Riflessioni su comunicazione e formazione
di Stefania Carioli
L’ampliamento delle possibilità di comunicazione e interazione offerte dal digitale e dagli applicativi del cosiddetto Web 2.0 ha configurato una rivoluzione che, oltre e più che tecnologica, può dirsi sociale e partecipativa. Gli esiti di questo processo innovativo, però, non sono affatto scontati.
Si tratta di una preoccupazione riferita distintamente dall’UNESCO già nel 2005 quando, nel World Report Towards Knowledge Societies , si insisteva sulla necessità di andare oltre una fondamentale politica dell’accesso per favorire quella della partecipazione. Il citato report sottolineava, da una parte, come lo sviluppo tecnologico abbia aumentato enormemente la quantità di informazioni disponibili e la velocità della loro trasmissione, determinando l’avvento di una società dell’informazione globale, ma come, d’altra parte, questa condizione, pur generando nuove prospettive di sviluppo e lasciando intravedere il potenziale ruolo della comunicazione, non solo nello sviluppo economico ma anche in quello umano, necessiti di una progettazione che sostenga il passaggio verso una conoscenza autenticamente condivisa. In effetti, se alla società dell’informazione sottende un’idea di rinnovamento essenzialmente tecnologica, il concetto di società della conoscenza è molto più ampio e contempla una dimensione etica e politica, di libertà e responsabilità, di condivisione e collaborazione, significati non risolvibili nella sola considerazione digital-tecnologica, per quanto questa possa creare i presupposti di un certo cambiamento.
Un’importante direttrice interpretativa diventa, quindi, l’idea di una tecnologia da leggere come strumento al servizio di nuovi paradigmi, mezzo per rendere la comunicazione funzionale alla diffusione del sapere, tramite per perseguire finalità educative e formative. Quello dipinto è un panorama promettente in cui, d’altra parte, si induce a non minimizzare sotto una patina ottimistica incertezze e ombre: oltre al potenziale di esclusione e al divario digitale, un ritmo sempre crescente (quasi insostenibile) di cambiamento, la relativa superficialità della comunicazione in tempo reale, rappresentano solo in parte dubbi e perplessità.
È da qui che nasce il bisogno di un’attenta analisi della reciprocità che lega comunicazione e formazione: la prima, con i suoi media ri-mediati o rinnovati, con la sua molteplicità di codici e (tutt’altro che banale) commistione tra essi, con le sue tecnologie digitali che, indubbiamente, incidono nei processi di formazione, e questo a prescindere dall’atteggiamento delle agenzie formalmente dedicate alla formazione e all’istruzione; d’altro lato la formazione, che si rende necessaria per consentire di pensare o di ri-pensare in accezione autenticamente formativa la comunicazione stessa, andando oltre un significato meramente strumentale delle ICT per favorirne un uso critico, consapevole e, quindi, responsabile fino a giungere, auspicabilmente, al loro utilizzo per progettare e realizzare attività che abbiano un valore aggiunto.
È da qui, dunque, che si genera il bisogno di interpretare i fenomeni emergenti intorno a noi cogliendo l’occasione per ripensare le implicazioni e le applicazioni formative, reali o realizzabili, opportune o auspicabili, in modo da trasformare l’offerta o la promessa di nuove, potenziali opportunità, in effettivo aumento del livello culturale e, in prospettiva, partecipativo dei cittadini del XXI secolo, senza lasciarsi confondere dall’idea che certe competenze possano svilupparsi soltanto per pura appartenenza generazionale.
1 Le competenze in una società complessa
Le considerazioni sopra esposte richiamano a sé la necessità di riflettere su come formare individui che sappiano maneggiare gli strumenti a disposizione in maniera distante da un consumismo passivo; sul modo di costruire percorsi sensati e rispettosi dei livelli di crescita dei soggetti coinvolti, su come far sì che tali individui sappiano fruire e valutare attentamente la qualità e l’attendibilità delle informazioni provenienti da diverse fonti Web-based, data anche la qualità disomogenea di tale disponibilità.
La capacità di usare le tecnologie della società dell’informazione e della conoscenza a sostegno del pensiero critico, della creatività e dell’innovazione diventano competenze funzionali alla crescita di lettori attivi e responsabili, che detengono il governo dei media, e non il contrario.
Da una parte, opportunità di accesso a nuovi tipi di esperienze e a nuovi mondi culturali e sociali; dall’altra, abilità e conoscenze necessarie per sostenere quell’apprendimento permanente, quel bisogno di sviluppare o rinnovare competenze per tutto l’arco della vita, diventata una necessità anche per affrontare con successo un mondo del lavoro in costante evoluzione, in cui inusuali e (al momento) inimmaginabili professioni stanno emergendo e si alterneranno nella vita delle persone (Competenze chiave per l’apprendimento permanente – Un Quadro di Riferimento Europeo, 2007).
È all’interno di questa cornice mutevole che nasce l’esigenza di offrire beni trasferibili, di sviluppare competenze[1] che possano essere applicate in contesti diversi (non solo scolastici) e non contenuti o insegnamenti esposti a facile obsolescenza.
Nel quadro di riferimento europeo una trasversale e inclusiva competenza digitale, oltre a trovare supporto su abilità di base che consentono di fruire «del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet», viene precisata come capacità di «utilizzare con dimestichezza e spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (TSI) per il lavoro, il tempo libero e la comunicazione».
Conoscenze, abilità e attitudini essenziali legate a tale competenza
La competenza digitale presuppone una solida consapevolezza e conoscenza della natura, del ruolo e delle opportunità delle TSI nel quotidiano: nella vita privata e sociale come anche al lavoro. In ciò rientrano le principali applicazioni informatiche come trattamento di testi, fogli elettronici, banche dati, memorizzazione e gestione delle informazioni oltre a una consapevolezza delle opportunità e dei potenziali rischi di Internet e della comunicazione tramite i supporti elettronici (e-mail, strumenti della rete) per il lavoro, il tempo libero, la condivisione di informazioni e le reti collaborative, l’apprendimento e la ricerca. Le persone dovrebbero anche essere consapevoli di come le TSI possono coadiuvare la creatività e l’innovazione e rendersi conto delle problematiche legate alla validità e all’affidabilità delle informazioni disponibili e dei principi giuridici ed etici che si pongono nell’uso interattivo delle TSI.
Le abilità necessarie comprendono: la capacità di cercare, raccogliere e trattare le informazioni e di usarle in modo critico e sistematico, accertandone la pertinenza e distinguendo il reale dal virtuale pur riconoscendone le correlazioni. Le persone dovrebbero anche essere capaci di usare strumenti per produrre, presentare e comprendere informazioni complesse ed essere in grado di accedere ai servizi basati su Internet, farvi ricerche e usarli. Le persone dovrebbero anche essere capaci di usare le TSI a sostegno del pensiero critico, della creatività e dell’innovazione.
L’uso delle TSI comporta un’attitudine critica e riflessiva nei confronti delle informazioni disponibili e un uso responsabile dei mezzi di comunicazione interattivi. Anche un interesse a impegnarsi in comunità e reti a fini culturali, sociali e/o professionali serve a rafforzare tale competenza[2].
2 La “competenza digitale” nella bozza delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione del 30 maggio.
Riconoscimento della diffusione delle nuove tecnologie come rivoluzione epocale[3] e come frontiera decisiva per la scuola, accanto alla necessità dello sviluppo di un atteggiamento critico e di una maggiore consapevolezza nel loro uso, costituiscono nodi da cui si dipanano plurime necessità e opportunità formative colte anche all’interno della recente bozza di revisione delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione.
Così come nelle Indicazioni del 2007 si continuano a ravvisare «relazioni con gli strumenti informatici (…) assai diseguali fra gli studenti come fra gli insegnanti» per cui «il lavoro di apprendimento e riflessione dei docenti e di attenzione alla diversità di accesso ai nuovi media» continua a essere di decisiva rilevanza. Nel documento, finora aperto alle osservazioni delle scuole[4], il riferimento alla competenza digitale è stato, non semplicemente, indicato ma elencato e descritto insieme alle altre competenze chiave di cittadinanza[5] nell’ambito dell’unica sezione inedita rispetto al testo del 2007, ovvero il Profilo dello studente al termine del primo ciclo d’istruzione, sotto il titolo Obiettivi generali del processo formativo, andando esplicitamente a richiamare una documentazione europea il cui riferimento è possibile cogliere anche nella palese citazione del Quadro comune europeo delle lingue straniere[6] e nell’impostazione della bozza nella sua interezza, che pare avere un più convinto respiro in questo senso.
Riferimenti chiari, che orientano e non pretendono di conformare a un unico modello i singoli curricoli scolastici.
Al termine del paragrafo sulla tecnologia si legge:
I nuovi strumenti e i nuovi linguaggi della multimedialità rappresentano ormai un elemento fondamentale di tutte le discipline e le materie di insegnamento, ma è precisamente nel dominio della tecnologia che i ragazzi imparano a trasferire le conoscenze astratte e ideali, caratteristiche dei mondi simulati al computer e della realtà virtuale, con quelle pratiche e procedurali legate a problemi e situazioni concrete e mutuate dalla vita reale. Inoltre, per quanto riguarda le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e le tecnologie digitali, è necessario che oltre alla padronanza degli strumenti, spesso acquisita al di fuori dell’ambiente scolastico, si sviluppi un atteggiamento critico e una maggiore consapevolezza rispetto agli effetti sociali e culturali della loro diffusione, alle conseguenze relazionali e psicologiche dei possibili modi d’impiego, alle ricadute di tipo ambientale o sanitario, compito educativo cruciale che andrà condiviso tra le diverse aree disciplinari[7].
La trasversalità nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (posta elettronica, navigazione web, social network, blog, ecc.) trova la propria ragione d’essere, da una parte, nella necessità di condividere un impegno formativo mirato a costruire un atteggiamento critico, responsabile e autonomo non relegabile a un unico spazio disciplinare. Dall’altra, nello svelare le molteplici potenzialità apprenditive che il ricorso alle risorse digitali offre sotto il profilo culturale, relazionale e, per l’appunto, transdisciplinare, sostenendo anche l’acquisizione di quei saperi di base, irrinunciabili in quanto «fondamentali per l’uso consapevole del sapere diffuso e perché rendono precocemente effettiva ogni possibilità di apprendimento nel corso della vita»[8].
L’«utilizzo sicuro delle tecnologie della comunicazione» per riuscire a «ricercare e analizzare dati e informazioni e a interagire con soggetti diversi» sintetizza le competenze (relativamente alle TIC) «che un ragazzo deve mostrare di possedere […] con riferimento alle discipline di insegnamento e alla organizzazione didattica delle scuole italiane» poste nel Profilo al termine del primo ciclo di istruzione .
A ciò si aggiunge il lungo percorso di scoperta, incontro e avvicinamento consapevole ai nuovi media e alla multimedialità, che dovrebbe portare l’alunno a «riconoscere i codici e le regole compositive presenti nelle opere d’arte e nelle immagini della comunicazione multimediale per individuarne la funzione simbolica, espressiva e comunicativa nei diversi ambiti di appartenenza (arte, pubblicità, informazione, spettacolo)»[9], ad apprendere le possibilità di intreccio della lingua scritta con altri codici e a progettare originali elaborati personali con l’integrazione di più media e codici espressivi.
Per favorire «un contatto attivo con i media e la ricerca delle loro possibilità espressive e creative» viene sollecitata una familiarizzazione «con l’esperienza della multimedialità (la fotografia, il cinema, la televisione, il digitale)» sin dall’infanzia, tentando di porre quella base esperienziale «come spettatore e come attore» che andrà propedeuticamente a unirsi al successivo utilizzo dei nuovi strumenti e dei linguaggi della multimedialità in tutte le discipline. L’incontro guidato con l’arte, con la musica e con l’espressione che si avvale di un’integrazione di codici, diventa scoperta del mondo con occhi diversi; esplorazione finalizzata a sviluppare la percezione; esperienza tesa a coltivare la creatività.
La libera sperimentazione di «diverse forme di scrittura» «anche con l’utilizzo del computer»[10], quale obiettivo di apprendimento al termine della classe quinta della scuola primaria, poggia su scelte di adattamento testuale, lessicale, di impaginazione e di eventuale integrazione del testo verbale con materiali multimediali la cui produzione, se vuol assumere effettiva efficacia comunicativa, è tutt’altro che il risultato di un semplice assemblamento di codici.
Lo spazio formativo di Arte e immagine continua a essere descritto come occasione finalizzata a «valorizzare e ordinare conoscenze ed esperienze acquisite dall’alunno nel campo espressivo e multimediale anche fuori dalla scuola, come elementi utili al processo di formazione della capacità di riflessione critica» in una dimensione di valorizzazione della soggettività e della sua originalità.
Viene, in questo modo, sostanzialmente ribadito il contributo rilevante della disciplina «a far sì che la scuola si apra al mondo, portandola a confrontarsi criticamente con la “cultura giovanile” e con le nuove modalità di apprendimento proposte dalle tecnologie della comunicazione».
Ne risulta, così come nelle Indicazioni del 2007, la concezione di una scuola che, nel riconoscere di non essere più esclusivo agente di apprendimento («l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici»; la scuola «non ha più il monopolio delle informazioni e dei modi di apprendere»[11]) continua a individuare la propria ragion d’essere in uno specifico ruolo formativo teso a promuovere «la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze, al fine di ridurre la frammentazione e il carattere episodico che rischiano di caratterizzare la vita dei bambini e degli adolescenti»[12]; a far scoprire ed educare alla molteplicità di linguaggi sia in senso espressivo che recettivo; a costruire le condizioni propizie affinchè ognuno possa creativamente dare il proprio contributo innovativo di idee alla società e alla conoscenza, sapendosi esprimere consapevolmente tramite l’ampia varietà di mezzi di comunicazione e di codici di cui disponiamo.
3 Strade percorribili
Porre le basi di una cittadinanza attiva continua a profilarsi come esigenza formativo-educativa prioritaria per la scuola, un’esigenza che oggi, per realizzarsi compiutamente, necessita anche della presenza nella dimensione virtuale/digitale.
Sviluppare una «combinazione di conoscenze, abilità e attitudini»[13] appropriate al nuovo contesto per favorirvi una modalità di partecipazione e collaborazione attive non può che essere esito di percorsi formativi mirati e attentamente progettati. Solo una metariflessione intessuta all’azione può agevolare lo sviluppo di un approccio critico e una focalizzazione sul significato più congruo da dare alla presenza sociale in Rete; solo un’organizzazione che valorizzi e incoraggi la cooperazione e la collaborazione in una dimensione dell’apprendimento socialmente estesa[14] può preparare alla costruzione e alla condivisione interattiva delle conoscenze; solo una didattica che incoraggi e favorisca autonomia decisionale può aiutare lo sviluppo di una forma mentis libera e creativa.
Un orientamento euristico-induttivo che assecondi una dialettica pensiero-azione, che attivi non solo conoscenze di tipo dichiarativo ma anche abilità e competenze di carattere procedurale, appare la strada più idonea da percorrere per sviluppare certi tipi di acquisizioni.
È per tali molteplici ragioni che una metodologia da promuovere e sviluppare nei diversi momenti e articolazioni del percorso formativo consiste nella realizzazione di percorsi in forma di laboratorio[15], assunta dai riferimenti normativi e dalle linee guida dell’intero impianto scolastico sia in quanto scelta che impegna attivamente gli studenti «in modo condiviso e partecipato con altri», «valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento» sia perché «l’acquisizione dei saperi richiede […] anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza […]».
Il modello della classe-laboratorio è particolarmente favorito dal lavoro didattico con le tecnologie, specie dalle piattaforme del Web 2.0, perché rendono fattibili percorsi di coautorialità, interscambi comunicativi col territorio e le sue risorse, simulazioni, maggiore inclusività. Sfruttando in maniera equilibrata le opportunità multimediali offerte è possibile attivare molteplici canali comunicativi per aumentare il grado di individualizzazione del processo di insegnamento/apprendimento, ponendosi così in coerenza con le acquisizioni della stessa ricerca psicologica che ci avvertono di come non esista un’unica intelligenza, ma intelligenze multiple diversamente distribuite in ciascun soggetto, così come diversi stili di apprendimento.
Da una parte, quindi, una scoperta e un uso delle nuove tecnologie necessaria per favorire competenze specifiche finalizzate a orientarsi nel mutevole mondo globalizzato; dall’altra, un approccio a questi strumenti per promuovere e sostenere la realizzazione di idee, di percorsi didattici innovativi che contribuiscano a una maggiore sintonizzazione e continuità della scuola con le attuali emergenze educativo-formative.
Tuttavia, la ricerca di strade percorribili è argomento aperto poiché le varie indicazioni, nazionali e internazionali, pur prendendo in esame problemi contingenti e reali e pur poggiando su impianti teorici di grande valore pedagogico, si esprimono in termini generali e non entrano nel merito degli effettivi itinerari operativi da adottare per perseguire tali traguardi; sono gli stessi obiettivi che necessitano di essere specificati, approfonditamente esaminati e determinati in base ai diversi contesti.
A questo proposito è da sottolineare l’importanza di un’opportuna interpretazione da dare all’azione e all’idea di progettazione che, pur muovendo da ordinamenti scolastici nazionali, garantisce spazi di manovra, possibilità di intraprendere percorsi inediti, anche fra reti di scuole, frutto di ricerca-azione o di sperimentazione.
È per questo motivo che la progettazione del curricolo viene individuata come strumento di innovazione e crescita educativo-didattica.
Progettare significa, pur all’interno di parametri normativi nazionali, contestualizzare e concretizzare enunciati astratti, creare percorsi che si arricchiscano delle peculiari risorse locali, come delle disponibilità remote; dare valore al concetto di autonomia professionale immaginando possibili itinerari, avvicinando ciò che apparentemente è distante, facendo comunicare ciò che sembra non poter dialogare.
E questo non può che avvenire nel quotidiano fare scuola.
Bibliografia
Biagioli, R., Zappaterra T., (a cura di), 2010, La scuola primaria. Soggetti, contesti, metodologie e didattiche, Edizioni ETS, Pisa.
Cambi F., Toschi L. (a cura di) (2007), La comunicazione formativa. Strutture, percorsi, frontiere, Apogeo, Milano.
Competenze chiave per l’apprendimento permanente – Un quadro di riferimento europeo, © Comunità europea, (2007) (all. della Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente, pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 30 dicembre 2006/L394).
Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo d’istruzione, MPI, all. al DM 31-7-2007.
Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Bozza del 30 maggio 2012.
Morin E. (2000), La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano.
Toschi L. (2011), La comunicazione generativa, Apogeo, Milano.
[1]Nel documento Competenze chiave per l’apprendimento permanente – Un Quadro di Riferimento Europeo, 2007«le competenze sono definite (…) alla stregua di una combinazione di conoscenze, abilità e attitudini appropriate al contesto. Le competenze chiave sono quelle di cui tutti hanno bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione» e «sono considerate ugualmente importanti, poiché ciascuna di esse può contribuire a una vita positiva nella società della conoscenza. Molte delle competenze si sovrappongono e sono correlate tra loro: aspetti essenziali a un ambito favoriscono la competenza in un altro. La competenza nelle abilità fondamentali del linguaggio, della lettura, della scrittura e del calcolo e nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) è una pietra angolare per l’apprendimento, e il fatto di imparare a imparare è utile per tutte le attività di apprendimento. Vi sono diverse tematiche che si applicano nel quadro di riferimento: pensiero critico, creatività, iniziativa, capacità di risolvere i problemi, valutazione del rischio, assunzione di decisioni e capacità di gestione costruttiva dei sentimenti svolgono un ruolo importante per tutte e otto le competenze chiave».
[3]«[…] non riconducibile a un semplice aumento dei mezzi implicati nell’apprendimento».
[4]La bozza ha assunto il documento “Indicazioni per il curricolo” di cui al D.M. 31 luglio 2007 come base per un lavoro di revisione e consolidamento. La revisione è stata imperniata su un intenso processo di consultazione delle scuole e porterà, entro il termine del 31 agosto 2012, al testo definitivo.
[5]«L’Italia recepisce come obiettivo generale del processo formativo del sistema pubblico di istruzione il conseguimento delle seguenti competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento europeo con raccomandazione del 18 dicembre 2006:
1) comunicazione nella madrelingua;
2) comunicazione nelle lingue straniere;
3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;
4) competenza digitale;
5) imparare a imparare;
6) competenze sociali e civiche;
7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; e
8) consapevolezza ed espressione culturale».
[6]A differenza delle Indicazioni del 2007, in cui si andava a suggerire l’opportunità di «tenere presente il Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue, del Consiglio d’Europa» per la progettazione didattica e la valutazione degli apprendimenti, nella nuova bozza i traguardi per lo sviluppo delle competenze sono esplicitamente ricondotti ai Livelli (A1 e A2) del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (p. 27, par. Lingue comunitarie, Bozza 30 maggio 2012).
[7]In Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Bozza del 30 maggio 2012.
[8]Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Bozza del 30 maggio 2012.
[9] In Obiettivi di apprendimento al termine della scuola secondaria di primo grado. Osservare e leggere le immagini, Bozza del 30 maggio 2012.
[10]Cominciano a essere esplicitamente citati e-mail, post di blog.
[11]Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Bozza del 30 maggio 2012.
[12]Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, Bozza del 30 maggio 2012.
[14] «Imparare non è solo un processo individuale. La dimensione comunitaria dell’apprendimento svolge un ruolo significativo. In tal senso, molte sono le forme di interazione e collaborazione che possono essere introdotte (dall’aiuto reciproco all’apprendimento nel gruppo cooperativo, all’apprendimento tra pari…), sia all’interno della classe, sia attraverso la formazione di gruppi di lavoro con alunni di classi e di età diverse» (in Bozza del 30 maggio 2012).
[15]Il richiamo alla laboratorialità è presente nelle indicazioni normative e nelle linee guida dell’intero impianto organizzativo scolastico, (dagli istituti a indirizzo tecnologico, per i quali si parla di «organizzazione dei laboratori ai fini didattici e di un loro adeguamento in relazione alle esigenze poste dall’innovazione tecnologica», ai licei) nonché nell’ambito del CdL in “Scienze della Formazione Primaria” , dove l’esperienza laboratoriale funge da simulazione dell’agire didattico.
I due documenti presentano un impianto curricolare per competenze, unitario e progressivo, coerentemente con le indicazioni comunitarie in merito all’istruzione. Per dare unitarietà e concretezza alla continuità fra i vari gradi scolastici del ciclo dell’obbligo viene sottolineata l’importanza di una progettazione che abbia come riferimento i traguardi di sviluppo delle competenze, che rappresentano piste da percorrere, indicatori per arrivare a sviluppare quelle competenze chiave di cittadinanza e quelle competenze di base (così come previste dagli assi culturali) poste al termine dell’obbligo scolastico. Strategie per raggiungere tali traguardi sono gli obiettivi di apprendimento che si diversificano per graduale difficoltà in base ai livelli di scolarizzazione degli studenti.