“Caccia” all’Invalsi
di Stefano Stefanel
Credo sia partita una nuova “caccia” all’Invalsi. In questa mobilitazione contro l’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema dell’Istruzione si stanno fondendo due filoni distinti:
– coloro che contestano l’Invalsi in toto e che cercano di boicottare l’applicazione di qualsiasi valutazione di sistema, descritta per lo più come una schedatura;
– coloro che attaccano l’Invalsi partendo dalla poca scientificità delle sue metodologie valutative.
La coesione di queste due diverse posizioni ha ricevuto in questi ultimi tempi una consistente dose di supporto anche da parte di soggetti che in precedenza una certa apertura all’Invalsi l’avevano concessa. La prima posizione è ben rappresentata dalla mobilitazione permanente dei Cobas, che ha una larga cittadinanza nel mondo della scuola italiana che supera e di molto il consenso del piccolo e combattivo sindacato. Nel sito del sindacato (www.cobas-scuola.it) ci sono delle posizioni molto chiare sull’argomento espresse in un articolo dal titolo “Difendiamo la scuola bene comune lottando contro i quiz Invalsi”. La posizione dei Cobas della scuola tradotta in slogan fornisce copertura ideologica e sindacale alle estemporanee “bocciature” dei quiz Invalsi da parte di Collegi docenti, che non hanno alcun titolo a deliberare in tal senso, ma che comunque deliberano lo stesso e non lo nascondono a nessuno. L’altra posizione è più articolata e nel giro di pochi giorni è stata sostenuta da Maurizio Tiriticco (Perché non sospendiamo le prove Invalsi finché…, su www.edscuola.it del 17 dicembrte 2011) e da Filippo Cancellieri su “Dirigere la scuola” (dicembre 2011): “Si riparte con le rilevazioni Invalsi”. Mentre la prima posizione (quella “alla Cobas”) è di totale rifiuto per qualsiasi intromissione ministeriale nella valutazione degli alunni ed è contro la valutazione dei docenti e delle scuole, la seconda posizione sta cercando di “bocciare” l’Invalsi in forma “soft”: Tiriticco sostiene che bisogna sospendere le valutazioni Invalsi in attesa che il sistema scolastico italiani vada a regime con tutte le sue riforme e che nel frattempo sarebbe il caso di utilizzare le valutazioni che i docenti danno agli alunni per analizzare il sistema scolastico, Cancellieri sostiene che bisogna fermarsi subito perché si sta andando verso la perniciosa prassi del “Teaching to the test”, che secondo lui è in via di ripudiazione dove lo sperimentano da anni.
COSA E’ SUCCESSO?
Uno si potrebbe chiedere: cosa è successo dallo scorso maggio o giugno? Perché questi attacchi preventivi quando la Direttiva ministeriale n° 88 del 3 ottobre 2011 ha già prefigurato il percorso dell’Invalsi nel 2012?
Io credo stiano creando un bel terreno di scontro tre passaggi fondamentali sull’Invalsi:
– nella lettera del 27 ottobre 2011 all’Unione Europea Silvio Berlusconi ha scritto: “L’accountability delle singole scuole verrà accresciuta (sulla base delle prove INVALSI), definendo per l’anno scolastico 2012-13 un programma di ristrutturazione per quelle con risultati insoddisfacenti”;
– il 4 novembre il Commissario comunitario Olli Rehn ha inviato 39 domande all’Italia e la domanda n° 13 era la seguente: “Quali caratteristiche avrà il programma di ristrutturazione delle singole scuole che hanno ottenuto risultati insoddisfacenti ai test INVALSI?”
– nel discorso di insediamento il 17 novembre 2011 il Primo Ministro Mario Monti ha letto anche questo passaggio: “La valorizzazione del capitale umano deve essere un aspetto centrale: sarà necessario mirare all’accrescimento dei livelli d’istruzione della forza lavoro, che sono ancora oggi nettamente inferiori alla media europea, anche tra i più giovani. Vi contribuiranno interventi mirati sulle scuole e sulle aree in ritardo, identificando i fabbisogni, anche mediante i test elaborati dall’INVALSI, e la revisione del sistema di selezione, allocazione e valorizzazione degli insegnanti.”
Sta prendendo piede nel mondo della scuola italiana l’idea che sull’Invalsi si stia facendo troppo sul serio e che quelle rilevazioni con troppi difetti non possano costituire la base di quel famoso sistema di valutazione della scuola che in Italia tutti invocano a parole e ostacolano nei fatti.
Tra l’altro l’aspetto giuridico della questione sarebbe sorprendente se non fosse “ridicolo”:
– il d.lgs 286 del 30 luglio 1999 (“Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche”) al comma 4 dell’articolo 1 precisa: “Il presente decreto non si applica alla valutazione dell’attività didattica e di ricerca dei professori e ricercatori delle università, all’attività didattica del personale della scuola, all’attività di ricerca dei ricercatori e tecnologi degli enti di ricerca”;
– l’articolo n° 74, comma 4 del il d.lgs 150 del 27 ottobre 2009 (Brunetta) chiarisce: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono determinati i limiti e le modalità di applicazione delle diposizioni dei Titoli II e III del presente decreto al personale docente della scuola”.
“Ridicolo” ho scritto perché non trovo altro termine per definire una situazione in cui una norma legislativa primaria vieta di valutare gli insegnanti, un’altra norma primaria rimanda ad un decreto a cui nessuno sta lavorando per la valutazione della performance dei docenti. E in mezzo a questo ennesimo paradosso italiano (“Voglio valutare i docenti e le scuole, ma approvo leggi per non farlo”) l’Invalsi viene assorto al ruolo di salvatore della patria valutativa non attraverso chiari atti ministeriali (impugnabili), ma con frasi ad effetto sparse sempre più spesso in documenti ufficiali, ma privi di valore legislativo.
AVVISARE I SOLDATI GIAPPONESI NELLA GIUNGLA
Quindi è sufficiente avvertire Olli Rehn e Mario Monti che si è scherzato, sospendere sine die le rilevazioni Invalsi, lasciare in pace le scuole e non pensarci più. Accanto a questo si potrebbe avviare uno studio nazionale su come realizzare la valutazione perfetta dei dirigenti scolastici, delle scuole, del sistema dell’istruzione, ben sapendo che l’impresa è impossibile, perché non esiste sistema di valutazione che non sia nato attraverso meccanismi processuali. Il più celebre istituto di ricerca e valutazione del Mondo scolastico attualmente è il Fier (Finnish Institute for Educational Research) di Jyväskylä nella Finlandia Centrale, che ci guarda piuttosto allibiti nel nostro dibatterci in questo magma indistinto che è la valutazione italiana.
Devo dire che in questa fase mi pare meno ipocrita e più diretta la posizione dei Cobas e degli anti-sistema e anti-valutazione piuttosto che quella alla Tiriticco-Cancellieri. E’ molto più serio (anche se piuttosto fuori dal mondo) sostenere che gli insegnanti non devono essere valutati e la scuola italiana difesa con la lotta dall’Invalsi e dall’Unione Europea, piuttosto che proporre di utilizzare le valutazioni dei docenti italiani agli alunni come elemento attraverso cui studiare il sistema dell’istruzione: non c’è nulla di meno scientifico, di più arbitrario e di più legato strettamente all’adesione dello studente a ciò che ha detto il docente della valutazione italiana degli alunni. Tra l’altro quella valutazione continua a basarsi su due prodotti obsoleti come le “interrogazioni” e i ”compiti in classe”. Nella scuola italiana oggi non si sta andando verso il “Teaching to the test”, ma si rimane ancorati al “Teaching to the ‘compito in classe’ or to the “interrogazione” se vogliamo ridicolizzare la banalità del nostro modo di dare voti agli alunni.
E poi un po’ di serietà intellettuale non dovrebbe farci dimenticare che l’Ocse-Pisa ci valuta con test suoi e non con in nostri voti. Io penso che non si possano imbrogliare l’opinione pubblica italiana, l’Unione Europea e l’Ocse cercando di nascondere il dato per cui i voti dell’esame di fine del secondo ciclo sono più alti nelle zone italiane in cui peggiori sono i risultati Ocse-Pisa. E non credo sia il caso di dimenticare che alcune scuole del sud hanno rivendicato anche sui giornali la liceità di imbrogliare sui test Invalsi per non veder penalizzato ulteriormente il sistema dell’istruzione meridionale.
Ritengo invece sia giusto dire che ci sono molte scuole italiane in cui le Prove Invalsi sono considerate serie, attendibili, interessanti. Credo sia giusto dire che molti collegi docenti le hanno inserite nel Pof senza problemi e le considerano fondamentali per la valutazione degli alunni. Credo sia doveroso segnalare che ci sono Regioni (come il Friuli Venezia Giulia) che considerano le prove Invalsi come un passaggio fondamentale per la valutazione degli alunni e del sistema. Credo sia onesto dire che molti docenti non si ergono a esperti di valutazione di sistema e guardano con rispetto il lavoro dell’Invalsi. E credo sia giusto dire infine che molte scuole pubblicizzano i buoni risultati raggiunti perché ne sono orgogliose.
Se l’idea è però quella di buttare una volta ancora tutto a mare chiedo almeno che coloro che stanno lavorando seriamente sull’Invalsi siano avvertiti per tempo (me incluso) per evitare di trasformare una fetta della scuola italiana in “ridicola” paladina di un sistema sbagliato, vessatorio, inutile. Se l’Invalsi verrà gettato via bisognerà dirlo a chi sta investendo su quel meccanismo risorse, intelligenza e impegno. Chi lo fa non chiede che si tenga conto di quello che pensa (chi urla di più in Italia l’ha sempre vinta), ma almeno che lo si avvisi che deve smetterla di prendere sul serio, la valutazione: mica siamo in Finlandia!