LE CONVERGENZE PARALLELE DELLA SPENDING REVIEW
di Gian Carlo Sacchi
Ormai ci siamo abituati: del governo del sistema dell’istruzione nel nostro Paese non si arriva mai a dare un assetto complessivo quale la Costituzione richiederebbe. In teoria, in una sorta di geometria istituzionale, diversi provvedimenti legislativi lo imporrebbero, in pratica non si da seguito o si inizia da una riva del fiume, lo statalismo, ma non si arriva mai dall’altra, quella delle autonomie, sia scolastiche che territoriali. Si resta sempre a metà del guado ed ogni volta ci si illude, quando una delle due parti prende l’iniziativa, come ad esempio gli Assessori Regionali all’Istruzione sull’applicazione del nuovo, si fa per dire, titolo quinto della carta costituzionale, o la Commissione Istruzione della Camera per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche autonome, ma si viene ben presto smentiti o dall’introduzione delle reti obbligatorie di scuole con competenze legate a doppio filo con quelle dell’attuale amministrazione scolastica o dalla riedizione della tesoreria unica per il controllo della spesa delle scuole stesse, o dalla più recente spending review in cui i risparmi per la pubblica amministrazione ancora una volta determinano tagli lineari mantenendo al centralismo ministeriale il potere gestionale e mettendo in sofferenza la scuola che oltre a non avere risorse non ha nemmeno la possibilità di interagire proficuamente con il proprio territorio. A questo dovrebbe far fronte il federalismo fiscale, ma anche le imposte vengono perlopiù gestite centralisticamente e questo deprime ancora di più regioni ed enti locali ad ingaggiare con il governo una nuova battaglia, quella del servizio formativo, un’altra, rispetto alle già tante ristrettezze culminate nel patto di stabilità.
Ma quello che sorprende ancora di più è l’atteggiamento degli schieramenti politici: una destra che si dice liberale, una sinistra che ha fatto del governo degli enti locali il suo fiore all’occhiello, oggi sostengono il governo, ma la spending review sembra un provvedimento borbonico che non si renda conto che il cambiamento di governance è il più efficace strumento per i vari risparmi. Mantenere gli uffici periferici dell’amministrazione scolastica ad esempio: USR a livello regionale in capo al ministero e USP confluire nei nuovi uffici territoriali del governo, ex prefetture, oltre ad un potenziale conflitto di attribuzioni, crea una sovrapposizione di competenze rispetto alle autonomie scolastiche e territoriali alla quale avrebbe già dovuto porre fine un provvedimento del 1998 sul decentramento statale.
La Corte Costituzionale non perde occasione per ribadire che l’interpretazione della normativa va in senso autonomistico, ma da una parte del fiume si fa finta di non sentire e dall’altra manca la volontà politica di porre mano alla riorganizzazione dei territori ? Ci vuole una nuova stagione di ricostruzione, dopo quella del secondo dopoguerra, nella quale si devono riorganizzare i Comuni, le Province, comprendendo in questo processo gli Istituti Comprensivi e quelli, in un’area più vasta, del secondo ciclo; il tutto anche in relazione ai servizi che già i territori gestiscono sul versante della prima infanzia, della formazione professionale, ecc.
Si pensava di potersi lasciare alle spalle un veterocentrismo politico per assumere un bipolarismo moderno e qualificato, ma così non è ed il veterostatalismo scolastico ne è una prova: cosa dovremo aspettare per compiere un passo avanti in questo caso non solo verso la modernità, ma verso l’Europa alla quale a parole questo governo guarda con tanta considerazione: ma forse, come dice Corradini, la E di economia è più importante della E di educazione.
IL DECLINO DEI POTERI LOCALI?
Con questa affermazione, alla quale, increduli, abbiamo voluto aggiungere un interrogativo, Diamanti su Repubblica (9/7/2012) sostiene che il momento del “trionfo del territorio” appartiene al secolo scorso, anni novanta, in cui si era cercato di spostare il baricentro del Paese verso la periferia, fino ad arrivare, con l’elezione diretta dei sindaci e presidenti di provincia e regione, ad un “presidenzialismo diffuso”. Una repubblica federalista ? Diamanti sostiene che dietro questa trasformazione non c’è un disegno, quello, diciamo noi, che avrebbe dovuto, anche per la scuola, scaturire dalla riforma costituzionale del 2001, confermata da un referendum popolare, ma nella mani di una classe politica (di sinistra e destra) che non ne ha fatto nulla, lasciando governare di fatto la burocrazia ministeriale.
E’ la spending review, come dice Diamanti, il provvedimento con il quale l’attuale governo ha decretato la fine del federalismo all’italiana ? Ribadiamo: senza mai aver provato a realizzarlo! E questo sotto gli occhi dei partiti del territorio. Si è trattato di un federalismo irresponsabile quello che ha moltiplicato le province, oggi drasticamente ridotte (si pensi cosa questo comporterà nella programmazione delle scuole del secondo ciclo e tutte le deleghe regionali su istruzione e formazione professionale, tanto per citare qualche aspetto che manderà in notevole confusione il sistema, mancando la completa autonomia alle scuole stesse), ma perché lo Stato per primo non ha applicato il predetto titolo quinto, decentrando le competenze gestionali, preoccupandosi di definire le norme generali, i principi fondamentali del sistema ed i livelli essenziali delle prestazione per la garanzia dei diritti sociali ? Forse oggi non ci troveremmo a queste sconfortanti conclusioni, avendo avuto la possibilità di premiare (attraverso i costi standard ed i relativi prelievi fiscali) le realtà virtuose e cercando di compensare (sussidiarietà) quelle maggiormente in difficoltà, chiamando perciò i governi locali a rispondere delle loro scelte.
I servizi formativi hanno un governo così detto multilivello, per ambito territoriale tipologia, e se dal 2001, riforma della Costituzione, si fosse affrontato il problema, oggi regioni e comuni sarebbero meno esposti alla logica dei tagli governativi, anziché aver lasciato in capo allo Stato la stragrande maggioranza delle risorse finanziarie. Questo, come accade nei paesi federali, sarebbe stato costretto a tagliare più sui ministeri che non sui territori.
Una legislazione regionale innovativa potrà configurare un effetto misto fra contributi finanziari e servizi di valore analogo o maggiore delle erogazioni monetarie.
Una cosa sulla quale concordiamo con Diamanti è il progressivo indebolimento dei governi locali, senza che, egli afferma, l’opacità del progetto federalista sia compensata da un progetto di riforma dello Stato. Si pensi a quanto sta accadendo (o non sta accadendo) in Parlamento circa le riforme istituzionali, nell’ipotesi di un’ulteriore modifica dell’art. 117 della Costituzione: superando il bicameralismo perfetto ci si verrà a trovare nella condizione che le competenze esclusive dello Stato (istruzione) saranno attribuiti alla Camera e quelle concorrenti (di nuovo istruzione) ed esclusive delle regioni (istruzione e formazione professionale) andranno al Senato. Sarà così ? Il nuovo art. 117 si interesserà solo delle prerogative dei soggetti o interverrà anche sulle modalità ? Sarà un’altra bella sfida, anche parecchio confusa, almeno per ora, ma possiamo già pensare ad un qualche esito gattopardesco. Se si dovrà cedere sovranità nei confronti dell’Europa forse questo cambierà di più le cose.
RIMANE L’AUTONOMIA SCOLASTICA
E’ unanimemente riconosciuto che la scuola sia un presidio territoriale a garanzia del diritto allo studio, sia profondamente inserita nella realtà, quale sapere esperto, dalla quale trae stimolo e nella quale eroga sviluppo. Fa parte di un sistema nazionale, ma con la sua autonomia opera per la crescita delle persone e l’alfabetizzazione culturale e professionale.
Coloro che sono preposti alla programmazione dei servizi di una comunità devono considerare il ruolo specifico di quello formativo, al quale viene affidata la cura degli apprendimenti, lungo tutto l’arco della vita e la valorizzazione del patrimonio culturale (locale e universale); esso, insieme alle altre agenzie formali, non formali ed informali, deve contribuire alle scelte politiche e sociali che riguardano le comunità stesse ai diversi livelli di organizzazione.
Va ribadita e pienamente realizzata l’autonomia degli istituti scolastici:
– sul piano territoriale, le scuole devono potersi autoregolare (come è previsto dalla proposta di legge sulla riforma dei così detti organi collegiali) attraverso un processo partecipato, tra l’indicazione da parte dello Stato dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e il monitoraggio dei risultati,
– sul piano funzionale, entro norme generali/costituzionali dell’istruzione le scuole devono poter organizzare l’offerta formativa mediante una continua interazione con la domanda sociale e le caratteristiche della realtà locale,
– sul piano professionale (stato giuridico del personale stabilito per legge): reclutamento nazionale e gestione locale (organico funzionale di istituto anche per le reti di scuole).
La programmazione è di competenza delle Regioni e degli EELL, mediante la definizione di ambiti territoriali e di reti di scuole, in relazione con i “distretti” socio – sanitari e altri servizi alla persona, le unioni dei comuni e il riordino delle province.
Gli amministratori locali sono talmente abituati a chiedere allo Stato (amministrazione scolastica) che faticano a pensare ad una programmazione dal basso, manifestando dissonanze dovute alle deleghe attribuite a diversi assessorati. Non pensando all’unicità della vocazione formativa i servizi per l’infanzia sono ancora legati al welfare, la scuola ha una sua spesso distratta attenzione e la formazione professionale è nell’orbita del lavoro.
Occorre riprendere una progettualità territoriale, in quanto la spending review prevede che possano essere i comuni, d’intesa con le autonomie scolastiche (DPR 233/1998), a presentare progetti alle regioni, e queste allo stato.
LE AUTONOMIE TERRITORIALI
Tutti i provvedimenti, a cominciare da quelli così detti Bassanini sulla riforma della pubblica amministrazione fino alla spending review che ad essa fa riferimento, dicono che “funzioni fondamentali” dei Comuni e delle loro unioni sono “l’edilizia scolastica, l’organizzazione e gestione dei servizi scolastici, e nella Carta delle Autonomie attualmente in discussione al Senato, vengono compresi anche gli asili nido. Nell’ambito del riordino delle province si parla di programmazione della rete scolastica e gestione dell’edilizia scolastica relativa alle scuole secondarie di secondo grado. Nella predetta Carta, se non fosse già previsto dal DL.vo 112/1998, si parla di trasferimento delle risorse umane e strumentali necessarie all’esercizio delle funzioni fondamentali nonché del loro effettivo finanziamento in conformità ai principi e ai criteri di cui alla legge 42/2009 (federassimo fiscale). La spending review ribadisce il concetto di funzioni fondamentali ma non parla più di trasferimenti: le convergenze parallele!