Così ho conosciuto Amalia Ciardi Duprè
di Adriana Rumbolo
Ci siamo incontrate sul marciapiede, in via degli Artisti.
Lei ritornava a casa tenendo con le mani una piccola opera, esposta per alcuni giorni a una mostra, e un comune conoscente ci ha presentate.
Sono stata subito piacevolmente attratta dalla statuetta: non molto alta 30cm. circa rappresentava una giovane donna in attesa di un bimbo; l’espressione fiera , invincibile i capelli all’indietro come se camminando contro vento, lo sfidasse.
Fui investita da una grande emozione.
Quell’opera riusciva a comunicare la forza della maternità e quindi della vita.
Per la prima volta, sentii forte il desiderio di toccare una scultura e di accarezzarla e glielo dissi: “Non conosco bene la scultura, ma la sua opera ha destato in me questo desiderio”.
Lei mi rispose con quel suo sorriso fanciullesco e saggio.
Poi per motivi personali passò un po’ di tempo prima che entrassi nel suo studio.
Lo studio di Amalia è un grande salone, potrei definirlo un grande spazio: all’ingresso ci sono dei pannelli scorrevoli che possono servire per esporre disegni.
Si prosegue sempre fra le sue opere alcune finite altre no per poi accedere in un altro ambiente dove si affacciano due soppalchi e anche lassù tante basi di cartone su cui sono appoggiate altre statue di vari materiali: terracotta, marmo, bronzo, materiale refrattario.
Fin dall’inizio ebbi la sensazione di entrare in un ambiente ricco di emozioni, di persone, di storie.
Quasi per gioco ho cominciato a dialogare con le statue e scherzando le salutavo: buongiorno, buona sera!
Quando una attirava maggiormente la mia attenzione la commentavo con lei: “Amalia ,che emozione questa mamma con un grappolo di bambini intorno alla sua figura o che spuntavano da sotto la veste della mamma come fanno i bambini quando giocano a nascondino:f igure che mi stupivano e mi trasmettevano messaggi.”
Un’altra volta era un mito etrusco minaccioso, potente e allora lei mi raccontava le storie di queste opere me le spiegava con la sua semplicità ricca di profonda cultura e sempre aperta a ogni argomento.
Un pomeriggio d’inverno all’imbrunire, mentre sorseggiavamo un tè rigorosamente con un servizio di antica manifattura Richard-Ginori e deliziosi cucchiaini d’argento dell’ottocento, arrivarono degli addetti per riportare delle statue dopo una mostra.
Per agevolare il lavoro vennero accese le luci anche dei soppalchi.
Allora si creò casualmente un gioco di chiaro-scuri che evidenziarono molto l’armonia espressiva delle statue e un soppalco diventò un palcoscenico.
Era molto suggestivo ed io mi rammaricai di non avere una cinepresa per fissare quello spettacolo magico.
Dopo le ho detto: “Sai Amalia penso”, e quando dico così, lei mi guarda con il suo sorriso fanciullesco e mi incoraggia, dimmi, dimmi e io proseguo, “penso che tu lasci un po’ delle tue emozioni nelle opere che poi le trasmettono in chi le guarda.
Ultimamente ha creato delle composizioni di incontri di coppia: un uomo e una donna che esprimono il forte desiderio di appartenersi. L’uomo tende a realizzarlo avvolgendo la sua donna nella dolcezza perché lei rassicurata lo accolga in completo abbandono.
Ho studiato come la chimica dell’amore possa scatenare questi atteggiamenti ma esprimerli con marmo, o materiale refrattario o, bronzo mi ha fatto pensare: il grande artista è un ladro che riesce a rubare le emozioni più profonde, misteriose a fin di bene perché poi ce le restituisce più vere e libere da pregiudizi.
Allora anche Amalia Ciardi Duprè è una meravigliosa “ladra”!
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