Sentenza n. 1049/2016 pubbl. il 21/06/2016
RG n. 391/2015
Repert. n. 1052/2016 del 21/06/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI TORINO
PRIMA SEZIONE CIVILE
Composta da:
dott. Luigi GRIMALDI PRESIDENTE
dott. Caterina MAZZITELLI CONSIGLIERE
dott. Alfredo GROSSO CONSIGLIERE REL
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa iscritta al n. 391\2015 R.G. promossa da:
(OMISSIS) elett.te dom. in Torino, c.so V. Emanuele Il 82 presso lo studio dell’avv. G. Vecchione da cui, oltre che dagli avv. R. Vecchione, M.T. Prone, E. Giachino e L. Sofia, sono rappr. e dif. per delega in atti.
APPELLANTI
CONTRO
COMUNE DI TORINO, elett.te dom. in Torino, V. Corte d’Appello 16 – Avvocatura Comunale presso l’avv. M. Lacognata da cui è rappr. e dif. per procura generale alle liti not. R. Martino 8.9.2011, rep. 28473.
APPELLATO
E CONTRO
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’.E DELLA RICERCA – MIUR, domiciliato in Torino presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato da cui è rappresentato e difeso ex lege.
APPELLATO – APPELLANTE INCIDENTALE
DISCUSSIONE ORALE DEL 19.4.2016
CONCLUSIONI DI PARTE APPELLANTE:
- Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Torino, nel merito, riformare integralmente l’impugnata ordinanza del Tribunale di Torino 30 gennaio – 2 febbraio 2015, e per l’effetto, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, accertare e dichiarare il diritto di ciascun genitore di scegliere per i propri figli, frequentanti le scuole elementari e medie, tra la refezione scolastica ed il pasto domestico, consentendo ai minori la possibilità di consumare il pasto domestico all’interno dei locali adibiti a mensa della scuola nell’orario destinato alla refezione;
- Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Torino, per l’effetto, ordinare al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di impartire alle dirigenze scolastiche delle scuole elementari e medie della Città di Torino, le opportune disposizioni affinchè sia consentito agli studenti che scelgono di non fruire della refezione scolastica comunale, di consumare il proprio pasto domestico all’interno dei locali mensa della scuola, nell’orario destinato alla refezione, accanto ai propri compagni.
- Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Torino, per l’effetto ordinare al Comune di Torino di astenersi dal porre limiti e divieti che siano in contrasto con l’accertando diritto di scelta e con le disposizioni che verranno eventualmente impartite dal Ministero alle singole dirigenze scolastiche, consentendo, per l’effetto, agli studenti che non fruiscono della refezione scolastica, la facoltà del consumo del pasto domestico all’interno dei refettori delle scuole di proprietà comunale.
- Voglia l’Ecc. ma Corte d’Appello di Torino, fissare, ai sensi dell’art. 352 cod.proc.civ., udienza pubblica di discussione del ricorso;
- Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello di Torino condannare le parti appellate al pagamento delle spese ed onorari di entrambi i gradi di giudizio, oltre iva (22%), cpa (4%) e spese generali (15%), oltre al rimborso dei contributi unificati.
CONCLUSIONI DI PARTE APPELLATA COMUNE DI TORINO:
Voglia l’Ecc. ma Corte adita:
-Respinta ogni contraria istanza eccezione e deduzione
-In via principale: Respingere l’avversario appello proposto avverso l’Ordinanza del Tribunale di Torino del 30.1.2015, Sez. I, G.M. dott.ssa Silvia Orlando, resa in esito al ricorso R.G. 31531/14 e conseguentemente respingere integralmente tutte le domande proposte dalle parti appellanti, confermando l’appellata ordinanza del 30.1.2015.
-In subordine: Respingere in ogni caso le avversarie domande proposte nei confronti del Comune di Torino o che comunque involgono attività riportabili a detto Ente e assolvere il Comune di Torino da ogni pretesa elo domanda nei suoi confronti formulata.
-Con condanna al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado.
CONCLUSIONI DI PARTE APPELLATA – APPELLANTE INCIDENTALE MIUR:
Dichiararsi in via pregiudiziale l’inammissibilità dell’appello proposto dalla controparte avverso l’ordinanza pronunciata in data 30/1/2015 del Tribunale di Torino per carenza di interesse all’impugnazione in capo agli appellanti, ovvero per carenza di giurisdizione del Giudice Ordinario; in subordine, nel merito, rigettarsi l’appello in quanto infondato e, per l’effetto confermarsi integralmente la pronuncia impugnata, ovvero comunque assolversi il Ministero appellato da ogni domanda proposta nei suoi confronti.
In ogni caso, condannarsi gli appellanti al pagamento delle spese processuali sia per il presente grado di giudizio, sia, in accoglimento dell’appello incidentale, per il giudizio di primo grado.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 14 novembre 2014 e ritualmente notificato, 150 genitori -deducendo che i propri figli erano iscritti a scuole comunali elementari e medie ove fruivano del servizio di refezione scolastica- convenivano il Comune di Torino ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR avanti al Tribunale di Torino affinchè:
- accertasse il loro diritto di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico, ed, in particolare, il proprio diritto a che venisse consentito ai minori la possibilità di consumare il secondo all’interno dei locali adibiti a mensa della scuola nell’orario destinato alla refezione;
- ordinasse al MIUR di impartire alle dirigenze scolastiche delle scuole elementari e medie della Città di Torino, le opportune disposizioni;
- ordinasse al Comune di Torino di astenersi dal porre limiti e divieti in contrasto con il suddetto diritto di scelta e con le eventuali disposizioni del MIUR, così da consentire il consumo del pasto domestico all’interno dei refettori delle scuole di proprietà comunale.
I resistenti si costituivano in giudizio contestando il fondamento delle domande avversarie, di cui chiedevano il rigetto.
In particolare, il MIUR eccepiva altresì il difetto di interesse in capo ai ricorrenti nonché il difetto di giurisdizione del G.O ..
Con ordinanza datata 30 gennaio 2015 e comunicata il 2 febbraio 2015 il Tribunale
rigettava tali domande compensando integralmente le spese di lite.
Con atto definito “ricorso in appello”, ma avente la struttura di atto di citazione notificato il 2 marzo 2015, parte degli attori in primo grado -quelli in epigrafe indicati- interponeva appello avverso tale ordinanza chiedendone la riforma sulla base dei motivi di cui infra al fine di ottenere l’accoglimento delle proprie domande.
Il Comune di Torino ed il MIUR si costituivano chiedendo il rigetto dell’appello.
Il secondo riproponeva le eccezioni di difetto di interesse e di difetto di giurisdizione del G.O. formulando, inoltre, appello incidentale nei confronti del regolamento delle spese operato da parte dell’ordinanza del Tribunale di Torino.
All’udienza del 22 dicembre 2015 venivano precisate le conclusioni definitive e, depositate le comparse conclusionali e le note di replica, all’udienza del 19 aprile 2016 aveva luogo la discussione orale, in esito alla quale la Corte assumeva la causa a decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Tribunale ha, innanzitutto, respinto l’eccezione di carenza di interesse ad agire formulata dal MIUR in quanto i ricorrenti avevano fatto valere non solo il proprio diritto alla scelta tra la refezione scolastica e quella domestica, ma l’ulteriore diritto dei propri figli di consumare il pasto domestico all’interno dei locali scolastici adibiti a mensa nell’orario destinato alla refezione.
Nel merito, ha rigettato le domande dei ricorrenti non essendo configurabile un loro diritto soggettivo a consumare il pasto domestico con tali modalità.
Infatti, il servizio di refezione scolastica è (come previsto dal D.M. 31 dicembre 1983 emanato ai sensi dell’art. 6 del D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito in L. 26 aprile 1983, n. 131 in tema di costi dei servizi pubblici a domanda individuale) servizio locale a domanda individuale che l’ente non ha l’obbligo di istituire ed organizzare ed è facoltativo per l’utente che può, quindi, scegliere di non avvalersene.
L’ordinamento prevede, dunque, una potestà pubblica discrezionale, ma non l’obbligo di istituire il servizio di ristorazione scolastica e neppure quello di istituire un servizio alternativo interno alla scuola per coloro che intendono consumare il pasto “domestico”: mancando una norma che imponga all’amministrazione di consentire, a tal fine, l’utilizzo dei locali della mensa scolastica in orario di refezione non può esservi il corrispondente diritto soggettivo vantato dai ricorrenti.
In caso di attività discrezionale il conseguimento del risultato dipende, infatti, dall’esercizio di un potere pubblico a fronte del quale non sono riconoscibili, in capo al privato, situazioni di diritto soggettivo, né -quanto al caso di specie- con riferimento alla stessa istituzione del servizio mensa né ad ottenere la prestazione alternativa oggetto di causa.
Un diritto soggettivo può aversi solo qualora la legge specifichi il contenuto del dovere dell’amministrazione configurando il suo comportamento come dovuto quale elemento di un concreto rapporto giuridico, in relazione a determinate prestazioni da garantire a dati soggetti e, quindi, come vero e proprio obbligo dell’amministrazione stessa.
Qualora, invece, nella norma di legge manchi tale specificazione ed il dovere resti fuori dall’orbita di ogni rapporto giuridico, la posizione soggettiva del cittadino non assurge a rango di diritto, potendo al contrario atteggiarsi, a fronte del potere amministrativo che deve essere attivato per organizzare il servizio, ad interesse legittimo o potendo rimanere, in talune ipotesi, addirittura confinata sul piano degli interessi di mero fatto (ed in tal senso il Tribunale ha richiamato la sentenza del TAR Piemonte, Sez. Il, n. 1456/2014, citata dal Comune di Torino).
L’esistenza del diritto vantato dai ricorrenti si porrebbe in contrasto con tali principi né potrebbe fondarsi sulle norme costituzionali da loro invocate, in particolare sugli artt. 3, 34, 35 della Costituzione.
Secondo il Tribunale, infatti:
- non vi è un obbligo di avvalersi del servizio di refezione scolastica, trattandosi di servizio a domanda individuale;
- ciascun genitore può scegliere di non usufruirne optando, alle scuole elementari, per il “modulo” anziché per il “tempo pieno” ovvero, nel caso di scelta del tempo pieno, prelevando il figlio da scuola -o facendolo prelevare da persona autorizzata- durante l’orario della mensa e riaccompagnandolo -o facendolo riaccompagnare da persona autorizzata- prima della ripresa delle lezioni pomeridiane ed, alle scuole medie, facendo uscire il figlio durante l’orario dedicato alla mensa e facendolo rientrare dopo il pasto;
- non vi è, quindi, violazione del principio costituzionale della gratuità dell’istruzione inferiore di cui all’art. 34, secondo comma, Cost., potendo i costi della refezione scolastica essere evitati non usufruendo del servizio;
- non vi è nemmeno violazione dell’art. 35 Cost. poichè la tutela del lavoro non contempla il riconoscimento di un diritto soggettivo del lavoratore ad un “tempo scuola” per i figli corrispondente o rapportato all’orario lavorativo;
- non vi è violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà sociale di cui all’art. 3 Cost. non essendo ravvisabile una disparità di trattamento tra alunni che pranzano a scuola e alunni che non vi trascorrono l’orario della mensa avendo i genitori scelto di non usufruire del relativo servizio;
- le fasce reddituali più svantaggiate usufruiscono della ristorazione scolastica in base a tariffe agevolate o ridotte ovvero sono esonerate dal loro pagamento se in condizioni di disagio socio-economico, per cui la diversità di situazioni in cui vengono a trovarsi gli alunni che non si fermano nell’orario della mensa a scuola è il frutto di una libera scelta individuale e non di condizioni economiche disagiate;
- essa si determinerebbe anche tra alunni che consumano nei locali mensa il pranzo portato da casa e che consumano il pasto fornito dal servizio di refezione scolastica e non integra una discriminazione tutelabile ai sensi dell’art. 3 Cost. come non la integrerebbe la diversità di situazioni tra alunni che frequentano il “tempo pieno” e alunni che frequentano il “modulo”, posto che il permanere a scuola nell’orario della mensa a prescindere dalla fruizione del relativo servizio non costituisce di per sé bene giuridico protetto dall’ordinamento.
Infine, il Tribunale ha integralmente compensato le spese di lite in ragione della novità delle questioni trattate e dell’infondatezza dell’eccezione di carenza di interesse ad agire.
Ciò premesso, gli appellanti hanno innanzitutto precisato (formulando una prima censura “di metodo”) in termini generali (v. l’atto di appello, in particolare p. 12\13 nonché 18\19) di non avere richiesto la condanna delle amministrazioni convenute all’organizzazione di un servizio pubblico nuovo e diverso alternativo a quello della refezione scolastica, ma soltanto l’accertamento del loro diritto soggettivo di sottrarsi ad esso senza essere obbligati ad un’organizzazione personale e familiare spesso .impossibile da realizzare.
Essi ricorrenti non avrebbero mai rivendicato una prestazione dell’Amministrazione diversa dal servizio di refezione scolastica in essere ed il Tribunale avrebbe perso di vista “l’essenza della domanda processuale avanzata dai ricorrenti che era una mera domanda di accertamento della sussistenza di un diritto” e che troverebbe il proprio fondamento nelle norme di rango costituzionale di cui il Tribunale avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità in funzione di tale domanda.
La domanda degli appellanti va, dunque, interpretata alla luce di tale espressa precisazione (salvo quanto infra), in forza della quale la Corte è innanzitutto chiamata a verificare se -diversamente da quanto ritenuto dal provvedimento impugnato- possa invece desumersi il diritto dei propri figli (N.B.: minori di età, frequentando essi le scuole elementari e medie) di rimanere presso l’istituto scolastico durante la refezione e di consumarvi un pasto diverso da quello fornito dal servizio di refezione scolastica.
Le censure cntenute nell’atto di appello possono, quindi, essere sintetizzate nel modo seguente.
Con un primo motivo viene dedotto l’errore compiuto dal Tribunale nel ritenere che gli allievi possano allontanarsi dalla scuola durante la refezione. lnfatti:
- il “tempo pieno” alle scuole elementari di 40 ore settimanali includerebbe anche la pausa pranzo da considerarsi “tempo scuola”, come desumibile anche da risposta a quesito contenuta nel sito Internet del MIUR;
- mentre nel “tempo prolungato” alle scuole medie la frequenza della. mensa, pur se facoltativa, è comunque considerata opportuna, nel “tempo pieno” è quindi obbligatoria e, trattandosi di “tempo scuola” la prassi di prelevare i figli a scuola durante il tempo della mensa per riaccompagnarli per le lezioni pomeridiane non risponderebbe alla normativa istitutiva del “tempo pieno” ed i ragazzi che frequentano con tale formula lasciando la scuola durante la pausa mensa collezionerebbero ore di assenza incidenti sulla frequenza scolastica;
- essendo, invece, obbligatoria la presenza a scuola durante la pausa pranzo, in assenza del diritto di scelta vantato dagli appellanti essa si porrebbe in contrasto con la natura di servizio non obbligatorio a domanda individuale della refezione scolastica dovendosi escludere l’alternativa costituita dal digiuno;
- ciò si risolverebbe nella violazione dei generali principii di libertà individuale e di eguaglianza di tutti gli studenti in connessione con il diritto allo studio, da ritenersi lesi da parte di un sistema che impone, quale unica soluzione, di allontanarsi dalla scuola per sottrarsi ad un servizio pubblico non obbligatorio.
Il Tribunale avrebbe, pertanto, errato nel ritenere che la permanenza a scuola nell’orario della mensa, a prescindere dalla fruizione del servizio di refezione, non costituisca di per sé bene giuridico protetto dall’ordinamento e nell’escludere non solo che si tratti di un diritto, ma anche di un obbligo previsto dalla legge.
In secondo luogo -e con un secondo motivo formulato per l’ipotesi in cui si ritenga che la presenza a scuola durante la pausa pranzo non sia obbligatoria l’età degli alunni delle scuole elementari renderebbe necessario che essi vengano prelevati e riportati a scuola dai genitori o da persone di loro fiducia.
Vi sarebbe, quindi, la mancata protezione del diritto al lavoro dei genitori nonché violazione dell’art. 35 della Costituzione, del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 e di gratuità dell’istruzione inferiore di cui all’art. 34 per effetto dell’imposizione della mensa comunale e del relativo costo, cioè di un servizio che dovrebbe essere facoltativo.
Ragioni di eguaglianza e di parità di trattamento imporrebbero di applicare i medesimi principii anche ai ragazzi che non frequentano il tempo pieno, ma che hanno l’obbligo di rientro pomeridiano: anch’essi non potrebbero essere costretti a fruire di un servizio facoltativo “in un contesto di libera scelta in cui i genitori non hanno modo di occuparsi di loro durante la pausa pranzo”.
Nella propria comparsa conclusionale gli appellanti hanno, poi, richiamato anche l’art. 2 (secondo cui la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo) e l’art. 32 della Costituzione, da cui dovrebbe desumersi un diritto alla libertà nelle proprie scelte alimentari.
Dal punto di vista dell’art. 3 è stato, inoltre, sottolineato come -essendo consentito ai genitori di religione islamica di scegliere gli alimenti da escludere dal menù dei propri figli ed avendo varie amministrazioni comunali elaborato diete speciali per ragazzi vegetariani o vegani- per ragioni di parità di trattamento dovrebbe anche essere consentito, più in generale, di rinunciare al servizio di refezione comunale.
Il Tribunale avrebbe, quindi, errato nel non individuare il fondamento del diritto vantato dai ricorrenti nelle suddette norme costituzionali ed avrebbe erroneamente fatto riferimento ai principii riguardanti la discrezionalità amministrativa.
Il Comune, a p. 6\7 della propria comparsa di costituzione ha dedotto che dei figli degli appellanti 46 frequentano la scuola elementare e 13 la scuola media.
Di questi ultimi, solo uno ha scelto un orario che comporta tre rientri pomeridiani mentre gli altri ne hanno due.
Inoltre, 8 sono stati ritirati dal servizio mensa anteriormente alla proposizione del ricorso e 2 non vi risultano iscritti per l’anno scolastico 2013\2014.
Da tali circostanze di fatto il Comune fa conseguire l’insussistenza di una lesione del diritto allo studio; la prova del fatto che il servizio mensa non rappresenta un obbligo nonché il difetto di interesse ex art. 100 c.p.c..
Analogamente, quanto alle scuole elementari ha evidenziato che solo 26 figli degli appellanti su 45 fruiscono del tempo scuola di 40 ore con 5 rientri settimanali, di cui 3 risultano ritirati dal servizio mensa anteriormente alla proposizione del ricorso.
Tali argomentazioni sono, però, irrilevanti nonchè prive di fondamento, in particolare in relazione a quanto si dirà più oltre.
In primo luogo, infatti, le scelte concretamente compiute dai genitori in merito all’orario scolastico ed ai relativi “rientri” pomeridiani dei propri figli, che il Comune ha messo in evidenza, sono correlate con il sistema attuale e non hanno, quindi, alcuna incidenza sull’interesse ad ottenere l’accertamento di un diritto che potrebbe comportare l’adozione di un sistema di refezione almeno in parte diverso.
In secondo luogo, una volta ricostruito il diritto all’istruzione nei termini di cui infra, su di esso non possono incidere considerazioni di tipo meramente quantitativo in merito al numero dei “rientri” settimanali di ciascuno.
Il Comune ha, inoltre, dedotto la propria estraneità giuridica alla domanda proposta dagli appellanti.
Essa, infatti, non riguarderebbe le proprie competenze istituzionali, che si esplicano nell’attività positiva di organizzazione e fornitura del pasto collettivo su richiesta dell’utenza: ex D.M. 31 dicembre 1983 si tratterebbe di servizio a domanda individuale con la conseguenza che non vi sarebbe alcun obbligo di fruire della mensa comunale.
Anche tale argomentazione è priva di fondamento.
Come sottolineato dallo stesso Comune, il servizio pubblico locale della refezione scolastica è attribuito all’Amministrazione. comunale dall’art. 6 D.L. 28.2.1983, n. 55 convertito in L. 26.4.1983, n. 131 nonchè dal D.M. 31.12.1983 e la prospettazione degli appellanti coinvolge anche il Comune di Torino appunto perchè si chiede di accertare l’esistenza di un diritto che dovrebbe essere esercitato con modalità potenzialmente interferenti con il servizio di refezione scolastica, come peraltro desumibile anche dalle difese svolte dal MIUR che ha prospettato la possibile violazione di quanto previsto dai relativi capitolati (v. la sua comparsa di costituzione, in particolare a p. 8).
Il Comune di Torino ha, inoltre, ulteriormente dedotto che:
- si tratta di un servizio discrezionale tanto nell’an che nel quomodo non costituente servizio pubblico necessario od indispensabile;
- già in base alla prospettazione non vi è alcun riflesso sull’orario scolastico quanto agli allievi delle scuole medie;
- quanto alle elementari, nessuna norma prevede che l’orario della mensa costituisca obbligo scolastico didattico. Il “tempo mensa” è “tempo scuola”, ma è distinto dall’attività didattica ed il diritto allo studio va rapportato all’orario settimanale, in cui non rientrano le ore di permanenza durante la mensa: l’eventuale assenza non incide quindi sulla frequenza scolastica;
- il “tempo pieno” non è obbligatorio, ma corrisponde ad un modulo facoltativo ed attivabile discrezionalmente solo ove la singola istituzione scolastica abbia la disponibilità di organico aggiuntivo e disponga delle necessarie strutture e servizi;
- la domanda degli appellanti si risolverebbe nell’imporre un facere in assenza di una norma che preveda il diritto da loro vantato, stante l’inconferenza delle norme costituzionali da loro invocate.
Dal canto suo, il MIUR ha eccepito il difetto di interesse ad agire sotto il profilo della carenza di interesse all’impugnazione.
Richiamate le principali norme che disciplinano il sistema scolastico ed, in particolare, la refezione scolastica ha sottolineato come ciascun genitore, al momento dell’iscrizione ai singoli anni scolastici, abbia la facoltà di scegliere tra “tempo pieno” (per il quale è previsto il servizio di mensa) e “tempo definito” e “gli utenti del servizio scolastico sono liberi di organizzare la refezione degli alunni con le modalità e le tempistiche ritenute congrue rispetto alle esigenze di ciascuno, senza bisogno di imporre alcun obbligo alla pubblica amministrazione”.
Tale eccezione è, però, priva di fondamento.
L’interesse degli appellanti ad agire ed a proporre l’impugnazione nasce, infatti, proprio dalla loro prospettazione del diritto a fruire del “tempo scuola” e di quello dedicato alla refezione con modalità diverse da quelle effettivamente praticate senza che tale interesse debba essere perseguito, anche attraverso determinate scelte dell’orario scolastico, facendo in modo che i pasti non vengano consumati a scuola.
Il MIUR ha, inoltre, eccepito il difetto di giurisdizione del G.O. a conoscere delle domande che comporterebbero all’Amministrazione l’imposizione di un facere specifico, essendo -ex artt. 4 e 5 L. 20.3.1865, AlI. E- in sede di giurisdizione ordinaria ammesse in via generale le sole azioni di accertamento.
Ha, inoltre, dedotto l’insussistenza del diritto vantato dagli appellanti per ragioni analoghe a quelle svolte dal Comune nonché in relazione a prioritarie finalità di tutela e promozione della salute nonché igienico-sanitarie e di garanzia dell’integrità e sicurezza dei prodotti alimentari (v. la comparsa di costituzione, in particolare pagg. 7\12) che sarebbero vanificate dalla prospettata imposizione alle istituzioni scolastiche de l’obbligo di consentire il consumo a scuola di alimenti estranei al servizio di mensa.
Ha, infine, proposto appello incidentale in merito al regolamento delle spese operato dal Tribunale poiché la loro compensazione non potrebbe essere legittimata dal rigetto di un’eccezione pregiudiziale che non comporterebbe soccombenza reciproca.
D’altro canto, la domanda sarebbe manifestamente priva di fondamento, per cui si sarebbe dovuto fare applicazione del principio della soccombenza.
Il primo motivo d’appello è fondato nei termini e nei limiti che seguono.
Innanzitutto, com’è noto l’art. 34, primo comma, della Costituzione prevede il diritto all’istruzione, obbligatoria per almeno otto anni e gratuita.
Il contenuto di tale diritto si è modificato nel corso del tempo partendo da una originaria concezione di “istruzione” (v. ad es. Corte Cost. sent. 1.2.1967, n. 7 a proposito della sua gratuità) nel senso “dell’insegnamento inteso quale attività del docente diretta ad impartire cognizioni” che si è poi evoluta al di là di tale ristretto ambito.
Tale evoluzione si coglie chiaramente dalle indicazioni e dall’interpretazione contenute nella Circolare del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca n. 29 del 5 marzo 2004, (prodotta dal Comune di Torino quale alI. B) emessa a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 19.2.2004, n. 59 ed ove viene sottolineato (v. p. 4) come il primo ciclo, della durata di 8 anni ed avente carattere unitario, costituisca la prima fase in cui si realizza il diritto-dovere non solo all’istruzione, ma anche alla formazione: esso si articola nella scuola primaria (della durata di cinque anni, le C.d. “elementari”) e nella scuola secondaria di I grado (della durata di tre anni, le C.d. “medie”).
A proposito degli “Aspetti significativi del provvedimento legislativo” nella Circolare viene, poi, chiarito che l’orario annuale delle lezioni nel primo ciclo di istruzione comprende: (a) un monte ore obbligatorio; (b) un monte ore facoltativo opzionale; (c) eventualmente l’orario riservato all’erogazione al servizio di mensa e di dopo mensa con la precisazione che “I tre segmenti orari rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico. Essi non vanno considerati e progettati separata mente, ma concorrono a costituire un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa” (v. p. 3\4).
Coerentemente con tale impostazione al punto 2.3 della Circolare viene, poi, precisato (v. “p.11.) che i servizi di mensa sono necessari a garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche e vengono erogati utilizzando l’assistenza “educativa” (N.B.: e non una mera attività di “sorveglianza”) del personale docente che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa.
Analogo chiarimento è contenuto al punto 3.1 della Circolare (v. p. 16) a proposito della scuola secondaria di primo grado ed attualmente si parla ormai di “tempo scuola”, che non comprende soltanto le attività strettamente didattiche (v. ad es. il D.P.R. 20.3.2009, n.89, art. 4).
L’originaria concezione di “istruzione” e di “insegnamento” intesi “quale attività del docente diretta ad impartire cognizioni” è, dunque, venuta ad assumere una diversa connotazione.
Il primo ciclo d’istruzione rappresenta ormai un processo educativo e formativo che mira a conseguire la propria finalità non solo mediante attività di tipo strettamente didattico tanto che, come si è visto più sopra, il servizio scolastico si svolge attraverso tutti i previsti “segmenti orari”, che rappresentano il tempo complessivo della sua erogazione e che concorrono a costituire, compreso il tempo-mensa, modello unitario del processo educativo.
Tale conclusione è condivisa dallo stesso MIUR il quale, a p. 7 della propria comparsa di costituzione ha espressamente affermato che “La ristorazione scolastica, quindi, non deve essere vista come semplice soddisfa cimento dei bisogni nutrizionali, ma deve essere considerata un importante e continuo momento di educazione e di promozione della salute, che coinvolge sia gli alunni che i docenti”.
Da tale premessa discende che il diritto all’istruzione primaria non corrisponde più al solo diritto di ricevere cognizioni, ma in modo più ampio al diritto di partecipare al complessivo progetto educativo e formativo che il servizio scolastico deve fornire nell’ambito del “tempo scuola” in tutte le sue componenti e non soltanto a quelle di tipo strettamente didattico.
Avuto, in particolare, riguardo alla funzione del “tempo mensa” deve, dunque, ritenersi -disattendendo la conclusione cui è giunto il Tribunale- che il permanere presso la scuola nell’orario della mensa costituisca un diritto soggettivo perfetto proprio perché costituisce esercizio del diritto al’istruzione nel significato appena delineato.
In secondo luogo, non è controverso che il servizio di refezione scolastica sia (come previsto dal D.M. 31 dicembre 1983 emanato ai sensi dell’art. 6 del D.L. 28 febbraio 1983, n. 55, convertito in L. 26 aprile 1983, n. 131 in tema di costi dei servizi pubblici a domanda individuale) servizio locale a domanda individuale, che l’ente non ha l’obbligo di istituire ed organizzare e facoltativo per l’utente.
La facoltatività rappresenta, dunque, una caratteristica intrinseca di tale servizio che non può mutare a seconda delle circostanze così da farlo diventare obbligatorio e non facoltativo.
Infine, neppure è controverso -non avendo nessuno dei due convenuti sostenuto la tesi contraria- che gli alunni debbano, per evidenti ragioni, nel tempo mensa consumare un pasto.
Se, quindi, la permanenza a scuola in tale segmento orario risponde ad un diritto
soggettivo, se la refezione scolastica non può diventare obbligatoria e se deve comunque aver luogo il consumo di un pasto, ne consegue necessariamente che ciò debba avvenire presso la scuola, ma al di fuori della refezione scolastica.
Il Tribunale ha ritenuto che, comunque, ciascun genitore potrebbe scegliere di non usufruirne optando per l’orario strutturato sul “modulo” anziché per il tempo pieno ovvero prelevando il figlio a scuola durante il tempo della mensa e riaccompagnandovelo successivamente.
In tal modo verrebbe, però, ad essere leso il diritto di partecipare al “tempo mensa” quale segmento del complessivo progetto educativo ovvero –fruendo della refezione scolastica per necessità ed in assenza di alternativa- si trasformerebbe, come si è detto, il relativo servizio in servizio obbligatorio.
Deve, pertanto, conclusivamente ritenersi che il diritto vantato dagli appellanti – ancorchè non espressamente previsto da una norma specifica- sia comunque desumibile dall’ordinamento costituzionale e scolastico nei termini di cui si è appena detto.
Inoltre, essi hanno certamente interesse al suo accertamento perché la possibilità di fruire presso le rispettive scuole del pasto domestico è stata loro negata non già per ragioni concrete, coinvolgenti l’azione amministrativa e legate alle situazioni dei singoli istituti, ma “a monte”, in termini generali e proprio sul piano normativo.
In particolare, alla luce dell’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata in merito all’insussistenza di un obbligo per l’amministrazione di istituire lo stesso servizio di refezione scolastica, un interesse ad ottenere tale accertamento non sarebbe stato ravvisabile solo ove detto servizio non vi fosse presso gli istituti frequentati dai figli degli appellanti posto che, in tal caso, verrebbe a mancare lo stesso “tempo mensa” e, quindi, uno dei “segmenti orari” del servizio scolastico.
Dagli atti e dalle allegazioni delle parti si desume, invece, la situazione contraria essendo la domanda stata formulata sul presupposto dell’istituzione del servizio mensa presse le scuole interessate.
Quanto, poi, alla concreta attuazione del diritto in questione, come si è visto gli appellanti hanno espressamente precisato di essersi limitati a formulare una mera domanda di accertamento, peraltro affermando poi (v. l’atto di appello a p. 21) che il G.O. “si sarebbe dovuto limitare a dettare le modalità pratiche per dare concreta attuazione alla sentenza che avesse accertato il diritto invocato” e mantenendo ferme le conclusioni originarie, in particolare i punti 2) e 3).
Per tale profilo la pretesa non può, però, essere accolta.
L’attuazione del loro diritto non può, infatti, risolversi nel consentire indiscriminatamente agli alunni di consumare il pasto domestico presso la mensa scolastica, ma implica l’adozione di una serie di misure organizzative -anche in funzione degli aspetti igienico\sanitari- in relazione alla specifica situazione logistica dei singoli istituti interessati (v. ad es. la lettera del dirigente scolastico della scuola media Nievo-Matteotti prodotta dagli appellanti sub doc. 19, diretta al Comune di Torino ed attinente a possibili modalità di fruizione del pasto domestico).
Si tratta, dunque, di valutazioni tipicamente rientranti nell’attività discrezionale dell’Amministrazione e che esulano dalla cognizione del G.O ..
I principii e le pronunzie richiamati a p. 21 dell’atto di appello sono, infatti, in conferenti perché nel caso di specie non viene fatta valere una responsabilità di tipo risarcitorio né viene dedotta un’attività soggetta al principio del neminem ledere (varie delle sentenze citate attengono, infatti, al tema delle immissioni causate dalla PA).
In definitiva, in parziale accoglimento dell’appello ed in parziale riforma della sentenza di primo grado deve accertarsi il diritto degli appellanti di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione.
Va, invece, dichiarato il difetto di giurisdizione del G.O. sulle restanti domande.
La riforma della sentenza di primo grado e la conseguente necessità di un nuovo regolamento delle spese comporta l’assorbimento dell’appello incidentale del MIUR.
Quanto alle spese dei due gradi, il ricorso avanti al Tribunale è stato depositato anteriormente alla data in cui l’attuale testo del secondo comma dell’art. 92 c.p.c. è divenuto applicabile, con la conseguenza che ai fini del loro regolamento deve aversi riguardo al precedente testo della norma.
Ciò posto, la novità delle questioni trattate (da ritenersi assoluta, non constando che sul punto vi siano precedenti né le parti ne hanno richiamati) rappresenta ragione che giustifica l’integrale compensazione delle spese dei due gradi.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Torino, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando;
- a) In parziale accoglimento dell’appello proposto dagli appellanti indicati in epigrafe nei confronti del Comune di Torino e del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca avverso l’ordinanza datata 30 gennaio 2015 e comunicata il2 febbraio 2015 del Tribunale di Torino ed in parziale riforma di tale ordinanza;
- b) Accerta il diritto degli appellanti di scegliere per i propri figli tra la refezione scolastica ed il pasto domestico da consumarsi nell’ambito delle singole scuole e nell’orario destinato alla refezione, il tutto nei limiti e nei termini di cui in motivazione;
- c) Dichiara il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario a conoscere delle domande di cui ai punti 2) e 3) delle loro conclusioni;
- d) Dichiara interamente compensate tra tutte le parti le spese dei due gradi.
Così deciso in Torino, in Camera di Consiglio il giorno 19 aprile 2016
IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE
Afredo GROSSO Luigi GRIMALDI
DEPOSITATO nella Cancelleria della Corte di Appello di Torino li 21 GIU 2016
2 commenti su “Sentenza Corte d’Appello di Torino 21 giugno 2016, n. 1049”
I commenti sono chiusi.