Insegnamento/apprendimento: ritorno al futuro
di Claudia Fanti
Tralasciando ciò che l’istituzione ci impone con i suoi ritmi e le sue circolari, oltre che con progetti spesso piovuti dal territorio che la stessa assume anche per motivi economici, vorrei entrare subito nell’argomento che preme e cioè il rapporto fra il soggetto insegnante e il soggetto bambino/a.
Ci troviamo dinanzi a sfide che ogni anno, proprio nella quotidianità, nella pratica, potrebbero mutare anche repentinamente: cambio di classe, supplenze tappabuchi, compresenze che saltano, trasferimenti, sostituzioni di insegnanti in classi abituate in un certo modo. Non sempre si ha la fortuna di avere un ciclo di cinque anni con gli stessi bambini. E anche quando si è tranquilli di averlo, ci sono gli inserimenti di alunni che provengono dall’ esterno, magari stranieri che non parlano la nostra lingua. Queste sono le situazioni “normali” e differenti. A volte, sempre più spesso, nelle classi ci sono bambini che presentano qualche disagio, ribelli. L’insegnamento, quindi non è uno, così come non lo è l’apprendimento.
E’ sicuramente un lavoro tormentato fino alla fine della carriera e anche non compreso.
Non ci sono “colpe” né di famiglie né di bambini in sé nelle difficoltà di apprendimento e di una non accettazione dei ritmi lenti e faticosi di comprensione della forma e della sostanza delle discipline di studio se si prende in considerazione la storia nella quale siamo immersi e cioè se teniamo ben presente la non cultura in cui siamo immersi, il nostro modo di vivere in cui spazio e tempo si sono contratti in un eterno presente. In cui hanno valore il qui e subito e il consumo che divora anche se stesso in una frazione di secondo.
Incontrarsi con le famiglie dei nostri bambini non è più o non soltanto un riunirsi per fornire spiegazioni o riceverne, bensì un ritrovo fra persone che “sentono” sulla propria pelle il tempo della vita che stringe, la mancanza di mezzi e lavoro di molti, la fatica di vivere in costante salita. Non ci sono colpevoli né colpe nel non poter seguire un figlio: la difficoltà di vivere è un comune sentire. L’insegnante oggi più di ieri deve dare certezza ai genitori che i piccoli sono in mani sicure, che ogni attività, ogni valutazione, ogni pensiero terrà in somma considerazione lo sviluppo armonico dei bambini. Le famiglie devono poter avere almeno la sicurezza fra tutte le insicurezze che la scuola è un ambiente di apprendimento e di vita sereni.
La storia del ‘900 ha tentato miriadi di strade per il progresso, investendo sulla fiducia nella formazione continua, in uno sviluppo che pareva assicurato e ci parlava di progresso della scienza, della tecnica, della conoscenza, dell’economia. Gli anni che viviamo invece inducono alla flessibilità continua, alla mobilità nelle professioni, sono gli anni nei quali la produttività si sposa con il mito della rapidità, della volatilizzazione, dell’usa e getta proprio mentre si pretendono lucidità, efficienza, efficacia, immettendo la variabile di un merito da conseguire a qualsiasi prezzo, il tutto condito da dosi massicce di individualismo, egoismo, edonismo, con il dominio assoluto dell’ avere sull’essere avverso al desiderio di ognuno di poter pensare in modo umanamente autentico, di potersi dedicare agli affetti senza affanni, anche nel rispetto dei sogni e della fantasia.
Per l’uomo e per i suoi cuccioli sembra svanita la possibilità di fermarsi a riflettere su un futuro possibile e magari anche divergente, creativo, oltre che economico.
Un insegnante si chiede spesso dove stia la libertà d’insegnamento nel suo altissimo senso di essere libertà dal potere costituito quando gli vengono imposti dagli apparati tecno scientifici valutativi questionari, test, ammennicoli di vario tipo. Si chiede sempre chi è che sta dietro. Anzi che cosa sta dietro a tutta questa mania di far rientrare in schemi preconfezionati sia la tipologia delle indagini sia l’analisi dei risultati. Forse il sistema politico-economico della iper produzione globale con il suo aziendalismo giustifica se stesso riproponendo in una bella confezione pseudoscientifica proprio se stesso?
Allora grande, più di prima, diviene la preoccupazione di arricchire la propria azione con bambini e bambine insistendo sulla Libertà d’espressione per mezzo di rispecchiamenti, riflessioni a catena, rispetto dei turni, del fissare sulle pagine della lavagna dai fogli girevoli o su cartelloni creati al momento ciò che è stato considerato rilevante dagli stessi alunni alla fine delle conversazioni. E per quegli insegnanti che hanno la fortuna di avere a disposizione a scuola pc, collegamenti internet, anche i social network funzionano da preziosi potenti mezzi di arricchimento per comunicare, scambiare idee e scrivere.
Allontanarsi insieme, per mezzo dell’abitudine al porsi domande ed esplicitare dubbi, prendendo le distanze dal “così è” (assunto a vangelo dall’attualità quotidiana dell’opinionismo allineato alle mode e dai media) è fondamentale, vitale. E’ necessario contrapporre al senso dominante di fragilità, precarietà, insicurezza, una pedagogia che dia estremo valore alla riflessione, con l’aiutare a impadronirsi della certezza che ognuno è padrone del proprio pensiero, che, dinanzi alle difficoltà, il pensiero è una incredibile roccia a cui aggrapparsi, è la sicurezza della propria esistenza, per superare il costante stato di incontentabilità che si ha dinanzi agli oggetti del proprio consumo che si fa sempre più ansiogeno e si trasforma in irrefrenabile passione indotta dalla produzione e dalla propaganda a superare in un attimo la soddisfazione di qualsiasi acquisto. L’insegnante oggi ha a che fare con apprendimenti che rischiano di essere percepiti come acquisti presto dimenticati, i quali per lo studente perdono valore appena fatti e rischiano di venire dimenticati.
Allora ecco che sempre più essenziale è che metodi, clima dei luoghi-tempi educanti, siano impostati dagli Insegnanti senza la fretta nichilistica dell’uomo moderno e che essi non considerino apprendimento e relazioni costruiti giorno per giorno soltanto come una serie di momenti successivi ognuno a se stante senza memoria del precedente. Ogni attimo va pensato come un tempo della valorizzazione dei passi compiuti, va nominato, descritto da insegnante e bambino, affinché questi lo riconosca come importante e ricco di promesse future. E’ imprescindibile valorizzare, per mezzo di una pausa pensante, il processo e il successo mentre avvengono.
Afferrarli e rilevarli con fatti e parole che descrivono e rievocano il percorso compiuto. Rievocare gli apprendimenti è più di ieri un’operazione insostituibile per imparare, così come l’invitare sempre a una riflessione sui possibili sviluppi futuri degli apprendimenti, in una visione di progetto per il domani. Insomma, tenere insieme passato, presente e futuro, dando valore a tutte e tre le dimensioni. Ciò anche per stimolare un pensamento sulle proprie azioni e sulle conseguenze sia negli apprendimenti sia nelle azioni rivolte all’altro. In ogni caso, in un mondo che corre, con gli uomini affascinati dalla foto dell’attimo, bisogna quotidianamente riportare l’attenzione dei bambini a ciò che hanno già appreso e farli riflettere sui progressi compiuti, affinché la loro autostima non vada perduta, affinché “sentano” di esistere nella loro storia scolastica che per loro è la storia della loro vita intellettiva, l’unica che li può far sentire protagonisti e creatori di qualcosa di grande valore. Il tempo affrettato dei risultati immediati e magari ottenuti per mezzo di scorciatoie è assolutamente l’avversario dell’apprendimento, della nascita di un’attitudine alla cultura: sarebbe la dispersione più grande fra quelle di cui si parla oggi su ogni rivista dell’istruzione, in ogni indagine conoscitiva del nostro sistema scolastico.
Quindi una delle azioni principali dell’insegnamento è il saper intercettare i mutamenti negli eventi di apprendimento di ognuno senza misurare, nella consapevolezza che c’è sempre un non visto, un non svelato.
Ogni insegnante deve tenere in gran conto le emozioni di ogni alunno ogni mattina e da queste partire per raccontare e raccontarsi: anche l’insegnante deve necessariamente entrare in gioco con le proprie emozioni e narrazioni.
Il racconto è la leva per avviarsi con simpatia alla lettura, a diverse tipologie di testi e saperi.
La metafora e la sua rappresentazione grafica sono uno strumento di grande forza per liberare i pensieri che altrimenti non troverebbero espressione.
La lingua in funzione estetica in generale è la molla che fa scattare apprendimenti linguistici in ogni bambino sia esso straniero, proveniente da famiglie svantaggiate, deprivate culturalmente.
La cura per la parola e della parola, per la sua peculiarità nel contesto, per la sua storia, per il suo significato rivelerà negli anni sempre più il suo far parte di una struttura di lunga durata (analisi logica, sintassi) per ognuno. La scuola di base non può e non deve rinunciare alla parola parlata e alla pazienza della condivisione linguistica per esprimere sentimenti, opinioni, emozioni, impressioni. Ogni bambino ha il diritto di avere tempo per formare dentro di sé un bagaglio linguistico che lo renda sicuro di sé nella società.
Esistono apprendimenti sequenziali e non, ma l’importante è favorire la formazione di strati simili a quelli geologici, sui quali far depositare anche i fuochi d’artificio di un apprendimento che può essere veloce, istantaneo come un’esplosione, ma che tuttavia avviene perché c’è stata una sedimentazione di apprendimenti consolidatisi nel divenire dell’azione scolastica, sedimentazioni su cui poter contare, apprendimenti profondi, solidi che creeranno la motivazione per gli eventi successivi.
Rispettare, nella scuola di base, la sedimentazione degli apprendimenti e la sua cadenza lenta impone di fare anche post programmazione più che programmazione e rigorosamente il lasciar perdere l’uso eccessivo di fotocopie per il motivo che esse rischiano di far superare in fretta la fase dell’esperienza (questa modalità rivela l’abitudine a voler adultizzare i bambini affinché accedano in modo semplificato alle cose: questa modalità rivela la tendenza a voler superare ciò che è complesso con ciò che è stato “pensato da altri” che fa parte anche della paura nostra di non tenere tutto il sapere del pezzo di disciplina sotto controllo. Sono talmente tante e discordanti le opinioni anche in tema di metodologie e didattiche che alla fine si rischia di soccombere se non si ragiona con la propria testa e con quella dei bambini.
Invece è essenziale attivare una conduzione della classe che preveda una solida rete di relazioni attraverso la cooperazione fra pari riducendo al minimo gli interventi “risolutivi” dell’adulto, il quale spesso affannato com’è nella sua buona intenzione dello spiegare tutto, tanto e subito rischia di essere l’unico protagonista della vita scolastica. Rischia di porsi le domande e di rispondere dinanzi a uditori con l’espressione dell’urlo di Munch.
Un clima positivo si crea soprattutto con il ridurre al minimo l’invadenza dell’adulto anche nel gioco e nei litigi, i quali spesso si risolvono proprio quando l’adulto si sottrae dal voler tutto sapere e conoscere dei “suoi” alunni.
La pedagogia conversazionale è quella da adottare oggi più che mai per ridare voce a chi non ce l’ha più se non per chiedere un qualche soddisfacimento di bisogni primari. Il parlare per porsi domande e per porle è ormai un lusso nel tempo accelerato nel quale tutti noi viviamo, comprese le famiglie dei nostri alunni.
E’ importantissima così come una metodologia che dia estrema importanza all’autocorrezione lenta e meditata, consapevole che l’errore è veramente una risorsa e che una cosa si può fare tante volte finché non ne sono soddisfatto: tale consapevolezza è rilassante e produttiva ed è l’azione esattamente contraria a ciò che accade nell’attualità storica che non prevede il riprovare e il conservare memoria di ciò che non ci piace, anzi si affretta a gettare ciò che non è considerato“perfetto” e “nuovo”.
In conclusione, forse la dispersione si annida nella fretta di stupire con riforme di sistema; oggetti, anziché contenuti; dati e misure, anziché riflessioni comuni su ciò che è possibile fare con ciò che abbiamo e che avevamo e che spesso ci viene frettolosamente tolto per motivi che esulano dalla nostra comprensione.
15 gennaio 2012