Il liceo dei licei
di Maurizio Tiriticco
Quella del “liceo dei licei”, avanzata dal dirigente scolastico del Liceo Virgilio-Redi di Lecce Dario Cillo, è un’espressione efficace e, per certi versi, rivoluzionaria. Ma rivoluzionaria per l’assetto attuale del nostro attuale sistema scolastico, non davvero per la realtà dei concreti bisogni di Educazione, Istruzione e Formazione di cui necessitano i nostri giovani. Si tratta di concetti chiaramente esposti nella normativa che ha fatto seguito all’avvio dell’autonomia delle istituzioni scolastiche alla fine del secolo scorso. In effetti all’articolo 1, comma 2 del dpr 275/1999, leggiamo testualmente: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”.
Il successo formativo che dobbiamo garantire a tutti – non uno di meno – si può realizzare proprio a condizione che il nostro sistema scolastico educhi ai valori della democrazia e della solidarietà, formi le persone nel pieno rispetto delle attese di ciascuno, le istruisca a quei saperi che garantiscano il raggiungimento di quelle competenze che consentano l’accesso a studi ulteriori all’accesso al mondo del lavoro.
Questo è l’impegno che abbiamo assunto quindici anni fa, ma che ancora non siamo riusciti a realizzare pienamente. In effetti, se leggiamo attentamente gli articoli 3, 4 e 5 del dpr 275/1999 – considerando anche che l’articolo 3 è stato profondamente rinnovato e implementato dall’articolo 1, comma 14 della legge 107/2015 – vi ritroviamo tutte le condizioni per un rinnovamento radicale dei nostri percorsi di studio.
Che cosa non ha permesso di avviare quel riordino implicito nel dpr 275/1999? A mio vedere, i maggiori ostacoli sono stati due: a) la difficoltà di applicare totalmente quanto indicato nei citati tre articoli del dpr 275 a causa della oggettiva rigidità del sistema; b) un mancato riordino dei cicli.
Ora, la riscrittura del citato articolo 3 sarà sufficiente a far sprigionare quelle energie idispensabili per quel necessario rinnovamento dei percorsi di studio e della didattica? Non credo, in quanto i laccioli pregressi, di cui – come si suol dire – alla normativa vigente, non sono stati rimossi. E ancora: l’insistere su percorsi di studio frammentati in quanto sia a gradi che ad ordini non aiuta quel rinnovamento auspicato ed estremamente necessario. Si tratta di gradi e ordini che vengono da lontano, che si sono sovrapposti l’uno sull’altro in seguito a necessità che nel corso degli anni sono venute emergendo e che non sono state mai affrontate con una visione di insieme e una prospettiva di lunga durata. Comunque, va dato atto a due ministri, anche se di visioni opposte, Luigi Berlinguer e Letizia Moratti, di aver tentato di por mano a riordini complessivi dei cicli, ambedue fallimentari per ragioni diverse e che in questa sede non occorre analizzare.
Ma vediamo quali sono le maggiori difficoltà. Che senso ha avere istituito un obbligo di istruzione decennale che poi si consuma e si sbriciola, letteralmente, lungo tre spezzoni che spesso tra loro non si parlano? E con un primo ciclo che termina con un esame complicato e pesante che sembra concludere un “qualcosa” che invece non conclude nulla? Ed è anche noto che la certificazione delle competenze di cittadinanza (di cui alla Raccomandazione UE del 18 dicembre 2006 e da noi fatte proprie con il dm 139/2007) e delle competenze culturali (di cui a quattro assi culturali pluridisciplinari e al secondo livello dell’European Qualifications Framework del 23 aprile 2008) è, nella stragrande maggioranza dei casi, un’operazione semplicemente formale. Per non dire poi della eterna frammentazione in tre ordini dell’istruzione secondaria, che riflette la politica scolastica di sempre, da Gentile in poi, inossidabile: i licei per i cosiddetti alunni migliori, i tecnici per i “così cosi” e i professionali per gli “sfigati”! Un assunto che oggi è assolutamente fuori dalla realtà sia dei nostri giovani che del mondo del lavoro. Per non dire poi delle ulteriori polverizzazioni: sei percorsi liceali; due settori e sei indirizzi tecnici; due settori e undici indirizzi professionali! E tutti rigidamente canalizzati! Le cosiddette passerelle da un percorso a un altro inoltre, pur previste, sono sempre di difficile realizzazione.
In un simile contesto, l’iniziativa assunta dal dirigente scolastico Dario Cillo non è soltanto lodevole per l’originalità, ma estremamente necessaria. Non si tratta solo di una “sperimentazione”, stricto sensu, ma di un vero e proprio indispensabile suggerimento di cui le cosiddette autorità competenti dovrebbero prendere atto.
Che cosa significa un Liceo dei licei? O meglio, un Polo liceale? Semplicemente questo: progettare nell’arco ampio di un triennio – come previsto dal Piano triennale dell’offerta formativa, di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 107/2015 – un curricolo in cui sia prevista, accanto a un percorso comune e indispensabile mirato all’acquisizione delle competenze linguistiche e logico-matematiche indispensabili, un’offerta di discipline tarata sui bisogni concreti espressi dagli studenti e debitamente verificati dagli insegnanti nel corso dei primi due anni con cui si conclude l’obbligo di istruzione. E’ importante rilevare che, in ordine proprio a quanto disposto dal dm 139/2007, che all’articolo 2 prevede che occorre assicurare “l’equivalenza formativa di tutti i percorsi” (quindi liceali, tecnici e professionali con le relative scansioni), occorre garantire al biennio il massimo della flessibilità per rispondere sia ai concreti livelli di partenza degli alunni sia ai loro bisogni espliciti e impliciti e alle loro aspettative. E di tale flessibilità il Polo liceale proposto tiene il debito conto.
Ovviamente, l’operazione progettata non è cosa semplice, stante la tradizionale rigidità dei pacchetti orari annuali delle singole discipline e degli orari di scuola degli studenti. Ma lo spirito e la lettera della citata legge 107 spingono al loro superamento, anche se i decreti delegati a venire dovranno essere più espliciti in materia. Comunque, nella medesima legge è previsto il potenziamento dell’organico dell’autonomia (commi 18 e 79-83), l’erogazione di un fondo di funzionamento (comma 11) nonché una più ampia offerta disciplinare (comma 7). E l’assunzione del personale docente (commi 95-113 della legge 107) con contratti triennali, se saggiamente mirata a quanto il progetto del Polo liceale si propone, permetterebbe di erogare, accanto all’offerta formativa fondante, un’offerta formativa supplementare più ricca e articolata. I percorsi avviati saranno sostenuti da intense attività di orientamento e riorientamento, di passaggi interclasse che ovviamente non sarà facile governare, anche con il supporto di una scuola “aperta” al sociale e impegnata nell’alternanza scuola-lavoro.
Ovviamente l’impresa non sarà cosa facile. La legge 107 da un lato “apre” all’arricchimento dell’offerta formativa e a all’innovazione, dall’altro “lascia in piedi” i curricoli di sempre e non liquida la cosiddetta legislazione vigente in materia di orari, cattedre e classi di età. I miei rilievi critici sulla legge li ho già espressi in altra sede! Ma la legge c’è e ogni comma può essere un’occasione preziosa per un rinnovamento che parta dal basso. In effetti sono solo le scuole e i loro dirigenti e insegnanti che possono veramente innovare. La sfida il dirigente Cillo l’ha lanciata al territorio e all’amministrazione. Dario Cillo ha intelligenza, coraggio ed esperienza! E sono tre virtù che possono garantire il successo dell’iniziativa.
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