Beni culturali e loro funzioni: gli orti botanici
di Anna Marra Barone
Al fine di ricercare i possibili rapporti tra beni culturali e funzione educativa della scuola, ho ritenuto opportuno riflettere innanzitutto su che cosa si debba intendere per «bene culturale ». E questo perché non tutti gli studiosi sono d’accordo sul significato da attribuire ad esso: alcuni tendono ad allargare il concetto di bene culturale fino ad abbracciare anche ciò che appartiene alla cultura materiale, altri, invece, preferiscono continuare a mantenere il campo ristretto alle sole arti maggiori.
Da questo diverso modo di intendere « il bene culturale» deriva, di conseguenza, anche la diversa concezione di che cosa si debba catalogare e tutelare e quale sia il luogo più adatto alla conservazione. In generale, si tende verso una concezione allargata, in quanto si parte dal presupposto che la “Cultura rappresenta un attributo di tutto quanto il territorio, per cui non può continuare a sussistere la distinzione tra «l’eccezionalità di beni da conservare rigorosamente e la normalità di un territorio da non sottoporre a tutela»”.
Al contrario, si avverte sempre piu’ la necessità di articolare i diversi tipi di beni culturali e di garantire la loro tutela mediante una normativa globale ed organica che sia capace di collegare i diversi elementi che caratterizzano culturalmente un territorio.
Ci si sforza anche di conservare il bene culturale nel contesto ambientale di provenienza, contrariamente a quanto veniva fatto in passato, allorquando si cercava di conservare i beni nelle località più grandi e di maggiore importanza.
Come si vede, si tende in generale a considerare il bene culturale come «un elemento di qualificazione e di lettura storica del territorio», sia esso mobile o immobile, e si avverte sempre più chiaramente l’esigenza di proporre una tutela dei beni culturali che non sia solo di tipo conservativo, ma anche di tipo promozionale, tesa cioè a valorizzare i beni stessi e a promuoverne l’azione di stimolo culturale ed educativo.
«In effetti, a cosa servono i parchi nazionali, le riserve naturali, i musei scientifici, gli orti botanici, se non vengono utilizzati per divulgare la conoscenza della natura ed aiutare a leggere ed interpretare la realtà storica ‘del territorio in cui essi si trovano? Perché vengono spesi i denari che queste istituzioni annualmente incassano, se esse non “producono” cultura?» .
In una prospettiva che vede affermarsi l’ambiente come esperienza educativa ed i beni culturali come risorse formative, la scuola potrebbe profondamente rinnovarsi non tanto nei contenuti, quanto nei metodi e, in particolare, nella operativita’ della ricerca. “Se si saprà stimolare tutte le capacità espressive, comunicative e conoscitive dell’alunno e si favorirà nel tempo l’acquisizione delle specifiche competenze linguistiche, scientifiche, storiche, matematiche, fisiche, ecc,”sarà possibile individuare nella scuola un autentico ed efficace rinnovamento.
Purtroppo, molto spesso, sia a livello di insegnanti che di strutture divulgative (parchi, musei, orti botanici ecc.), si registra una pressoché totale impreparazione all’uso corretto di tali risorse. Per esempio, sono pochi i musei italiani che vantano una organizzazione didattica pienamente rispondente a finalità pedagogiche. Senza dire poi del pregiudizio diffuso che il museo debba essere necessariamente archeologico, storico o artistico, e della profonda ignoranza che regna circa l’esistenza dei musei scientifici e tecnici e di tutte quelle istituzioni similari, quali gli orti botanici ed i parchi naturali (i cosidetti musei vivi), molti dei quali sono del tutto ignorati.
Il metodo che meglio risponde a queste esigenze culturali ed educative è il metodo della ricerca. Ma ricerca vuol significare fondamentalmente modifica proprio del rapporto docente/discente: abbandono da parte del docente della posizione frontale e assunzione della funzione di promozione, di guida, di animazione. “ Si devono guidare gli alunni e non imporre loro la verità”( Georges, CharpaK. 1992- Premio Nobel per la Fisica).
E questo vale per tutti i livelli scolastici, compreso quello della scuola primaria (la ricèrca quale “strumento”per potenziare la creatività del fanciullo).Ma ricerca vuole significare soprattutto il passaggio da un sapere solo «prefabbricato», acquisito passivamente dal discente, ad un sapere in parte da fare, da costruire, da elaborare insieme, docenti e discenti..
In una prospettiva che vede affermarsi l’ambiente come «esperienza educativa» ed i beni culturali come «risorse formative», la scuola potrà profondamente rinnovarsi non tanto nei contenuti, quanto nei metodi. Si tratta di introdurre nella didattica operativa una ricerca «che sappia stimolare tutte le capacità espressive, comunicative e conoscitive dell’alunno consentendo, al tempo stesso, l’acquisizione delle specifiche competenze linguistiche, scientifiche, storiche, matematiche, fisiche, ecc.».
Nel caso del museo, per esempio, gli oggetti in esso raccolti, al di là del loro valore estetico ed artistico, sono da riguardarsi come testimonianze storiche atte à ricostruire il profondo tessuto culturale della comunità. E sotto l’aspetto più specificamente didattico-operativo, una visita al museo o all’orto botanico o al giardino zoologico, deve essere vista e considerata parte integrante del normale curricolo, in quanto vengono trattate le stesse tematiche o gli stessi problemi che si stanno sviluppando o si devono sviluppare a scuola (funzione attiva).
Le visite guidate, comunque, devono essere sempre programmate e puntualmente curate dai docenti, soprattutto sul piano didattico, al fine di evitare che esse si riducano ad una visita globale, generica ed approssimativa
L’orto botanico, un «Museo Vivo»
In questi ultimi anni si tende a porre in grande risalto l’importanza didattica dei «musei vivi» che possono esercitare, in campo naturalistico, la stessa funzione esplicata in campo sperimentale dai musei tecnici e scientifici (ricordiamo tra questi ultimi il museo L. Da Vinci di Milano, nelle cui sale è rappresentata tutta la storia del lavoro dell’uomo nel quadro dell’intero sviluppo della nostra civiltà tecnico-industriale).
Tra i «musei vivi» rivestono una fondamentale importanza gli orti botanici che, sorti per la maggior parte come «orti dei semplici» ( che raccoglievano piante medicinali), sono chiamati oggi a svolgere funzioni didattiche e divulgative in quanto consentono la conoscenza diretta di un gran numero di varietà di piante che vengono osservate nel loro habitat naturale o ricostruito artificialmente come tale.
In Italia ci sono circa 25 Orti botanici annessi alle Università ed alcuni orti extrauniversitarii, che costituiscono un notevole potenziale culturale che aspetta solo di essere utilizzato (purtroppo, ancora oggi, gli orti botanici o vengono ignorati dai più o, peggio ancora, vengono confusi con i parchi e i giardini).
«È noto invece che, per accordi internazionali (Copenaghen 1974), gli Orti Botanici, alla pari dei Giardini Zoologici, sono inclusi nella Museilogia Scientifica, in quanto sedi di collezioni che, se pure viventi, vengono mantenute per conservarle nel tempo e renderle disponibili per lo studio e l’educazione”
Le funzioni e le attività svolte da tutti gli orti botanici si possono così riassumere:
1) Insegnamento universitario per gli studenti delle facolta’ di Agraria, Veterinaria, Farmacia.
2) Ricerca scientifica pura ed applicata.
3) Educazione naturalistica, in quanto accostano i giovani al mondo vivente delle piante e li iniziano alla comprensione dei problemi naturalistici e scientifici.
4) Protezione della natura, in quanto provvedono alla ricostruzione ed alla conservazione di lembi di paesaggi naturali locali e custodiscono specie rare in via di estinzione.
5) Richiamo turistico
Come si vede, l’orto botanico rappresenta un notevole bene culturale, “ un museo vivente”, che svolge funzioni importanti nel campo sociale, in quanto la sua attività non è limitata alla didattica e alla ricerca universitaria, ma interessa l’istruzione di tutti e a tutti i livelli scolastici.
L’ Orto botanico di Napoli. Cenni storici
Prima ancora che esistesse un vero orto botanico (privato o universitario), aveva grande notorietà a Napoli il Parco Reale fondato da Alfonso II di Aragona sulla collina di Poggio Realee e distrutto con la caduta del Regno degli Aragonesi (1525).
Questo parco era molto famoso non solo per la bellezza e la ricchezza di specie vegetali coltivate (in particolare, medicinali ed ornamentali), ma anche per gli usi sçientifici a cui veniva adibito. .
La prima notizia riguardante la fondazione di un vero Orto Botanico a Napoli si fa risalire alla seconda metà del Cinquecento. Tra la fine.del Cinquecento e l’inizio dell’Ottocento, fiorirono a Napoli numerosi piccoli orti botanici privati ad opera di çittadini, a volte anche insigni uomini di scienza come il. Pinelli, il. Della Porta, e il Cirillo.
Il primo orto botanico pubblico napoletano sorse nel 1682 per opera della Pia Casa della SS. Annunziata alla Montagnola, che ne affidò poi le cure al medico e semplicista Tonmaso Donzelli.
Instancabile fautore del nuovo grande orto botanico fù Michele Tenore (1780/1861) che, dopo aver lavorato nell’orto pubblico di Monteoliveto sotto la guida del prof. Petagna e nell’orto privato del Principe di Risignano, aveva preso coscienza della necessità di istituire un orto botanico di maggiore ampiezza e di più efficiente funzionalità. Con tenacia riusci a superare notevoli difficoltà e ad ottenere nel 1807 un Decreto Reale, a firma di Giuseppe Bonaparte, con cui si espropriavano terreni ai piedi della colIina di Capodimonte per l’istituzione di «un Real Giardino di piante per la istruzione del pubblico e per moltiplicarvi le spezie utili alla salute, all’agricoltura ed all’industria”.
L’orto botanico di Napoli fu aperto al pubblico il 18 maggio 1809 ma fu completato, nella sua struttura architettonica, nel 1818. Alla direzione dell’orto botanico rimase per 51 anni il fondatore Michele Tenore che condusse l’orto ad uno splendore e ad una notorietà mai più eguagliati. A Tenore successe il Direttore Guglielmo che accentuò le ricerche su piante di interesse agricolo e le sperimentazioni nel campo della microscopia. Il successivo Direttore, Federico Delpino, svolse una notevole attività biologica in gran parte ispirata da studi eseguiti nell’orto botanico stesso. A Delpino successe Fridiano Cavara che, creando una «Stazione sperimentale per le piante “officinali», intuì l’importanza scientifica, economica e sociale dei problemi legati allo sviluppo dell’ erboristeria. Al Cavara successe nel 1930 Biagio Longo, uomo di energiche capacità organizzative, che intensificò l’attività svolta dalla stazione sperimentale e portò a terrmine il nuovo edificio dell’orto botanico, iniziato sotto la guidà dello stesso Cavara.
Durante la seconda guerra mondiale l’orto botanico fu ripetutamente bombardato e per due anni fu occupato dalle truppe alleate per cui, coloro che si succedettero alla Direzione dell’orto, e precisamente G. Catalano e V. Giacomini, dovettero iniziare una paziente opera di restauro e di ricostruzione delle parti danneggiate.. Ed infatti, nonostante tutti i guasti subiti e le notevoli carenze legate alla manutenzione delle strutture e alla conservazione del decimato patrimonio di piante, l’orto botanico di Napoli, diretto dal 1959 dal prof. Aldo Merla, conserva ancora la sua imponenza e la sua regale bellezza.
L’orto botanico di Napoli si è inserito molto dignitosamente tra i «musei viventi», come risulta confermato dal numero altissimo di alunni di scuola media e istituti superiori che si sono recati in visita all’orto botanico in questi ultimi anni. E proprio per far fronte a questa crescente richiesta di servizi, dal 1983 in poi sono stati organizzati nell’orto botanico di Napoli corsi di aggiornamento per Insegnanti di Scienze e, dal 1986, i corsi di formazione sono stati estesi anche ad insegnanti delle altre province della Campania, con risultati pienamente soddisfacenti..