MIGRANTI, STRANIERI, NUOVI CITTADINI: L’ACCOGLIENZA NECESSARIA
Istituzioni amministrative e società a confronto
di Mariacristina Grazioli
da Migranti a Stranieri: i dolorosi perché.
Miguel Angel Garcia amava citare nei suoi scritti la figura del migrante, uomo e donna che sia , immerso nello “spaesamento”, non solo geografico , ma anche emotivo di un’esistenza vissuta sul filo di spostamenti e viaggi più dovuti che voluti, più subiti che desiderati.
E’ uno “spaesamento” talvolta lacerante dove , l’abbandono del luogo di vita e delle radici culturali e sociali portano ad un risveglio della coscienza nuova di un’identità che va formandosi, anche dolorosamente, nelle terre di arrivo, spesso non scelte ma subite.
I migranti viaggiano tra le geografie orografiche , nei tempi storici e politici dei paesi, lungo le derive emotive ed affettive. Giungono in città e comunità nuove, e lì diventano stranieri.
La loro estraneità si rapporta faticosamente con le lingua comunicativa, con le abitudini di vita, con i riti sociali di affiliazione al gruppo di riferimento.
Migranti prima, stranieri poi. E tutta la difficoltà e la fatica della perdita delle terra di origine e della conquista delle terra di arrivo si sommano, ai disagi organizzativi, alle necessità di lavoro, alla difficile collocazione nei nuovi contesti socio-amicali.
Ma non solo.
La migrazione che fa diventare straniero , fa percepire l’importanza di trovare un collocazione anche giuridica. Allora il desiderio di nuove cittadinanze e di nuove identità si fa indiscutibile ed alimenta volontà di appartenenza al nuovo contesto sociale, che tuttavia non annulla la nostalgia delle terra lontane e delle identità lasciate.
Il progetto di vita e la costruzione dell’identità personale si fa ancora più significativo se il migrante –straniero è minore di età e si colloca nella fascia dell’infanzia e dell’adolescenza. E’ in questo momento di vita , infatti , che si gioca con forza il possibile passaggio tra identificazione con il gruppo sociale di appartenenza e autodeterminazione e affermazione delle specificità individuali.
I minori stranieri- e soprattutto i minori stranieri non accompagnati- rappresentano dunque la sfida che la società di un paese civile deve raccogliere con forza per consentire alla collettività e ai singoli di progredire verso- come sosteneva E. Durkheim- il significativo progresso dell’umanità.
Accogliere i minori stranieri significa esprimere livelli di civiltà assoluti; equivale a garantire il pieno potenziale umano di tutti coloro che risiedono su un territorio, significa difendere l’Uomo e le ragioni dell’ esistenza.
Il fenomeno delle migrazioni nel pensiero giuridico internazionale
Da sempre la cultura giuridica internazione si è mostrata sensibile a questi temi.
Non è un caso che le LINEE GUIDA DELLE NAZIONI UNITE PER LA PREVENZIONE DELLE DEVIANZA MINORILE – approvate dall’Assemblea dell’ONU nel 1990, riservano all’istruzione ed ai sistemi educativi un posto di rilievo. In particolare l’attenzione è posta alla necessità che si sviluppino azioni di educazione significative: insegnamento dei valori essenziali, sviluppo e rispetto per i valori sociali del paese in cui il minore vive, conoscenza e rispetto delle identità e delle tradizioni culturali di ciascun giovane , rispetto per le culture differenti , rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali.
Il sistema educativo non può esimersi dall’attivarsi con costanza circa le azioni di promozione nelle giovani generazioni della comprensione e del rispetto delle differenze di tipo culturale e di ogni altro tipo.
Così, la promozione della collaborazione con i genitori e con le organizzazioni che operano sul territorio, e l’attuazione di un sistema efficace di informazione destinata ai giovani migranti e alle loro famiglie- a proposito delle normativa e delle legislazione vigente in merito ai loro diritti , responsabilità e valori universali- porta ad obbiettivi di sicuro significato.
Chi si occupa tecnicamente di educazione deve sapere sensibilizzare ai problemi , alle necessità e alle percezioni dei giovani appartenenti alle minoranze etniche, attraverso una varietà di programmi educativi.
Ancora più chiara ed assertiva è l’indicazione della DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DELLE PARSONE APPARTENENTI A MINORANZE LINGUISTICHE , NAZIONALI, O ETNICHE O RELIGIOSE, del 1992, ove vi sono indirizzi specifici per gli Stati membri, finalizzati a garantire alle persone appartenenti a una minoranza linguistica il diritto allo studio della lingua madre e un processo formativo impartito utilizzando la lingua madre o finalizzato alla conoscenza delle storia, delle tradizioni e delle cultura delle minoranze presenti nel territorio.
La cultura giuridica internazionale ha manifestato grande attenzione al tema dei migranti, ma le indicazioni fornite , seppure di ampio respiro e di illuminato intento, non hanno inciso con efficacia sulle politiche reali ed attuative dei singoli Stati.
Spesso, infatti , le idee declarate si sono dimostrate distanti dai contesti; le procedure di recepimento normativo sono state lente e , talvolta, discordanti.
Non sono mancate le tracce di un’ampia produzione di “Dichiarazioni” ed “Intenti”, ma sul piano delle fattibilità , le azioni conseguenti tese a cogliere le luci e le ombre dei migranti-stranieri, non sono state altrettanto forti e dirompenti. Tutto si è mosso sull’onda delle “parola dichiarata” , piuttosto che sull’”agito” politico-istituzionale.
Vale comunque la pena ricordare, seppure per sommi capi, che i documenti più esaustivi hanno avuto il merito di richiedere alle società occidentali attenzione sul tema dell’Uomo e sul valore del rispetto assoluto delle vita umana. E tutto ciò non è poco, se rapportato all’innata diffidenza che ingenera nei soggetto il rapportarsi con il “diverso”, il “lontano” ,lo “sconosciuto”: lo straniero appunto.
La normativa italiana e la normativa europea: sistemi a confronto per le politiche di accoglienza
La cultura giuridica internazionale ha ampiamente sviluppato il tema nelle dichiarazione dei diritti umani, con particolare riguardo ai diritti dei minori.
Una veloce panoramica dei principali documenti esprime con chiarezza la copiosità degli interventi. E’ utile citare, a tal fine, la “Declaration of the rights of the child” di Ginevra del 1924, fino alla “ Convention against discrimination in education” della Conferenza Unesco 1990 che ha previsto l’istruzione per tutti, indistintamente, entro il 2015.
Non meno importanti sono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, il Patto internazionale relativo ai diritti sociali e culturali, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, la Dichiarazione sulla razza e sui pregiudizi razziali, la Convenzione sui diritti dell’Infanzia , la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, la Dichiarazione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose o linguistiche. In questo documenti, idee e valori divengono orizzonti culturali cui mirare e modelli di civiltà cui aspirare.
Nel nome di un futuro comune del pianeta, dunque, alla domanda – quante sono le razze sulla terra ?- la risposta non può che essere univoca : -UNA SOLA: QUELLA UMANA. E’ questo il bel titolo del Meeting di San Rossore che la Regione Toscana aveva organizzato a sostegno delle’idea diffusa di lotta contro la discriminazione e il razzismo. Un’idea non originale, se vogliamo, ma che richiede una costate attenzione poiché, è noto, quanto siamo ancora lontani dalla disseminazione della volontà di accoglienza dei migranti, in varie fasce sociali e culturali dei popoli occidentali degli Stati cosiddetti industrializzati e moderni.
La normativa internazionale è stata, ed è tutt’oggi, un quadro di riferimento anche per le politiche europee.
Un documento storico centrale e dotato di forza innovativa è la Direttiva CEE 25 luglio 1977 n. 486 del Consiglio di Europa, per la formazione scolastica dei figli dei migranti, ove si prevede il diritto all’istruzione di tutte le persone soggette ad obbligo scolastico, secondo la legislazione dello stato ospitante.
E’ del 1993 la risoluzione UE sulla molteplicità culturale e la formazione scolastica dei figli dei lavoratori migranti nelle comunità europea, dove viene descritta -nelle “Considerazioni”- la necessità della mobilità intercomunitaria e la conseguente importanza della formazione interculturale, come contributo irrinunciabile alla lotta al razzismo e alla xenofobia.
La normativa italiana è stata particolarmente consistente e , ancora oggi, sviluppa percorsi importanti che tendono a caratterizzare una società di fatto includente e culturalmente disponibile allo scambio.
Va ricordato il d. leg. 215/ 9-7-2003 e il d. leg 216/9-7-2003 che ratificano la Direttiva 2000/43/CEE e la Direttiva 27 nov. 2000 n. 78, e forniscono una cornice alla lotta alle discriminazioni fondate sulla religione , sulle convinzioni personali, handicap, età e tendenze sessuali.
Il T.U. 25/07/1998 n. 286 offre una tutela dalle discriminazioni basate sulla nazionalità.
Altra importantissima normativa di riferimento è rappresentata dalla Costituzione Italiana del 1948, agli artt. 2 , 3 e 10.
Più recentemente , un importante contributo si desume dalla Riforma del Titolo V della Costituzione ( l.18/2001 n. 3).
Per sommi capi vanno inoltre citati:
- TU pubblica sicurezza 1931( tutela del soggiorno degli stranieri e casi in cui vengono espulsi)
- L.39/90 ( accettazione ufficiale degli stranieri sul territorio nazionale);
- L.40/98 ( disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
- TU 286/1998 ( misure di integrazione sociale);
- CM 207/86 ( scolarizzazione degli zingari e dei nomadi);
- L. 30/12/1986 n. 943 ( collocamento di lavoratori );
- CM 301/89 ( inserimento stranieri a scuola)
- CM 205/90 ( scuole dell’obbligo e alunni stranieri- educazione interculturale).
E’ evidente quanto, nella normativa di riferimento, il sistema scolastico pubblico sia individuato come presidio, ineliminabile e fondamentale, per le azioni di accoglienza “necessaria” a favore dei minori stranieri, figli di migranti.
Naturalmente molta altra normativa è stata emanata dagli anni novanta ad oggi , ed è qui interessante rilevare che i principi ispiratori sono coniugati ad azioni efficaci e buone pratiche; quindi, il baricentro dell’attenzione politico-istituzionale si è spostato dall’idea di una “accoglienza necessaria”, ad un “accoglienza voluta ed arricchente” per tutta la comunità educativa ed educante.
E’, infatti, nei contesti formativi che sono visibili le implementazioni più significative , attraverso azioni di integrazione ed inclusione progressiva. Si tratta di pratiche collaudate e sistematizzate in “protocolli di accoglienza” che , talvolta, si spingono a produrre “kit” dedicati agli stranieri neo arrivati, quasi a sostenere l’urgenza di procedure collaudate di accoglienza.
Le priorità inclusive si esprimono con azioni coordinate e sistemiche , che tessono una rete significativa che, a sua volta crea, per certi versi , omogeneità di valori su tutto il territorio nazionale.
In via di sintesi estrema ecco le azioni più significative che caratterizzano i processi di accoglienza nei sistemi formativi pubblici:
-promozione di ambienti e contesti socializzanti;
-programmazione collegiale di relazioni di clima: tutoring-sportelli famiglia-laboratori di accoglienza e multiculturali- collaborazioni con le nuove figure professionali in campo orientativo e relazionale.
-attivazioni di specifici momenti di scambio culturale.
-sviluppo del opportunità di apprendimento della L2 e delle norme civiche e sociali.
Le aree operative dei sistemi istituzionali che si occupano di formazione sono improntate su un modello inclusivo: la “zona dell’accoglienza” è spendibile , indistintamente sul piano amministrativo, comunicativo e relazionale, educativo e didattico.
Ciò che ne emerge è un sistema istituzionale fortemente orientato ai valori dell’intercultura e dell’antirazzismo, attraverso un’istruzione “pluri-prospettica e trasversale”.
E’ innegabile perciò pensare ad una pubblica amministrazione a matrice interculturale, che promuove idee e valori, che sa dialogare con la società oggettivamente strutturata in dimensioni ben differenti e con impronta di notevole flessibilità e fluidità.
Per una volta, è la struttura istituzionale -nelle diramazioni organizzative offerte all’autonomia amministrativa della gestione dei territori- che anticipa le istanze sociali e ne governa i passaggi e le evoluzioni, sotto il segno dei valori universali e del senso etico e civico della convivenza democratica.
La nuova cittadinanza nello scenario dell’accoglienza e i migranti nel contesto sociale.
Il termine “accoglienza” non ha nulla a che fare con l’idea di tolleranza.
Chi tollera non accoglie, ma sopporta.
Non è qui che la società civile può e vuole arrivare; è infatti sufficiente pensare che azioni di “ sopportazione” o di celata indifferenza possano avere il potenziale idoneo a creare un nuovo modello di cittadinanza?
La sfida europea ed italiana si gioca, dunque, nelle aree dell’accoglienza , intesa come un percorso complesso di azioni coordinate a matrice interculturale, interrazziale e finalizzate alla creazione di una identità multiculturale vera, tangibile, capace di orientare la società del terzo millennio.
Se l’intercultura ha bisogno di un’educazione ai valori, allora è attraverso l’accettazione delle diversità e al rifiuto di ogni modello di appiattimento e omologazione che si deve operare con forza.
E’ proprio osservando le azioni che la società sa strutturare a favore dei “minori stranieri non accompagnati” che pare evidente il potenziale delle procedure di “accoglienza obbligatoria”. E’ su questo livello di disagio oggettivo di soggetti altamente a rischio – perché privi di cittadinanza, di maggior età e di assistenza di genitori o adulti di riferimento che ne curino le necessità quotidiane- che si rendono evidenti le buone prassi delle istituzioni, nelle loro diramazioni amministrative.
Le migliori esperienze di inclusione ed accoglienza si sviluppano nei contesti educativi: scuole e centri formativi extrascolastici rappresentano un’avanguardia pregiata a cui il contesto politico istituzionale ha consegnato una mission focale per l’intera società.
Il peso delle decisioni sui minori non accompagnati apre lo scenario a nuovi modelli di cittadinanza, ove il diritto ad un vita piena e potenzialmente non discriminante, non ha nulla a che vedere con il riconoscimento legale delle cittadinanza ai sensi della noma giuridica: ciò che rileva è la norma etica.
La Risoluzione del Consiglio UE del 1997 , riprendendo la Convenzione di New York, determina che tutte le decisioni che riguardano i minori devono rispondere ad un loro interesse superiore.
La collaborazione internazionale tra Stati ha permesso la stesura del programma ACNUR – SAVE THE CHILDREN , destinato alla definizione di strategie comuni di intervento sui minori.
Anche il sospirato “permesso di soggiorno”, come documento amministrativo che regolamenta la permanenza dello stranieri sul territorio italiano, è disciplinato da indicazioni di massima attenzione alle necessità dei minori e l’iter è sottoposto alla vigilanza del CSM (comitato per i minori stranieri) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha , in ultima analisi, la cura dei contrapposti interessi dell’ordine pubblico e della tutela dei minori in un’ ottica di salvaguardia dei diritti fondamentali e di perseguimento delle opportunità di crescita, entro un preordinato progetto civile e sociale.
L’accoglienza: dalla norma che limita alla cultura che sconfina
Gabriele D’annunzio richiamava nei “sogni delle terre lontane” l’idea che la migrazione è qualcosa di necessario nella vita dell’uomo. Quando i pastori vanno in transumanza, emerge tutta la potenza di un comportamento arcaico e obbligatorio, che ciclicamente consente la sopravvivenza.
I nuovi migranti sanno che forse non torneranno nelle loro terre. Anzi partono con l’idea di un mondo che contiene ritmi, vite , volontà , desideri e necessità, oltre la loro terra d’origine , oltre i confini.
Ma è dove si vive che viene seminato il germe della cultura di appartenenza , ed è dove si vive che spunterà la pianta nuova delle contaminazioni culturali.
Dice qualche nuovo poeta della migrazione che “ migrare significa cambiare il proprio luogo di residenza per volontà o per forza: da bambini impariamo che lo fanno anche gli uccelli.”
Migrare è naturale dunque.
La norma, che regolamenta e disciplina per il bene di tutti , deve allora lasciare spazio allo sconfinamento culturale, affinché la società di un territorio possa davvero trasformarsi.
Il processo di accoglienza dunque sarà reciproco, in un lavoro continuo di valorizzazione multiculturale.
Non c’è da avere paura dunque, perché non si perde nulla.
Nel processo di accoglienza di chi ha valicato i confini geografici ed emotivi , c’è un arricchimento costante, perché tutto di amplia, “sconfinatamente”.
E la migrazione va allora colta come un percorso naturale di globalizzazione transnazionale, capace di sostenere i valori dell’Uomo.