Con un tablet e il collegamento Skype si può fare scuola anche in ospedale

da Il Sole 24 Ore

Con un tablet e il collegamento Skype si può fare scuola anche in ospedale

di Maria Piera Ceci

«Strappare gioia all’interno della nostra struttura non è facilissimo. Quindi tutte le piccole soddisfazioni (il voto, il compito fatto con i compagni, l’interrogazione) diventano oggetto di ridiscussione collettiva in cui tutti noi medici ed infermieri rimaniamo coinvolti».

L’esperta
Parla così Franca Fagioli, direttore Oncoematologia Pediatrica e Centro Trapianti Oirm (Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino) ricordando la felicità della ragazzina che una mattina è riuscita a fare il compito insieme ai suoi compagni come se fosse in classe con loro, pur restando nel suo letto dell’ospedale torinese. La ragazzina è uno dei quattro studenti che sono riusciti a finire l’anno scolastico 2015 e anche con buoni risultati a livello didattico, visto che uno degli studenti coinvolti ha conseguito il massimo dei voti alla maturità scientifica, un bellissimo cento. I ragazzi, tutti colpiti da patologie oncologiche, hanno potuto virtualmente vivere la quotidianità della propria classe grazie alle tecnologie: un tablet e un collegamento via Skype.

L’iniziativa
Il progetto sperimentale «Scuola in Ospedale Integrata» è stato messo a punto dalla Fondazione Agnelli, con la collaborazione dell’Oirm, dell’Ufficio scolastico regionale del Piemonte, con il supporto di Econom Italia che ha fornito gratuitamente tutta la strumentazione tecnologica necessaria e l’assistenza volontaria dei tecnici informatici di Exor Spa. Due studenti delle superiori, una delle medie e uno della primaria – tablet sulle ginocchia e collegamento via Skype – hanno dunque potuto restare in qualche modo in classe, collegati ai loro compagni, cosa importantissima, sia dal punto di vista didattico che psicologico.

La didattica in ospedale
Si tratta di un modo per integrare il servizio già in atto da anni della Scuola in Ospedale, che prevede la presenza di docenti che aiutino nel percorso scolastico i ragazzi ricoverati. Ma ora le tecnologie consentono di fare di più. «In questo modo hanno ancora di più il senso della normalità – spiega la dottoressa Fagioli – ed è stata più tangibile per loro la probabilità di guarigione. Quando un bambino o un ragazzo si ammalano di tumore interrompe tutta la sua progettualità e si focalizza sulla malattia che ha insita in sè la paura di morire. Avere la scuola di appartenenza e mantenere il contatto con i propri insegnanti e compagni gli dà una prova certa che tutto questo sistema esiste perchè loro possano davvero guarire. Questo è molto positivo, molto più delle nostre parole».

«Nella pratica abbiamo dovuto modificare le nostre abitudini, rispettando in toto gli orari delle lezioni, dando prima la colazione al mattino. Non abbiamo visitato il paziente durante la lezione – racconta ancora la dottoressa Fagioli -. Per loro poi la giornata passa molto più rapidamente. Altrimenti potrebbe lasciarsi andare e impigrirsi in quel letto».

Il rapporto con la scuola
Anche il rapporto con la scuola di provenienza non ha mostrato particolari criticità, se non nella messa a punto delle questioni tecnologiche. Ad esempio non tutte le scuole hanno una connessione internet e in alcuni casi le classi di provenienza hanno dovuto cambiare collocazione, per spostarsi in zone più facilmente raggiungibili dalla connessione.
Ora poi, conclusa la sperimentazione, la Fondazione Agnelli chiede che si avvia una riflessione, se non sia il caso cioè di inserire gli studenti lungodegenti in un caso specifico di Bes (Bisogno educativo speciale), che per tutto il periodo della malattia dove poter contare su risorse aggiuntive e sull’attivazione di un piano didattico personalizzato che veda coinvolti i propri docenti di origine e la Scuola in Ospedale.

Il contributo della Fondazione Agnelli
Conclusa la fase di sperimentazione per l’anno scolastico 2015 e presentati i risultati, ora la Fondazione Agnelli auspica che il progetto possa proseguire. «Lo mettiamo a disposizione delle famiglie che si trovino nella situazione di avere un ragazzo lungodegente – spiega Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli -. Noi mettiamo a disposizione tutti gli strumenti informatici necessari, la piattaforma e l’esperienza. Però deve essere l’ospedale ad indicare alle famiglie dei ragazzi che esiste questa possibilità. Siamo una sorta di quadrato: ci siamo noi che forniamo la piattaforma, poi ci sono l’ospedale, la Scuola in ospedale e la scuola di provenienza. Noi ci poniamo come coordinatori fra queste tre entità che a volte fanno fatica a parlarsi».