Affettivo dipendente, indipendente regole
di Adriana Rumbolo
Una paura che mi ossessiona è l’abbandono da parte dei miei amici, perché al solo pensiero di rimanere “sola“ senza l’appoggio dei miei amici ad affrontare alcune circostanze sono spaventata.
Da tutto ciò deduco che sono dipendente dai miei amici e noto che trascuro la mia personalità, mi faccio in quattro sempre per gli altri, ma da qualche tempo (dopo episodi accaduti) ho deciso di cambiare il mio atteggiamento cercando di curare di più la mia persona pur mantenendo il rapporto con i miei amici. (F. anni14)
Questa riflessione scritta da una studentessa denuncia un disagio molto diffuso, la dipendenza affettiva, ma fa anche ben sperare.
Spesso un neonato sembra non aver vissuto appieno la sua prima fase quando la mamma dovrebbe essere un tutto: cibo, calore, sicurezza, odori già percepiti, contatti piacevoli, suoni familiari.
A volte solo il cibo potrebbe, per varie cause, rimanere nel ricordo di quei momenti, lasciandosi dietro un vuoto di nostalgia di qualcosa di bello, di indispensabile che diventerà sempre più confuso, ma continuerà a influenzare le scelte affettive assorbendo gran parte delle risorse di un soggetto finché il conflitto non sarà risolto.
Potrebbero rimanere come eterni lavori in corso una carezza appena accennata e forse un pianto mai espressi compiutamente.
Accade soprattutto nella famiglia dove attecchiscono le prime dipendenze e le conseguenti gerarchie affettive perché un fratello, il padre, la madre, una sorella tendono ad esercitare potere su un familiare non attraverso una corrispondenza di affetti o di simpatia o di interessi reciproci ma sminuendolo o annullandolo.
Il bambino che subisce, sarà poi combattuto fra il desiderio fortissimo di avere amore tanto da mendicarlo e la paura che gli sarà negato proprio dalla persona per lui più importante.
Allora potrebbe scattare un terribile compromesso: non chiederà più amore perché non può perdere la sicurezza di una casa, di un letto, del cibo. Si esprimerà con una serenità apparente ma non smetterà con ossessione, sprecando molte energie e affidandosi a illusioni affettive, di cercare di risolvere il suo conflitto, sempre in condizione di sottomissione.
La conseguente contrazione emotiva porterà gravi danni a tutta la personalità nella vita relazionale, affettiva di lavoro e sempre più la consapevolezza di non valere molto.
Potrebbe sviluppare inoltre una naturale diffidenza verso le regole di quel mondo che non l’ha compreso aggravando la sua situazione con l’etichetta di ribelle.
Da allora una sola parola d’ordine: okay, tutto bene.
Qualora riuscisse a chiedere aiuto lo farà con soggezione, esitazione diventando facile preda di imbrogli e di truffe.
Nutrirà ammirazione per tutti gli altri e se qualcosa non andasse bene concluderà che è solo colpa sua.
Il distacco da una qualsiasi persona vissuta come stampella affettiva indispensabile, sarà un dramma e farà di tutto per sostituirla velocemente.
Sembra strano ma le gerarchie non è tanto il più forte a stabilirle, ma il più debole a favorirle.
La gerarchia non si forma dall’alto, ma dal basso.
In qualsiasi rapporto relazionale in particolare affettivo se un soggetto percepisce nell’altro una fragilità un cedimento, automaticamente si sentirà di poter affermare la sua presunta superiorità nata, non per un colpo di “stato, forza”, ma sulla debolezza, e ne renderà partecipe il gruppo che la ufficializzerà, con tutte le sue conseguenze.
Qualche tempo fa, in televisione, una signora ebrea che era stata prigioniera ad Auschwitz raccontò la sua terribile esperienza e concluse che quando, dopo anni, aveva capito che i suoi carcerieri erano soggetti fragili, che non valevano niente, il suo dolore era stato ancora più forte.
Una studentessa, mentre si parlava della dipendenza affettiva nella vita di gruppo ha scritto: ”quando finalmente un soggetto ha maggiore conoscenza del proprio patrimonio emozionale, si può usare l’espressione ”trattare alla pari” senza concetto d’inferiorità rispetto ad altre persone”.
Aveva ben compreso l’importanza della conoscenza e della gestione delle emozioni.
Le esperienze quotidiane e una buona rieducazione comportamentale potrebbero liberare tanti soggetti dall’ingombrante dipendenza affettiva.