Attacchi di panico o ”sindrome di pinocchio”?
di Adriana Rumbolo
Perché non chiamare l’attacco di panico, sindrome di Pinocchio?
Il burattino è imprigionato nel proprio corpo di legno, rigido.
Non può avere conoscenza e coscienza di quel corpo tanto da organizzarlo e usufruire dei suoi mezzi, e forse per questo passa da una sventura all’altra.
Così un soggetto con il corpo ingabbiato e irrigidito da paure e insicurezze di fronte anche a piccoli problemi quotidiani, non godendo della coscienza e della conoscenza del proprio corpo, verrà sopraffatto dai sintomi allo sbando di molte funzioni fisiologiche e neurologiche coinvolte nella sofferenza corporea e percepirà l’angoscia di una fine imminente.
Per fortuna che l’attacco di panico è reversibile e non lascia danni fisici: resta il percorso in salita alla ricerca di chi e che cosa abbia bloccato quel corpo con massicci messaggi di paure e disistime.
Una volta liberato il corpo, si ristabilirà la fortissima associazione tra la regolazione del corpo all’interno del cervello e il corpo stesso.
Addio, attacchi di panico!