Io, Daniel Blake, un film di Ken Loach
di Mario Coviello
Oggi che una famiglia su quattro ha un tenore di vita prossimo alla povertà o addirittura all’indigenza e al sud un cittadino su due rischia l’esclusione sociale per la mancanza di lavoro o per la precarietà salariale, Io, Daniel Blake, l’ultimo capolavoro del maestro Ken Loach, non può che essere un film necessario. Se lo avete perso al cinema cercatelo in streming. Ken Loach non si stanca di raccontare la classe operaia e la vita difficile che è costretta a vivere in una società che chiede domande di impiego on line a persone che hanno lavorato sodo per tutta la vita, una società che non è più capace di offrire uno scambio tra uomini che si guardano negli occhi.
Daniel Blake è un esperto carpentiere che vive a Newcastle e ha quasi sessant’anni. Ha lavorato per oltre trent’anni usando le mani. Con il legno costruisce mobili e uccelli in volo. Sa riparare un rubinetto e uno scarico. Ma ha avuto problemi seri al cuore e non può più fare il suo lavoro .Per la prima volta è costretto a rivolgersi all’assistenza pubblica che gli fa frequentare un corso per costruire il suo curriculum, lo manda per strada a chiedere un lavoro qualsiasi, anche se non può, in malattia, farne alcuno.
In attesa dell’esito che non arriva di un ricorso che gli riconosca la malattia, rimane per ore in attesa di risposte da una segreteria telefonica e tenta di capire qualcosa con il computer e con il mouse “sfiora lo schermo”, come gli viene consigliato
Daniel Blake è vedovo, sente molto la mancanza della moglie Molly che ascoltava musica con le cassette, era mentalmente instabile e che ha curato fino all’ultimo per un cancro inesorabile.
Daniel Blake lotta, cercando sempre di non perdere la sua dignità perché “un uomo senza dignità non è un uomo”.
Nella sua vita, durante il suo inutile vagabondare in una periferia spoglia, incontra una giovane donna Daisy che ha due figli. Daisy ha potuto finalmente prendere una casa in fitto, dopo essere stata per un anno in ostello. Daisy sviene per la fame perché il cibo che riesce a prendere al banco alimentare basta solo per i suoi piccoli.
Daniel Blake invita la donna “a non mollare”, la aiuta come può e si affeziona ai due bambini che diventano per lui i figli che non ha mai potuto avere.
Ken Loach non fa sconti e accompagna i quattro protagonisti della sua storia lungo tutta la loro via crucis. Daniel Blake combatte, vende tutti i mobili che ha fatto con le sue mani quando non gli viene concesso nemmeno il sussidio, si ribella, e….
E’ la dignità della persona quella che si vuole annullare grazie a un sistema in cui dominano i ‘tagli’ alla spesa sociale e dove anche una funzionaria che deve applicarli si rende conto della crudeltà delle regole . Ancora una volta Ken Loach ha diretto un film necessario, un film che da ogni inquadratura, quando si ferma sui volti dei suoi protagonisti, urla la necessità di conservare la nostra umanità, nonostante tutto.
Il regista ha uno sguardo profondamente umano e nello stesso tempo con le caratteristiche del grido che invita a ribellarsi . Per farlo è ritornato, per documentarsi, nella sua città natale, Nuneaton, e ha partecipato all’attività di sostegno di chi si trova in difficoltà.
Come sempre il cineasta inglese lavora per sottrazione, la sua è una regia asciutta e lineare ma, al tempo stesso, assolutamente efficace e coinvolgente. Non c’è spazio per nessun pietismo né retorica.
Il suo cinema non si limita a descrivere il disagio e il dolore dei personaggi, li condivide e li metabolizza, amplificando così l’empatia che lo spettatore prova nei loro confronti. Nella loro semplicità alcune scene hanno una potenza emotiva enorme, si pensi a quando Daisy perde il controllo al banco alimentare.
Si è scossi e commossi alla fine del film. Sarà difficile dimenticare Daniel Blake, la sua storia e le sue toccanti parole: “Non sono un cliente, né un consumatore. Non sono uno scansafatiche, uno scroccone, un mendicante e neanche un ladro, non sono un numero di previdenza sociale e neanche un bip sullo schermo di un computer. Ho fatto la mia parte fine all’ultimo centesimo, e ne sono orgoglioso. Non accetto né chiedo carità. Sono una persona, non un cane. E come tale chiedo che mi siano garantiti i miei diritti. Chiedo di essere trattato con rispetto. Io, Daniel Blake, sono un cittadino. Niente di più, niente di meno. Grazie.”
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