Quanta incultura a proposito delle prove Invalsi!

Quanta incultura a proposito delle prove Invalsi!

di Maurizio Tiriticco

Alcuni amici mi dicono che non ho preso posizione a proposito delle ultime prove Invalsi, ed è vero! Il fatto è che c’è poco da dire rispetto a quanto ho già detto e scritto. E cioè: a) necessità di una valutazione di sistema, quindi SI’ a ogni tipo di prova che, pur limitata alla valutazione di apprendimenti, rientra in un quadro generale di una ricerca che sempre più dovrà costituire un supporto per le scuole, gli insegnanti e, soprattutto, i decisori politici, ai fini di un miglioramento costante e continuo del sistema stesso; b) NO alle prove Invalsi di questi ultimi anni per le seguenti ragioni: 1) scarso appeal scientifico e docimologico delle stesse; 2) impreparazione delle istituzioni scolastiche e degli insegnanti ad “accoglierle” come strumenti validi – ammesso che lo siano – ai fini di un miglioramento complessivo delle attività; 3) incapacità da parte dell’Invalsi di gestire in proprio le prove senza farne fare le spese agli insegnanti (la normativa in proposito à carente e nessuna amministrazione si è mai preoccupata di assumere decisioni certe e condivise in materia). Per queste ragioni avevo proposto tempo fa una sorta di anno sabbatico (qualora fosse sufficiente), al fine di risolvere i problemi aperti e che a tutt’oggi sono ancora sospesi e lontani dall’essere risolti nel giro di qualche mese. E già prevedo che nella prossima tornata annuale si ripeterà la sceneggiata di sempre: prove incerte, studenti e insegnanti sul piede di guerra, bracci di ferro vari e così via!

Non dico nulla in merito al punto a), perché la letteratura sull’argomento è ampia e a questa rinvio: basta cliccare su Eurydice o su prove oggettive, saper navigare e si apriranno spazi infiniti!

Sub b1.1) Ancora nessuno si è preoccupato di dire alle scuole (tranne i pedagogisti di sempre, con le loro pubblicazioni, del resto scarsamente frequentate) che cosa è un test, perché si chiama così, a che cosa serve, quali sono le finalità e i limiti e, soprattutto come si redige, si amministra, si misura e si valuta; in effetti, i test Invalsi dovrebbero costituire un modello valutativo anche per gli insegnanti, che potrebbero fare buon uso di tale metodologia nelle loro attività di verifica. Entro nel merito e la faccio breve. Un test non è il pezzo di carta che si somministra, è in primo luogo un criterio con cui si considerano “solo” alcune dei miliardi di proposizioni che sono dette e scritte (da una banale conversazione quotidiana al testo di una dottissima ricerca) nelle interazioni uomo/altri uomini, uomo/natura, uomo/oggetti, uomo/eventi, uomo/regole, uomo/principi, uomo/problemi, e via dicendo. Tra il dire “che gran caldo che fa in questi giorni” allo scrivere l’Orlando furioso o la Critica della ragion pura non c’è alcuna differenza per quanto riguarda il succedersi di una o di migliaia di proposizioni, le catene costituite a loro volta dal succedersi di parti nominali e parti verbali. Occorre anche dire che costituisce una proposizione esclamare “Francesca!!!”, una sola parola senza parte verbale, quando è la madre a rimproverare la figlia o l’amante a lusingarla! Nel primo caso, la proposizione completa sarà “Francesca, non fare più una cosa del genere”; nel secondo “Francesca, la tua sconfinata bellezza mi sconvolge”! Deve essere comunque chiaro che Francesca, come qualsiasi altro sostantivo – o altra parte del discorso – estrapolato dal vocabolario non costituisce una proposizione, ma un semplice dato, che può costituire informazioni/proposizioni solo in concorso con altri dati, esplicitati o sottintesi che siano. Tra tutte le proposizioni possibili, alcune soltanto rientrano nel criterio vero/falso, cioè solo quelle che afferiscono a un contesto accettato da tutti come vero o come falso. La differenza che corre tra la proposizione “Beatrice è una donna” e “…e par che sia una cosa venuta di cielo in terra a miracol mostrare” è enorme. Nel primo caso si è di fronte a un incontrovertibile dato di fatto, nel secondo a un’affermazione assolutamente personale espressa dal poeta. La stessa differenza si ha se dico che i Promessi Sposi sono stati scritti dal Manzoni o che sono un bel romanzo. Sul medesimo romanzo – criterio di verità – si possono esprimere migliaia di giudizi diversi – criterio di accettazione o meno. La nostra vita quotidiana, come la ricerca più sofisticata, è arricchita da milioni di proposizioni: possiamo allora dire che alcune di queste rientrano nel criterio test, V/F, altre nel criterio OK/nonOK, mi piace/non mi piace: questo è il criterio reattivo, che riguarda solo la personale “reazione” del soggetto, le sue preferenze, le sue attese, ecc. Nello sviluppo/crescita di un bambino il criterio test la fa da padrone per tutto ciò che riguarda, ad esempio, i primi orientamenti spazio/temporali: mi chiamo Filippo, ho tot anni, la mia abitazione è in via…, la mamma si chiama…, vado alla scuola materna di via…, la mia maestra si chiama… In parallelo si sviluppa il criterio reattivo: a Filippo non piace (nonOK) la Fiesta della Ferrero (V), a Mariolina sì; il disegno della casa di Filippo è molto diverso dalla casa disegnata dalla sorellina Maria: infatti, la medesima casa (V) viene “letta” ed “espressa” con criteri diversi (due OK). Ne consegue che occorre la massima attenzione nella confezione di un test, cioè di non proporre item – cioè proposizioni – che siano ambigui e possano ricadere nel criterio OK/nonOK, che nulla ha a che vedere con il criterio V/F, che caratterizza il test. Si dice che i test sono solo crocette, che non stimolano la riflessione e così via! Non è vero! La crocetta è sempre l’esito di una ricerca, ora di un’operazione mnemonica, ora di un ragionamento. E’ il testista che propone il “campo di gioco”!

Sub b1.2) Chiarita la profonda differenza che corre tra il criterio test V/F e il criterio reattivo OK/nonOK, consegue che, se vogliamo censire le conoscenze acquisite da una classe di età di alunni (di una singola istituzione o di tutte le istituzioni della Repubblica) in determinate discipline o in saperi pluridisciplinari, all’avvio di ogni item – o proposizione – dobbiamo far seguire un unico completamento corretto e quanti se ne vuole errati. Napoleone Bonaparte è nato ad Ajaccio nel… 1750, 1758, 1769, 1782… [1] I test di comprensione della lettura obbediscono agli stessi criteri e si assumono come Vere tutte le proposizioni contenute nel testo, indipendentemente dall’accettazione o meno da parte del lettore. Se nel testo c’è scritto che consumare droga è la cosa più bella del mondo, tale proposizione è Vera anche se il nostro OK è negativo. Il testo di norma non dovrebbe superare i venti/trenta righi; è preferibile adottare più testi più che un unico testo lungo, per evitare che il lettore incontri difficoltà più nella memorizzazione delle informazioni che di puntualizzazione delle parti costitutive e di interpretazione. Il test non dovrebbe superare i dieci item a quattro scelte e le singole proposizioni devono essere chiare nella loro formulazione. A volte nelle prove Invalsi gli item sono troppo lunghi e articolati e chi legge fa fatica a capire che cosa chiede veramente il testista. Un item breve e chiaro, se ben centrato, può creare anche più intelligenti difficoltà rispetto a un item verboso e poco chiaro. Per le mille altre considerazioni sulla formulazione di un test e di un singolo item, rinvio alla lettura specialistica. E ancora, nel medesimo test non si possono mescolare item di comprensione concettuale con item di comprensione grammaticale. Ed ancora, per quanto riguarda la verifica della conoscenza dell’analisi del periodo, non si può chiedere se una data proposizione è finale o consecutiva o altro: il soggetto può anche non sapere come “si chiama” la proposizione, ma può conoscerne e riconoscere la funzione: è questa che deve essere testata ed è certo che la formulazione dell’item richiede una procedura diversa da quella in genere adottata, che forse è più lineare, ma richiede più memoria che conoscenze/abilità rispetto a una funzione logica. Un’altra considerazione circa i test Invalsi di comprensione della lettura è che molto spesso si insiste su particolari non significativi del testo che poco hanno a che vedere con una comprensione profonda del testo. Non si deve insistere sul numero dei bottoni della tonaca di Don Abbondio – come si suol dire – o su quale sia il numero del capitolo della notte degli imbrogli e dimenticarsi di domande mirate sul personaggio o sull’evento.

Sub b2) Ciò che mi sorprende è che le scuole stentano ad accettare le prove Invalsi non perché non sono sempre corrette, ma perché ritengono che la prova test sia da rigettare in quanto tale; dicono che non corrisponde ai loro metodi di insegnamento, che sono un’americanata, che nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione, che non sollecitano riflessione, che esigono solo crocette e via dicendo. Il che dimostra che nelle scuole, nonostante da oltre quarant’anni non c’è discorso sulla valutazione che non parli della necessità della prova test, non c’è alcuna dimestichezza con questi strumenti misurativi e valutativi, anche perché, forse, non si consce la differenza che corre tra il misurare e il valutare [2]. Si può anche notare che spesso i più accaniti nemici dei test sono quegli insegnanti che poi nella interrogazione (per non entrare nel merito della prova colloquio, che ancora non è entrata nella nostra scuola, se non in rarissimi casi) sparano raffiche di domande del tipo: quando è nato Tizio? Quando è scoppiata questa guerra? Che cosa ha scritto Caio? E così via! Tutte domande legittime, ma che sono tutti quesiti test V/F!!! Attenzione! Il criterio test – anche se non tutti lo sanno – è largamente presente nelle interrogazioni e nei compiti in classe, ed è giusto che sia così! Però, spesso non se ha la consapevolezza perché i più ritengono che i test siano solo quelle cose con le crocette. Ma quante migliaia di crocette invisibili e misconosciute vengono proposte in mille altre forme ai nostri alunni da tanti insegnanti che sono fieri nemici di test… e ne fanno un uso smoderato senza peraltro avvedersene!? Un’altra questione riguarda le finalità che i test Invalsi si propongono. A questo proposito la questione è ambigua, perché non solo a tutt’oggi non è stato chiaro quali fossero i “vigenti programmi” – che ormai programmi non sono più (da agosto dovrebbero vigere le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo) – ma è anche vero che nei medesimi non è mai indicato con estrema chiarezza quali sono le conoscenze/abilità certe che i nostri alunni delle classi testate sono tenuti a raggiungere nell’anno scolastico di riferimento (per non dire che si effettuano le prove in mesi in cui i programmi non sono stati ancora terminati). Quindi, da un lato ci troviamo di fronte ad un Invalsi incapace di farsi accettare come concreto sussidio agli insegnanti, dall’altro di fronte ad insegnanti che non credono ai test e che, incoraggiati dalla scarsa scientificità delle prove Invalsi, trovano validi mortivi per rifiutare in toto procedure misurative e valutative che sono esiti di ricerche che da anni la docimologia internazionale sta conducendo e proponendo. Da quanto detto, risulta che il lavoro da fare con le scuole e con gli insegnanti è molto! Occorre essere convinti che un test non è affatto una prova da poco, che le crocette sono sempre l’esito di operazioni mentali di tutto rilievo (purché non si copi, ovviamente), che è uno strumento “povero” perché indaga su conoscenze e abilità comuni a tutti e non sollecita operazioni divergenti o creative relative all’OK/nonOK; ma che si tratta di conoscenze e abilità che costituiscono il sostrato su cui poi dar luogo a produzioni originali. La casa di vetro di Renzo Piano o la Nuvola di Massimiliano Fuksas sono produzioni originalissime (criterio OK), esito di una grande creatività, ma sia l’uno che l’altro architetto condividono il fatto che due più due fa quattro e non cinque (criterio test): e non se ne può prescindere! Va infine ricordato un serio rischio che si corre: il fatto che gli insegnanti ritengono che i loro alunni debbano essere “addestrati” ad affrontare le prove Invalsi e che le loro attività siano tutte mirate di conseguenza a questo obiettivo. Non è così! Non dev’essere così! La pratica dei test e dei reattivi (un’operazione algebrica è un test; un tema è un reattivo) dovrebbe diventare pratica quotidiana. Se ciò non avviene e non è avvenuto, la colpa non è dei test o dei reattivi! E’ della scarsa conoscenza – a volte addirittura ignoranza – circa le problematiche della misurazione e della valutazione e dei relativi strumenti di rilevazione e di verifica! E’ certo che, finché continueremo a parlare di cinque meno meno, di sei e mezzo e a pensare che il tre il dieci sono voti che non si attribuiscono mai per non avvilire e per non illudere, la strada che dobbiamo percorrere è ancora lunga! Eppure è dagli anni Settanta che abbiamo introdotto – o tentato di introdurre – nelle scuole la “cultura della valutazione” Mah!

Sub b3) Si tratta di un punctum dolens di grande rilievo. Vanno considerate due circostanze congiunte: a) l’Invalsi non è stato ancora capace di proporsi come un’istituzione affidabile (nei rapporti tra persone e tra istituzioni, ciò che conta non è tanto ciò che si è, ma come si è percepiti: e il sociologo queste cose le sa bene! Purtroppo, non chi ci amministra e chi dirige l’Invalsi) e in grado di proporre prodotti di alta e indiscutibile qualità (com’è noto, le critiche, anche se a volte superficiali, strumentali, non sempre scientificamente giustificate, fioccano da tutte le parti!); b) l’amministrazione continua a gingillarsi, incapace di proporre alle scuole la necessità di una valutazione di sistema, di cui le prove Invalsi devono costituire un primo nucleo di attività, che provochino veramente ricadute di aiuto sulle scuole medesime. Sappiamo quanto pesa l’incertezza sulla finalità delle prove: serviranno a premiare le scuole più virtuose? E a togliere fondi a quelle rimaste indietro? So che non è così, ma dichiarazioni ufficiali e certe in merito non ne abbiamo mai sentite, e non sono sufficienti le verbose direttive che spesso oscillano tra l’impositivo e il punitivo e non sempre fanno chiarezza sulla opportunità dell’operazione Invalsi e sulla sua validità scientifica.

Sempre sperando che la spending review dei prossimi giorni non spazzi via tutto, Invalsi compreso!

 


[1] Più i completamenti sono numerosi, più difficile è individuare l’uscita corretta. Spesso si scrivono item composti di una domanda e di una serie di risposte, tra cui quella esatta. Personalmente ritengo che questo tipo di item di fatto fa perdere di vista la natura V/F che caratterizza sempre una data proposizione che è sempre costituita, e così compiuta, di una parte nominale e di una parte verbale.

[2] Un esempio. Il punteggio da attribuire a un test di 20 item oscilla tra lo zero e il 20: si tratta di punteggi grezzi, il cui calcolo è l’esito di una misurazione. Se poi si vuole passare alla valutazione espressa in voti, occorre scegliere qual è la soglia di accettabilità. Potrei dire che il test è facile e che si ottiene la sufficienza se si raggiungono almeno 15 punti. Potrei anche dire che il test è molto difficile e che si ha la sufficienza anche con soli 10 punti.