Allarmismi… più che giustificati!!!
Alcuni amici mi fanno osservare che nel mio ultimo “Ipotesi di riordino del sistema di istruzione”, quando ipotizzo dopo il conseguimento dell’obbligo di istruzione un percorso di “istruzione letteraria”, di fatto intenderei liquidare il liceo classico, proprio quel percorso di studi che, nel marasma degli impasticciati riordini degli ultimi decenni, bene o male sarebbe riuscito a conservare una sua identità e valenza culturale. E sostengono anche che non è proprio un caso che gli studenti migliori scelgono tale tipo di studi e che i migliori ingegneri hanno avuto una formazione classica. Constato che i luoghi comuni a proposito del liceo classico abbondano da anni e non voglio discuterli, anche se sono duri a morire e anche se si continua a pensare che solo il classico apra le menti, insegni a ragionare, offra una vera e solida cultura e via dicendo.
Io non sono affatto contro una cultura letteraria, classica, se si vuole, e ho sempre sostenuto che, se avessimo le risorse umane in tal senso, o meglio insegnanti convenientemente preparati, potremmo introdurre il latino e il greco fin dalla scuola primaria. Ma così non è perché non è sufficiente sapere di greco e di latino, ma è importante saperlo fare apprendere – non uso il verbo “insegnare”, che indica un’altra cosa! Al di là della battuta, c’è da fare invece una reale considerazione, che mi viene dalla ricerca più che decennale di Martha Nussbaum, la quale sostiene che la cultura umanistica è indispensabile per una formazione completa e critica di chiunque. Ma quale cultura umanistica? E, soprattutto, come renderla effettivamente una cultura di base per tutti?
Sostiene la Nussbaum che non è soltanto con la strumentazione logica o il sapere fattuale che si può accedere consapevolmente in un mondo complesso qual è quello contemporaneo. Vi è una terza competenza, “strettamente correlata alle prime due, ciò che chiamiamo immaginazione narrativa! Vale a dire la capacità di pensarsi nei panni di un’altra persona, di essere un lettore intelligente della sua storia, di comprenderne le emozioni, le aspettative e i desideri. La ricerca di tale empatia è parte essenziale delle migliori concezioni di educazione alla democrazia, sia nei paesi occidentali sia in quelli orientali. Buona parte di essa deve avvenire all’interno della famiglia, ma anche la scuola e addirittura il college e l’università svolgono una funzione importante. Per assolvere a questo compito, le scuole devono assegnare un posto di rilievo nel programma di studio alle materie umanistiche, letterarie e artistiche, coltivando una partecipazione di tipo partecipativo che attivi e perfezioni la capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona” (Martha Nussbaum, Non per profitto, perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, Il Mulino, 2011, pag. 111). In effetti la Nussbaum accenna a un umanesimo trasversale, che poi sarebbe una concreta educazione alla cittadinanza, sulla quale tutti oggi convengono: e le Raccomandazioni del Parlamento europeo del 18 dicembre 2006 e del 23 aprile 2008 vanno in tale direzione.
E’ in tale scenario che non ho assolutamente nulla contro la cultura classica, umanistica e letteraria. Il problema è un altro. Da sempre nel nostro sistema di istruzione questo prezioso filone culturale soffre di un doppio strabismo, se mi è concessa questa espressione: da un lato un’enfasi esagerata e tutta autoreferenziale nel liceo classico; dall’altro una convinta ma non dichiarata sottovalutazione negli altri ordini di istruzione. Ed è uno strabismo soprattutto italico, che ci viene tramandato da un attualismo gentiliano da cui ancora non riusciamo a liberarci. Ma non diamo tutta la colpa a Gentile! Potremmo dire che anche le suggestioni crociane e lo stesso spiritualismo cattolico e certe indicazioni della lezione gramsciana – se non ricordo male, Gramsci era contro il verbalismo con cui veniva realizzata la riforma di Gentile più che contro i suoi programmi – hanno fatto la loro parte nell’enfasi che viene data alla cultura classica più che a un sua concreta lettura, severa, rigorosa, scientifica, se è possibile questo aggettivo.
Non solo! Si è anche imposto un mondo classico letto come il periodo di una nostra pretesa meravigliosa grandeur! Basti pensare all’Inno a Roma, musicato da Puccini: una Roma imperiale, entusiasta e festosa: “Madre di uomini e di lanosi armenti, d’opere schiette e di pensose scuole, tornano alle tue case i reggimenti e sorge il sole. Sole che sorgi libero e giocondo, sul colle nostro i tuoi cavalli doma; tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma!” Ritorna puntualmente tradotto il Carmen saeculare di Orazio: Alme sol possis nihil urbe Roma visere maius! E il Vittoriano è la copia architettonica di questa Roma immortale! E’ così che per decenni si è disteso quel gran tappeto di una malintesa classicità, sotto il quale si sono abilmente nascoste le realtà di una storia che, come sappiamo, è stata ben diversa da quella che certi autori amavano rappresentare! E il fascismo e i suoi cantori furono abilissimi registi in tal senso! Mi sembra che da questa visione di maniera della classicità non ci siamo ancora del tutto liberati.
Di conseguenza, a fronte di un mondo classico rappresentato e trasferito in certe scuole con tutte le enfasi a cui abbiamo accennato, non poteva non corrispondere in altri percorsi di istruzione una sua sottovalutazione: quando mai un meccanico o un operaio potranno accedere a tanto splendore? Già è molto per loro che sappiano leggere e scrivere e far di conto a fronte dei lavori a cui dovranno attendere. La cultura non è per tutti! E’ un réfrain che conosciamo bene. Del resto anche i Padri costituzionalisti hanno scritto che solo i capaci e i meritevoli hanno diritto ad accedere agli studi superiori! Il che significa che anche i nostri Padri ritenevano – e siamo negli anni quaranta del secolo scorso – che non tutti siano capaci e meritevoli! Ma che cos’è che produce incapacità e demerito se non l’insieme dei condizionamenti socioeconomici e culturali? Va comunque dato atto ai nostri Padri di avere anche scritto che la Repubblica è tenuta a rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Ed è proprio in virtù di questo principio che dobbiamo adoperarci perché sia proprio l’istruzione a fare in modo che tutti i cittadini divengano capaci e meritevoli. Del resto non abbiamo affermato con l’avvio dell’autonomia che a tutti dobbiamo garantire il “successo formativo”? In forza, appunto, di un altro modello di scuola.
E il modello su cui discutere potrebbe essere proprio questo: a) una istruzione umanistica erogata a tutti, però senza alcun cipiglio retorico, qualunque sia il percorso secondario scelto; b) una istruzione letteraria, depurata anche questa di ogni cipiglio retorico, ma scientificamente fondata, a coloro che scelgono scientemente un percorso di studi mirato. Mi spiego meglio: a) tutti devono essere in grado di leggere e gustare una poesia o un romanzo o una qualsiasi opera d’arte – e a ciò occorre essere ovviamente avviati e istruiti; cosa che attualmente non avviene in certi nostri percorsi perché deliberatamente si è ipotizzato che gustare un racconto o un brano di musica classica è solo per “capaci” e “meritevoli” e non per tutti; b) pochi, o meglio chi sceglie l’istruzione letteraria, affronteranno la stessa poesia o lo stesso romanzo con un approccio diverso, più mirato: quindi con l’enfasi che deve essere data all’analisi del testo, alla ricerca linguistica e a tutte quelle diavolerie che riguardano un approccio scientifico – dico scientifico – alla ricerca letteraria, musicale, artistica in genere.
Ne consegue che tale proposta non è affatto contro gli studi classici: è contraria agli studi classici intesi e affrontati con l’enfasi e quegli accenti di saccenza, sufficienza, pretesa superiorità che una certa cattiva tradizione ha costruito nel tempo. Vuole restituire a tali studi la dignità che meritano, in quanto debbono essere affrontati e condotti con quello spirito di ricerca e con quell’atteggiamento di curiosità scientifica (sic!) che ogni studio rigoroso e severo deve avere. La scienza non riguarda solo la matematica, la fisica la chimica: scienza viene dal latino scio, che significa “so”, “acquisisco”, e con cognizione di causa. Ovviamente, il rigore scientifico dovrà caratterizzare anche gli altri percorsi, quello tecnico e quello professionale. La differenza tra l’hig tech e l’hig touch riguarda le diverse finalità preprofessionalizzanti a cui tendono l’istruzione tecnica e quella professionale, non davvero il rigore dell’approccio che deve essere assolutamente comune.
Insomma, quand’è che avremo un idraulico capace di leggere Dante e un dantista capace di riparare il rubinetto che perde? Io leggo Dante e provvedo sempre ai miei rubinetti! Una società giusta dovrebbe produrre uomini, e donne, “completi” e culturalmente autosufficienti… ma… ci vorranno ancora mille anni, con i tempi che corrono! Per concludere, occorre veramente allarmarsi, perché le cose vanno veramente cambiate! Ma quando?
Maurizio Tiriticco