Sul merito
di Mauro Ceruti (07/06/12)*
L’annunciato “Decreto sul merito nella scuola” suscita profonde preoccupazioni. Ancora una volta rischiamo di eludere l’urgenza di “entrare nel merito”, a proposito della scuola. Con facili slogan sulla meritocrazia si confondono gli effetti con le cause e soprattutto non si affrontano le sfide inedite della scuola nella società della conoscenza. Si rischia di prendere una sviante scorciatoia, basata sull’idea fallace che l’eccellenza “possa” essere solo di pochi, che possa concentrarsi in pochi luoghi, e che riguardi solo alcune competenze.
In taluni casi, l’accezione strettamente individualistica della meritocrazia assume toni elitari: mostra una nostalgia per una società gerarchizzata in strati sociali ben definiti, incompatibile con un’evoluta società della conoscenza quale vuole essere la nostra. Ma l’insidia maggiore sta altrove, nel pensare che una meritocrazia individualistica possa oggi essere affermata in nome della mobilità sociale, al fine di consentire all’individuo meritevole di emergere, quale che sia il punto di partenza.
Peraltro, dovremmo ricordare che questo presunto sostegno dell’individuo meritevole si coniuga oggi con un impoverimento dei contesti e della società in cui dovrebbe svilupparsi il percorso formativo.
Non basta evocare parole magiche: questa volta, lo studente dell’anno… Tutto ciò, anzi, serve a “parlare d’altro”, a rifuggire ancora dalle proprie responsabilità. È venuto il tempo di entrare davvero nel merito dei problemi della scuola, di parlare davvero di qualità della scuola. È cambiato il mondo in cui viviamo. Globalizzazione e tecnologie dell’informazione in pochi anni hanno trasformato radicalmente la condizione umana.
Le conseguenze per la scuola sono state immediate e dirompenti. Gli studenti sono, nello stesso tempo, sempre più “globalizzati” e sempre più “diversi”; sempre più “interdipendenti” e sempre più “isolati”.
Ciò che lo studente apprendeva a scuola fino a pochi anni fa era sostanzialmente la totalità dei suoi apprendimenti. Ciò che gli studenti apprendono oggi a scuola è solo una parte (spesso una piccola parte) di ciò che apprendono nel corso delle loro giornate.
Si sono trasformati contenuti, forme, organizzazione e trasmissione dei saperi. Nella sua esperienza quotidiana extrascolastica, lo studente acquisisce una miriade di informazioni e incontra una molteplicità di culture diverse. Ma tutto ciò accade in modo frammentario, senza filtri interpretativi e senza prospettive educative in grado di unificare le molteplici esperienze di ogni studente.
Di fronte a questa situazione, forte è la tentazione di ridurre la finalità della scuola alla semplice trasmissione di alcune tecniche e di alcuni frammentati saperi, rinunciando ai suoi compiti educativi e formativi. E forte è la tentazione, appunto, di una concezione del merito, inteso come puramente individuale, indipendente dai contesti e dalle relazioni. Ma ciò confligge con quanto ci dicono scienze e buone pratiche: le capacità della persona si costruiscono in funzione della ricchezza dei contesti e dell’intensità delle relazioni.
L’apprendimento non corrisponde a una trasmissione astratta di contenuti, che possa avvenire indipendentemente dal corpo, dai vissuti e dall’emotività di docenti e studenti. E che i contesti scolastici di apprendimento siano contesti di socializzazione primaria non vuol dire semplicemente che, oltre all’apprendimento, promuovano anche socializzazione. Vuol dire che non si dà apprendimento senza una continua socializzazione; vuol dire che questa socializzazione è la condizione irrinunciabile dell’apprendimento.
È proprio a causa dei nuovi contesti sociali, antropologici e tecnologici che il compito formativo della scuola diventa ancora più decisivo. Compito della scuola, quale comunità educante, è di sostenere gli studenti nella capacità di dare senso alla varietà delle loro esperienze, scolastiche ed extrascolastiche, di ricomporre la frammentazione delle informazioni cui hanno accesso, di integrare e unificare lo sviluppo della loro formazione culturale.
Compito della scuola è di consentire a tutti gli studenti di acquisire le competenze necessarie allo sviluppo personale, all’integrazione sociale e alla vita professionale, nel quadro di un apprendimento che possa durare e persino intensificarsi lungo il corso della vita.
Entrando nel merito, oggi più che mai – come già sosteneva Montaigne – compito della scuola è formare “teste ben fatte”, non “teste ben piene”.
Nella società della conoscenza, ancor più inadeguata risulta dunque l’idea che il merito emergerebbe da una competizione a “somma zero”: “vinco io” (prestigio, vantaggi economici, strada spianata), “perdi tu” (lasciato solo, dato che ci sono sempre meno risorse).
Il rischio è che questa idea di merito risulti rapidamente fatale innanzitutto per il sistema formativo stesso, poi per il mondo del lavoro e alla fine per la vitalità dell’intero paese, producendo l’estromissione di molti giovani da un autentico processo formativo e producendo conformismo, standardizzazione e chiusura degli stessi contesti di eccellenza.
Tutte le comunità eccellenti e creative, ristrette o ampie che siano, mostrano al contrario che l’eccellenza e la creatività o sono diffuse oppure non sono affatto!
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(*) L’autore è professore ordinario di Logica e Filosofia della Scienza presso l’Università di Bergamo e Senatore della Repubblica (PD)
(Fonte: http://www.cislscuola.it/content/20120606-merito-lintervento-di-mauro-ceruti )