in attesa che venga affrontato il tema specifico anche in vista delle ipotizzate diversificazioni di carriera, e viene introdotto, come si è detto, il nucleo di autovalutazione del funzionamento dell’istituto. Esso coinvolge gli operatori scolastici, gli studenti, le famiglie e predispone un rapporto annuale di autovalutazione, anche sulla base dei criteri, degli indicatori nazionali e degli altri strumenti di rilevazione forniti dall’INVALSI. Tale Rapporto è assunto come parametro di riferimento per l’elaborazione del piano dell’offerta formativa e del programma annuale delle attività, nonché della valutazione esterna della scuola realizzata secondo le modalità che saranno previste dallo sviluppo del sistema nazionale di valutazione. La scuola può decidere di rendere pubblico il rapporto, ma in ogni caso deve organizzare annualmente una “conferenza di rendicontazione”.
La “rappresentanza istituzionale delle scuole autonome” viene costituita a livello locale, regionale e nazionale. Quest’ultima con un decreto del ministro si istituisce il predetto Consiglio delle Autonomie Scolastiche, composto da rappresentanti eletti rispettivamente dai dirigenti, dai docenti e dai presidenti dei consigli delle istituzioni scolastiche autonome. E’ presieduto dal Ministro o da un suo delegato e vede la partecipazione anche di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, delle Associazioni delle Province e dei Comuni e del Presidente dell’INVALSI. E’ un organo di partecipazione e di corresponsabilità tra Stato, Regioni, Enti Locali ed Autonomie Scolastiche nel governo del sistema nazionale di istruzione. E’ altresì organo di tutela della libertà di insegnamento, della qualità della scuola italiana e di garanzia della piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. In questa funzione esprime l’autonomia dell’intero sistema formativo a tutti i suoi livelli.
A livello regionale saranno le rispettive leggi, in attuazione degli art 117, 118 e 119 della Costituzione a prevedere strumenti e modalità di relazione con le autonomie scolastiche e per la loro rappresentanza in quanto considerate soggetti imprescindibili nell’organizzazione e nella gestione dell’offerta formativa regionale, in integrazione con i servizi educativi per l’infanzia, la formazione professionale e permanente, in costante confronto con le politiche scolastiche nazionali e prevedendo ogni possibile collegamento con gli altri sistemi scolastici regionali. Le Regioni istituiscono la “conferenza regionale del sistema educativo, scolastico e formativo. Essa svolge attività consultiva e di supporto nelle materie di competenza delle regioni stesse, e su richiesta di queste, esprimendo pareri sui disegni di legge attinenti il sistema regionale. Le Regioni istituiscono altresì Conferenze di ambito territoriale che sono il luogo del coordinamento tra le istituzioni scolastiche, gli Enti locali, i rappresentanti del mondo della cultura, del lavoro e dell’impresa di un determinato territorio. Alle Conferenze partecipano i Comuni, singoli o associati, l’amministrazione scolastica regionale, le Università, le istituzioni scolastiche, singole o in rete, rappresentanti delle realtà professionali, culturali e dell’impresa. Esprimono pareri sui piani di organizzazione della rete scolastica, proposte sulla programmazione dell’offerta formativa, sugli accordi a livello territoriale, sulle reti di scuole e sui consorzi, sulla continuità tra i vari cicli dell’istruzione, sull’integrazione degli alunni diversamente abili, sull’adempimento dell’obbligo di istruzione e formazione.
Come si può vedere in conclusione tanti sono i provvedimenti che debbono essere composti e questo è una parte importante, affinché si possa davvero arrivare a costruire un sistema nazionale a partire dai territori e quindi dalle scuole autonome, assicurando risorse umane e finanziarie nell’ottica del multilivello, in modo che la formazione sia un’occasione di crescita di tutta la comunità nazionale, ma prima di tutto territoriale.
Il riconoscimento dell’autonomia vuol dire innanzitutto che le scuole devono saper svolgere il loro ruolo, ma non lo imparano in un corso di aggiornamento organizzato dall’amministrazione scolastica, bensì in un costante rapporto con la realtà locale/nazionale, alle quali devono corrispondere in termini di ricerca e innovazione. Lo Stato deve fare altro, la cornice e il controllo; alle Regioni la programmazione, senza lasciarsi tentare dal riformare nuovi ministeri.
Il circuito si può veramente chiudere. C’è ormai tutto quel che serve, ora largo alla volontà politica: lo potrebbe fare un governo tecnico anche con costi molto limitati. Ma non vi è nulla di questo nei documenti programmatici: forse possiamo chiederci il perché e darci anche qualche risposta circa un’idea immortale di centralismo: le leggi vi son ma chi pon mano ad esse?
Lavorare sulla governance senza autonomia vera è ammassare anche questo provvedimento nel magazzino già affollato degli attrezzi legislativi.
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