Mai fidarsi delle apparenze
di Cosimo De Nitto
Sono passati i fatidici e molto massmediati 100 giorni dall’insediamento del governo Monti e dei suoi ministri. Non ci vuole un analista particolarmente fine per farci capire le differenze col precedente governo. In particolar modo abissale appare la differenza tra i due ministri della pubblica istruzione. Le differenze tra l’Avv. Gelmini, che ha preso l’abilitazione a Reggio Calabria, e il Prof. Profumo, Rettore del Politecnico, Presidente del CNR sono talmente evidenti che rendono inutile ogni paragone, a prescindere dai neutrini.
Dopo 100 giorni, data ragione di ciò, si apre una riflessione sui contenuti della nuova guida del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca, che, per taluni aspetti, fa ripensare quel paragone di cui sopra e quell’evidenza non appare poi più così netta, marcata.
Già dall’inizio del suo ministero Profumo va avanti per dichiarazioni in cui la parola chiave è “continuità” col precedente indirizzo di governo. Subito sono sorte le prime perplessità. Possibile che un professore così titolato, curriculato, così Magnificato non abbia niente da dire, niente da eccepire di fronte al peggiore ministro che abbia mai avuto la scuola italiana, davanti ad una politica che ha messo in ginocchio l’istruzione, la formazione, la ricerca, le istituzioni scolastiche e le università, un ministro che ha prodotto tagli lineari sottraendo risorse economiche (8 miliardi) e umane (150 mila posti in meno) ingenti in un paese che già era agli ultimi posti come percentuale di pil destinato al sistema scolastico e che costringe le famiglie a coprire gran parte delle spese scolastiche e a portarsi da casa anche la carta igienica?
Ma no, ho pensato. Si tratta delle prime dichiarazioni nelle quali bon ton e stile vogliono che non si parli male di chi ha preceduto. Allora mi sono messo in fiduciosa attesa sicuro che, dopo i primi tempi di contatto e studio, di comprensione della articolata macchina, il ministro Profumo avrebbe finalmente detto la sua e avrebbe scoperto, magari discretamente, le proprie carte.
Ci avrebbe detto in quale condizioni versa la scuola, quali sono i punti di emergenza e priorità, quali provvedimenti legislativi, quali disposizioni amministrative avrebbe adottato lungo tutto l’arco della durata del suo ministero, quali basi avrebbe gettato per un futuro di riforme serie non dettate dal prius tagliare.
E invece no.
Questa attesa, a 100 giorni dal suo insediamento, è andata delusa. Di qualche cosicchia che va facendo, niente di significativo, niente che imprima la connotazione della sua impronta, niente che lo consegni, non dico alla storia, ma alla cronachetta di questi tempi così magri e agri dopo lo tsunami della sua predecessora. Niente che non fosse già nel programma della Gelmini e che lei stessa, se non fosse caduto il governo, non avrebbe realizzato. Aziendalizzazione e privatizzazione del sistema, abolizione del valore legale del titolo di studio, militarizzazione della macchina amministrativa con il compimento della centralizzazione della stessa, mantenendo la falsa parvenza di autonomia, ma servendosi delle prove INVALSI come base del controllo e della rendicontazione gerarchica appena mascherata dal neologismo dell’accountability, la libertà di assumere chi si vuole da parte delle scuole per compiacere una Lega che non è più al governo.
Che fosse questo il compito di cui si sentiva investito il ministro Profumo, continuare la politica della Gelmini, abbiam dovuto prendere atto con somma delusione, concludendo che non si trattava di cortesia iniziale, ma era proprio la sua politica. Si è capito quando ha ribadito, rafforzato, ampliato il concetto.
In una recente intervista in tv ha affermato che lui si attribuisce il compito dell’oliatore, che è sempre meglio del vasellinatore, direbbe qualcuno secondo cui al peggio non c’è mai fine. Capisco il “discreto” profilo rispetto alle roboanti riforme “storiche” della Gelmini, ma francamente mi è sembrato troppo discreto, fluidificante, liquido si potrebbe dire. Purtuttavia, a pensarci bene, mai metafora è stata così azzeccata, come lo era stata quella di un suo predecessore Fioroni che, chissà per quali strane associazioni della mente, aveva scelto la metafora del cacciavite. Qualcuno ben attrezzato in futuro potrà studiare la questione per cercare di capire perché queste metafore sono prese tutte dal campo semantico della meccanica, mai, che so, per esempio, dalla pedagogia, dalla filosofia, dall’estetica, insomma da una scienza “umana”.
Allora le nostre attese di veder dichiarata una sorta di carta programmatica della scuola con tanto di premesse sui valori e principi ispiratori, di sentire almeno nominata la Costituzione, di sentire un accenno “discreto” sul diritto allo studio, qualcosa sul valore non solo economico, ma culturale, civile, democratico della scuola…niente. Tutte attese vane. Per sapere da dove provengono gli atti di Profumo bisogna rivolgersi alla Gelmini e a quanto lei ha fatto, scritto e dichiarato durante il suo mandato.
Bene, ma se le cose stanno così allora abbiamo sbagliato tutto, non solo nelle attese, ma anche nei giudizi. Avevamo persino irriso il paragone, tanto ci sembrava improponibile, tra la Gelmini e Profumo. L’una minuscola lillipuziana che deve andare a Reggio Calabria per racimolare uno straccio di abilitazione, l’altro Gulliver sapiente, carico di saperi tecnici e scientifici, carico di cariche e incarichi accademici.
Alla fine, dal paragone, stando all’insipienza governativa dell’uno, che discretamente si limita a fare il “copia e incolla” dall’altra, va a finire che la danneggiata è l’altra, cioè la Gelmini. Proprio così, eppure doveva essere il governo della meritocrazia, dei professori, dei tecnici, degli esperti, doveva essere il governo della τέχνη che fa giustizia della malandata πολιτική.
Grande imbroglio ideologico, mai fidarsi delle apparenze.