R.G. 2016/20988
TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO
Sezione Feriale
Nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 20988/2016 promosso da:
(OMISSIS), in qualità di genitore esercente la potestà su (OMISSIS), elettivamente domiciliata in CORSO VITTORIO EMANUELE II, 82 10121 TORINO ITALIA presso i difensori avv.ti VECCHIONE GIORGIO e VECCHIONE RICCARDO in forza di procura in calce al ricorso
RICORRENTE
contro
MINISTERO DELL’UNIVERSITÀ, DELL’ISTRUZIONE E DELLA RICERCA
ISTITUTO SCOLASTICO (OMISSIS)
rappresentati ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino
RESISTENTI
Il Giudice dott. Marco Ciccarelli,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 9.8.2016,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
premesso
A)
(OMISSIS) deduce:
- di esercitare la potestà genitoriale su (OMISSIS), iscritta al 5° anno dell’istituto scolastico (OMISSIS) di Torino, presso il quale è attivo un servizio di mensa;
- che la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 1049 del 21 giugno 2016 (resa nel giudizio d’appello proposto da n. 58 genitori di altrettanti studenti di scuole elementari e medie di Torino), ha accertato “il diritto degli appellanti di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione”;
- che alcune amministrazioni comunali e istituti scolastici, fra cui quello qui convenuto, hanno negato l’esistenza di analogo diritto di scelta (fra refezione scolastica e pasto domestico da consumare a scuola) per coloro che non avevano preso parte al giudizio di cui sopra;
- che tale posizione lede diritti fondamentali della ricorrente (allo studio, al lavoro, alla libertà delle scelte alimentari, alla uguaglianza), riconosciuti da norme di rango costituzionale, diritti che sono stati accertati dalla Corte d’Appello per le parti di quel processo, ma che sussistono ugualmente anche per coloro che non vi hanno partecipato;
- che questi diritti rischiano di essere pregiudicati nel tempo occorrente per il loro accertamento giudiziale, poiché la facoltà di scelta tra refezione scolastica e pasto domestico da consumare a scuola – negata da alcuni istituti e amministrazioni comunali – non potrà concretamente essere esercitata nel prossimo anno scolastico, di imminente inizio.
Chiede pertanto che il Tribunale, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., accerti il proprio diritto di scegliere per la propria figlia tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione; e ordini ai convenuti “di consentire alla ricorrente … di dotare la propria figlia di un pasto domestico preparato a casa, da consumarsi nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell’impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo destinato alla refezione, a partire dal primo giorno di scuola e di attivazione del servizio di refezione comunale ed in concomitanza a questo”.
B)
Il MINISTERO dell’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (MIUR) e l’ISTITUTO SCOLASTICO (OMISSIS) chiedono il rigetto del ricorso, in quanto:
- il ricorrente non può ottenere un provvedimento cautelare che incida sulla discrezionalità organizzativa dei singoli istituti scolastici, poiché il giudice ordinario difetta di giurisdizione sul punto;
- la sentenza della Corte d’Appello invocata dal ricorrente – ad oggi non passata in giudicato – non fa stato nei suoi confronti, essendo egli rimasto estraneo a quel processo;
- il ricorso ex art. 700 c.p.c. non è lo strumento idoneo per ottenere l’estensione degli effetti di una sentenza di merito resa inter alios, essendo esperibile il rimedio tipico dell’ottemperanza davanti al TAR; fa quindi difetto la sussidiarietà della tutela invocata;
- il diritto vantato dal ricorrente a consumare a scuola, durante l’orario destinato alla refezione, un pasto preparato a casa, non ha fondamento giuridico.
OSSERVA
- Inquadramento della domanda cautelare.
1.1 Il ricorso d’urgenza proposto da (OMISSIS) è volto in primo luogo a ottenere l’accertamento di un diritto: quello a scegliere, per la propria figlia, tra la refezione scolastica e il pasto domestico da consumare a scuola. La ricorrente sostiene infatti che, nel tempo necessario per l’accertamento nelle forme ordinarie, tale diritto, la cui esistenza è concretamente negata dai convenuti, potrebbe essere compromesso. La ricorrente chiede inoltre che il giudice conceda i provvedimenti ritenuti più idonei ad anticipare e assicurare gli effetti della decisione di merito e ordini, quindi, alle amministrazioni convenute di consentire alla ricorrente di dotare la propria figlia di un pasto preparato a casa da consumare nel refettorio scolastico o, in subordine, presso altro locale idoneo.
1.2 Va subito chiarito, in risposta alle difese dei convenuti, che il presente procedimento non è volto a dare attuazione alla sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21 giugno 2016 n. 1049; né a estendere a terzi, estranei a quel giudizio, l’efficacia dell’accertamento contenuto in quella sentenza. Il provvedimento della Corte d’Appello infatti – che non risulta ad oggi passato in giudicato – viene citato dal ricorrente come (autorevole) precedente a supporto della propria domanda. Ciò emerge chiaramente dalla narrativa del ricorso, dove si legge (p. 11): “La nota del Ministero [prodotta dal ricorrente come doc. 9, ove si afferma che la sentenza della Corte è efficace soltanto fra le parti, n.d.a.] esprime un principio condivisibile, ossia quello per il quale le sentenze sono destinate a disciplinare, ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., unicamente i rapporti tra le parti ed i loro aventi causa. Tuttavia, l’Avvocatura distrettuale dello Stato ben s’è guardata dal rendere edotto il Ministero … della portata generale ed astratta della pronuncia della Corte d’Appello di Torino la quale … rappresenta un autorevole precedente giurisprudenziale che ha scolpito un principio generale …”. D’altronde, parte ricorrente si duole proprio della disparità di trattamento che deriva dalla condotta del Ministero, il quale si rifiuta di riconoscere che lo stesso diritto accertato dalla Corte d’Appello in favore delle parti di quel giudizio sussiste anche in capo ai soggetti che non vi hanno preso parte; e si rammarica del fatto che questi ultimi siano costretti, da tale presa di posizione, a proporre autonomi ricorsi giudiziali, esponendosi a costi e spese (ricorso p. 16).
1.3 Così definito l’oggetto della domanda cautelare, ne consegue l’inconferenza (e comunque l’infondatezza) delle difese dei convenuti relative al fatto che la sentenza della Corte d’Appello non sia passata in giudicato; e al difetto di sussidiarietà del presente ricorso ex art. 700 c.p.c., dovendo esperirsi il rimedio tipico del giudizio di ottemperanza dinanzi al TAR. Si ribadisce infatti che non si tratta, in questa sede, di dare attuazione a quella sentenza o di estenderne gli effetti, ma di accertare autonomamente, in favore di soggetti estranei a quel giudizio, l’esistenza di un diritto di contenuto identico a quello già accertato in favore delle parti di quel processo.
1.4 Sotto diverso profilo, l’Avvocatura dello Stato evidenzia che il ricorrente non può ottenere (né in sede cautelare, né in sede di merito) il provvedimento richiesto, poiché esso inciderebbe sulle modalità di erogazione del servizio mensa, riservate alla discrezionalità organizzativa di ciascun istituto scolastico. Nel ricorso si chiede infatti di ordinare ai convenuti di permettere la consumazione del pasto portato da casa “nel refettorio scolastico, o previa dimostrazione dell’impossibilità giuridica, presso altro locale idoneo”. Ma una tale misura implica una serie di valutazioni tipicamente rientranti nell’attività discrezionale della pubblica amministrazione. Da qui l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario. Ora, pare indiscutibile che le modalità attraverso cui deve essere data attuazione al diritto vantato dal ricorrente esulano dall’ambito della giurisdizione ordinaria, perché comportano l’adozione di misure organizzative, anche in funzione degli aspetti igienico-sanitari evidenziati dai resistenti, che rientrano nella tipica attività discrezionale dell’amministrazione. Pertanto, fatte salve le puntualizzazioni di cui si dirà oltre (paragrafo 4.2), che attengono alla consistenza del diritto da accertare, il presente provvedimento cautelare non potrebbe definire in concreto le modalità attraverso cui il diritto deve essere esercitato. Ciò tuttavia non comporta il difetto di giurisdizione ordinaria poiché – come sopra chiarito – la domanda cautelare ha come primo e principale oggetto un provvedimento di accertamento.
1.5 Va infine chiarito che, alla luce della giurisprudenza ormai consolidata (fra le tante pronunce di merito si vedano T. Milano 2 luglio 2013 e 18 aprile 2013; T. Bari 9 novembre 2012), è pienamente ammissibile il ricorso alla tutela cautelare atipica per ottenere una pronuncia di accertamento, anticipatoria degli effetti del giudizio di merito. D’altra parte nessuna contestazione è stata sollevata al riguardo dai convenuti. Né può essere posto in dubbio l’interesse concreto e attuale del ricorrente a una tale pronuncia, soprattutto alla luce della posizione manifestata dalle amministrazioni convenute. Queste infatti, da un lato, negano la sussistenza del diritto (a consumare a scuola il pasto preparato a casa) in capo a soggetti diversi dalle parti del processo conclusosi con la sentenza della Corte d’Appello; dall’altro affermano – con una certa contraddittorietà – che, per adottare le misure organizzative concretamente necessarie per rendere possibile l’esercizio di tale diritto, hanno necessità di conoscere il numero di famiglie che intendono avvalersi di tale diritto (ossia non fruire del servizio di mensa). In questa situazione, l’accertamento in via cautelare e urgente del diritto risponde a un manifesto interesse della parte ricorrente.
- Il diritto da accertare (fumus boni iuris).
2.1 Il diritto di consumare a scuola, durante l’orario di refezione, un pasto preparato a casa viene presentato dal ricorrente come espressione e manifestazione di alcuni diritti fondamentali di rilevanza costituzionale: il diritto allo studio, quello alla libertà delle scelte alimentari, quello di uguaglianza e quello al lavoro. Questa impostazione deve ritenersi, almeno per quanto riguarda il diritto allo studio e il principio di uguaglianza, sostanzialmente condivisibile per le ragioni di seguito indicate.
2.2 Il diritto allo studio è riconosciuto dall’art. 34 Cost., che lo declina, in primo luogo, attraverso la previsione di obbligatorietà e gratuità dell’istruzione inferiore per almeno 8 anni. La gratuità dell’istruzione è un principio assoluto e in alcun modo relazionato al reddito dei soggetti che devono fruirne. E’ quindi evidente che condizionare o limitare il diritto allo studio in base alla fruizione di prestazioni a pagamento viola il dettato costituzionale. Ora, il servizio mensa messo a disposizione da molti istituti scolastici (fra cui quello qui convenuto) è un servizio a pagamento. Esso non è obbligatorio, perché i genitori degli studenti possono ben decidere di non fruirne. In questo caso però devono prelevare da scuola il figlio all’ora di pranzo, fargli consumare il pasto altrove e poi riaccompagnarlo a scuola. Con la conseguenza che lo studente viene a perdere quel “tempo scolastico” destinato al pranzo comune e alle attività (di socializzazione, distensive e ricreative) che ad esso si accompagnano. Il problema è dunque, in primo luogo, quello di verificare se questo tempo debba considerarsi finalizzato a impartire quella “istruzione inferiore” garantita dalla norma costituzionale. In secondo luogo (e in caso positivo) occorre verificare se vi siano ostacoli, rappresentati da altri diritti di pari dignità e confliggenti con quello qui fatto valere, che giustifichino in concreto la compressione o la negazione di questo diritto.
2.3 Sulla prima questione , questo giudice condivide pienamente l’impostazione contenuta nella sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21.6.16, laddove evidenzia che il contenuto del diritto allo studio si è modificato nel corso del tempo e non può essere ricondotto al solo impartire (da parte dei documenti) e ricevere (da parte degli studenti) nozioni e cognizioni. La netta evoluzione di questo diritto si coglie – prima ancora che nella Circolare del Ministero dell’Istruzione del 5 marzo 2004 (richiamata dalla Corte d’Appello e dall’odierno ricorrente) – nel d.lgs. 19 febbraio 2004 n. 59, a cui si riferiscono le istruzioni e definizioni della Circolare ministeriale. L’art. 5 del decreto definisce in questi ampi termini le finalità della scuola primaria: “La scuola primaria, accogliendo e valorizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilita’, promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base, ivi comprese quelle relative all’alfabetizzazione informatica, fino alle prime sistemazioni logicocritiche, di fare apprendere i mezzi espressivi, la lingua italiana e l’alfabetizzazione nella lingua inglese, di porre le basi per l’utilizzazione di metodologie scientifiche nello studio del mondo naturale, dei suoi fenomeni e delle sue leggi, di valorizzare le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile.” L’art. 9 del medesimo d.lgs. definisce le finalità della scuola secondaria di primo grado: “La scuola secondaria di primo grado, attraverso le discipline di studio, è finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio e al rafforzamento delle attitudini all’interazione sociale; organizza ed accresce, anche attraverso l’alfabetizzazione e l’approfondimento nelle tecnologie informatiche, le conoscenze e le abilità, anche in relazione alla tradizione culturale e alla evoluzione sociale, culturale e scientifica della realtà contemporanea; è caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell’allievo; cura la dimensione sistematica delle discipline; sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta corrispondenti alle attitudini e vocazioni degli allievi; fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e di formazione; introduce lo studio di una seconda lingua dell’Unione europea; aiuta ad orientarsi per la successiva scelta di istruzione e formazione.” Si sono sottolineati, nel riportare il testo normativo, i passaggi da cui più chiaramente si evince la irriducibilità dell’istruzione (e della funzione scolastica) al mero ruolo di trasmissione di nozioni; e da cui si trae, per converso, la promozione dell’attività educativa attraverso la valorizzazione delle diversità individuali, l’attenzione ai momenti relazionali, l’importanza di educare al rispetto dei principi di convivenza civile. Se è vero che (anche) questi sono i contenuti dell’istruzione inferiore, ben si comprende la ragione per cui la Circolare del Ministero dell’Istruzione del 5 marzo 2004 ha sottolineato che i tre segmenti orari del “monte ore obbligatorio”, del “monte ore facoltativo” e dell’“orario riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa” “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico. Essi non vanno considerati e progettati separatamente, ma concorrono a costituire un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa”. Il c.d. “tempo mensa” rappresenta infatti un essenziale momento di condivisione, di socializzazione, di emersione e valorizzazione delle personalità individuali, oltre che di confronto degli studenti con i limiti e le regole che derivano dal rispetto degli altri e dalla civile convivenza. In piena coerenza con questa impostazione, il d.lgs. 59/2004 prevede che l’organico degli istituti scolastici debba essere determinato non solo per garantire le attività educative e didattiche di cui ai commi 1° e 2° degli art. 7 e 9 (rispettivamente dettati per la scuola primaria e per quella secondaria di primo grado); ma anche “per garantire l’assistenza educativa del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa”. E la già ricordata Circolare del Ministero dell’Istruzione ribadisce (ulteriormente rendendo palese la finalità istruttivo-educativa del tempo mensa) che “I servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”. Alla luce di queste considerazioni non pare seriamente contestabile che anche nel tempo destinato a consumare il pranzo in comune venga impartita quella istruzione inferiore prescritta come obbligatoria e garantita come gratuita dall’art. 34 Cost. Sul punto sembrano concordare anche i convenuti, laddove affermano che “La ristorazione scolastica non deve essere vista come un semplice soddisfacimento dei bisogni nutrizionali, ma deve essere considerata un importante e continuo momento di educazione e di promozione della salute, che coinvolge sia gli alunni che i docenti” (comparsa di risposta p. 8). Anche se poi la difesa dei convenuti sostiene che la promozione della salute e l’educazione a una corretta alimentazione sarebbero vanificate se fosse consentito agli studenti di consumare alimenti estranei a quelli forniti dalla mensa scolastica (sul punto si tornerà fra breve).
2.4 Alla luce delle considerazioni che precedono, il diritto di partecipare all’istruzione scolastica impartita durante il “tempo mensa e dopo mensa” non può essere negato, né condizionato all’adesione a servizi a pagamento (quale il servizio di refezione organizzato dagli istituti). Poiché – per evidenti ragioni che i convenuti non mettono in discussione – l’alternativa di imporre il digiuno agli studenti (che non vogliano fruire della mensa scolastica) è manifestamente irragionevole e impraticabile, l’unica alternativa è quella di riconoscere che gli studenti hanno diritto di consumare a scuola un pasto preparato a casa.
2.5 L’esistenza di questo diritto – che, lo si ripete, rappresenta modalità di esercizio del diritto allo studio – si fonda anche sul principio costituzionale di uguaglianza e pari dignità dei cittadini (art. 3 Cost.). Non è infatti ragionevole che alcuni soggetti (quelli che fruiscono del servizio mensa scolastica) beneficino del diritto all’istruzione nella sua pienezza mentre altri (coloro che non vogliono avvalersi della mensa) siano sostanzialmente costretti ad allontanarsi dalla scuola in un momento in cui viene svolta attività educativa di grande importanza formativa.
2.6 Va ora verificato se i diritti sopra accertati possano essere limitati o esclusi. Ciò che potrebbe accadere solo in virtù dell’accertata esistenza di altri diritti, aventi dignità pari o superiore. Quali siano questi diritti – e quale ne sia fonte – non è in alcun modo esplicitato nelle difese dei convenuti. Il MIUR e l’Istituto scolastico affermano – condivisibilmente – che l’individuazione dei locali nei quali far consumare i pasti portati da casa è una decisione che spetta ai singoli istituti, e che involge valutazioni di carattere tecnico e di opportunità. Aggiungono i convenuti che tali valutazioni “potranno essere compiutamente effettuate solo in seguito all’inizio dell’anno scolastico … posto che le stesse presuppongono, già solo per mero buonsenso, che venga preliminarmente definito il numero degli allievi che decidano di formulare istanza in tal senso”. I convenuti deducono poi che esisterebbe un nesso fra tali scelte discrezionali e le previsioni contenute nei contratti di appalto con le ditte private che erogano i servizi di mensa (e nei contratti di assicurazione che queste ultime ditte stipulano). Ora, anche a voler ammettere che un simile nesso esista, pare del tutto evidente che esso non può considerarsi un “diritto confliggente” con quello di cui viene qui chiesto l’accertamento. I convenuti richiamano poi un “generale divieto di introdurre alimenti esterni (ossia non riconducibili alle ditte concessionarie del servizio) nella mensa, durante l’orario dei pasti”. Non indicano però in alcun modo quale sia la fonte di questo divieto, salvo un generico richiamo alle clausole delle polizze assicurative stipulate dalle ditte che erogano i servizi di mensa. Ma è evidente che siffatte clausole – quand’anche esistenti – non hanno il valore di fonti normative e non costituiscono una ragione neppure minimamente sufficiente a interferire con il diritto, di rilevanza costituzionale, che si è sopra accertato.
- Le esigenze di urgenza (periculum in mora).
3.1 Il pericolo nel ritardo che giustifica la concessione del provvedimento cautelare consiste nella natura di diritto fondamentale della situazione soggettiva fatta valere e nella circostanza che le amministrazioni convenute contestano l’esistenza di un simile diritto rifiutando di permettere la consumazione di un pasto portato da casa a coloro che non sono stati parte del giudizio conclusosi con la sentenza della Corte d’Appello (si veda sul punto la mail del dirigente scolastico prodotta come doc. 5). Va poi sottolineato l’atteggiamento contraddittorio tenuto dai convenuti: essi, da un lato, sostengono di non poter organizzare il servizio di consumazione a scuola del pasto domestico senza conoscere il numero delle famiglie che intendono avvalersene. E questa pretesa è senz’altro ragionevole, perché ciascun istituto deve acquisire questo dato conoscitivo per poter consapevolmente organizzare il servizio nell’esercizio della propria discrezionalità. Dall’altro però, contraddittoriamente, le medesime amministrazioni negano la sussistenza di un tale diritto in capo ai soggetti diversi dalle parti del giudizio sopra ricordato; e in questo modo si “auto-precludono” la conoscenza del dato in questione, negano la sussistenza del diritto e non si mettono nella condizione di poter concretamente organizzare il servizio.
3.2 Ulteriore motivo di urgenza è dato dal prossimo inizio, fra meno di un mese, dell’anno scolastico 2016-2017, nel corso del quale il diritto qui riconosciuto deve poter essere esercitato. L’urgenza – è opportuno chiarirlo – non deriva tanto dall’esigenza di assicurare, fin dal primo giorno di scuola, la consumazione del pasto domestico a scuola; ma dalla necessità che gli istituti scolastici pongano in essere subito, in preparazione del prossimo anno scolastico, quelle attività organizzative necessarie a permettere l’esercizio del diritto qui riconosciuto (censimenti, individuazione degli spazi, del personale di assistenza, etc.).
- Le modalità di esercizio del diritto.
4.1 Si è già chiarito al punto 1 che il giudice ordinario non ha il potere di individuare e prescrivere le modalità attraverso cui i singoli istituti scolastici devono assicurare l’esercizio del diritto. Un tale limite era stato già chiaramente individuato nella sentenza della Corte d’Appello, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione sulle domande con cui si chiedeva di impartire alle dirigenze scolastiche disposizioni per consentire agli studenti che decidono di non fruire della refezione scolastica di consumare il proprio pasto all’interno dei locali mensa della scuola. Non è pertanto possibile statuire in quale locale scolastico debba essere consumato il pasto portato da casa, né interferire in alcun modo su altre modalità organizzative.
4.2 Va però fatta un’ultima puntualizzazione. Le modalità attraverso cui l’istituto scolastico darà attuazione concreta al diritto qui riconosciuto non possono essere tali da snaturare o annullare di fatto i contenuti del diritto fondamentale alla istruzione, che costituisce il presupposto e la ragion d’essere del diritto (al pasto domestico) che qui si riconosce. E va dunque ricordato che il diritto all’istruzione durante il “tempo mensa e dopo mensa” si sostanzia nella possibilità di fruire di tutti quei contenuti formativi che si sono evidenziati al punto 2.3 (sviluppo della personalità, valorizzazione delle capacità relazionali, educazione ai principi della civile convivenza). Una organizzazione che non consentisse la fruizione del diritto allo studio in questi termini si risolverebbe quindi nella negazione del diritto che è stato qui accertato.
- Spese del procedimento.
5.1 Poiché il presente provvedimento, reso ai sensi dell’art. 700 c.p.c., è idoneo ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, occorre provvedere alla liquidazione delle spese processuali in favore della parte vittoriosa (art. 669-octies c.p.c.). Le spese vengono liquidate come segue sulla base dei parametri di cui al DM 55/2014 e tenuto conto dell’importanza e complessità delle questioni trattate:
- fase di studio € 1.690
- fase introduttiva € 810
- fase decisoria € 1.145
E quindi in totale € 3.645, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge. Di questo importo va ordinata la distrazione, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., in favore dei procuratori antistatari avv.ti Riccardo Vecchione e Giorgio Vecchione.
5.2 Non si ravvisano i presupposti per condannare le amministrazioni convenute al pagamento di una somma per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
P.Q.M.
Visti gli art. 669-sexies e 700 c.p.c.,
accerta e dichiara il diritto del ricorrente di scegliere per il proprio figlio tra la refezione scolastica e il pasto preparato a casa da consumare presso la scuola nell’orario destinato alla refezione;
rigetta ogni ulteriore domanda del ricorrente;
condanna i convenuti all’integrale rimborso delle spese del procedimento in favore del ricorrente, liquidandole in complessivi € 3.645, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge e ordinandone la distrazione, ex art. 93 c.p.c., in favore dei procuratori antistatari avv.ti Riccardo Vecchione e Giorgio Vecchione.
Torino, 13 agosto 2016
Il Giudice
Marco Ciccarelli
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