Annotazioni sulla bozza delle Indicazioni Nazionali
Relativamente alla Bozza delle Nuove Indicazioni Nazionali ho inviato alla Commissione alcune annotazioni critiche di metodo e di merito.
- Mi pare che la “consultazione” abbia tempi, forme, modalità di coinvolgimento e discussione inadeguati a tal punto da risultare poco credibile per poter suscitare un dibattito approfondito e sentito; in particolare il questionario (a tre risposte imposte) rivolto alle scuole viene percepito come un proforma;
- la scelta della Commissione di elaborare l’Introduzione “dopo” aver scritto le Indicazioni fa venire meno il rapporto consequenziale che dovrebbe esserci tra contenuti specifici di merito e il contesto (la Premessa), che si dovrebbe basare su una “lettura” della scuola reale, dei suoi bisogni, dei bisogni della società e delle nuove generazioni nella fase storica che stiamo attraversando;
- il venir meno delle “aree” di aggregazione delle discipline fa sorgere dubbi: se non avevano un fondamento epistemico già prima, non si comprende perché gli insegnanti siano stati “formati” con corsi di aggiornamento in cui si sosteneva da parte degli specialisti e degli aggiornatori esattamente il contrario, oppure la scelta di eliminare le aree è dovuta al venir meno del modulo e alla sua sostituzione col “maestro unico”? Ma anche in quest’ultimo caso bisognerebbe spiegare allora il conflitto e la contraddizione tra la scelta di una marcata disciplinarizzazione e l’impoverimento specialistico degli insegnanti che, divenendo “unici”, non possono però divenire tuttologi. Più i saperi si specializzano, più gli obiettivi diventano specifici e pertinenti alle aree prettamente disciplinari, più l’insegnante unico pare generico, onnicomprensivo e non in condizioni di essere all’altezza del compito che gli viene assegnato;
- “spirito di iniziativa e imprenditorialità”: tra gli otto macro-obiettivi che vengono elencati nella Bozza, questo è certamente “estraneo” e resta “appeso” senza che nel corpo del documento vi sia specificazione di conoscenze, discipline, attività didattiche che ne dovrebbero essere il supporto e la base concreta, al fine di renderlo credibile per il suo conseguimento nel tempo;
- il macro-obiettivo definito “competenza digitale” è fuori misura sia rispetto alle effettive possibilità della scuola, soprattutto in assenza di strumenti, saperi, competenze specifiche degli insegnanti, sia rispetto alle capacità dei bambini di questa fascia d’età, anche se con roboante ed esagerata espressione li definiamo “nativi digitali”. Più ancora che alle specifiche “competenze” tecniche, comunque inadeguate e limitate, occorrerebbe porre l’accento sull’esigenza di cominciare a maturare una “cultura digitale”;
- Storia è l’unica disciplina per la quale nella Bozza onestamente si riconosce la carenza di tempo scuola a disposizione, ma si afferma, tuttavia, ne “La ripartizione delle conoscenze storiche per livelli scolastici”, che “anche gli insegnanti di scuola primaria dovranno stimolare la conoscenza di aspetti e processi del nostro tempo e della nostra storia recente, durante tutto il percorso di studi, assumendo l’opzione metodologica di mettere in rapporto passato e presente all’interno dei temi che verranno via via affrontati”. Ciò da una parte rivela la giusta e auspicabile attenzione degli estensori verso la Storia moderna e contemporanea anche nella Primaria, dall’altra mette ancor più in evidenza l’inopportunità della verticalizzazione dello studio della Storia senza ripetizione dei contenuti. La ripetizione, alla scrivente, pare invece necessaria e da non sottovalutare, ovviamente con i dovuti accorgimenti e approfondimenti in base all’età degli alunni, i quali vivono in contesti che riportano i segni di un passato recente che stimolano la loro curiosità;
- l’obiettivo ambizioso, forse anche presuntuoso, della “comunicazione nelle lingue straniere” appare in stridente contraddizione con la figura del “maestro unico”, il quale, non solo dovrebbe imparare la competenza comunicativa in lingue straniere in qualche decina di ore e per giunta prevalentemente on line, ma dovrebbe essere talmente colto linguisticamente (per esempio, fondamentale sarebbe una pronuncia corretta, senza la quale non c’è “comunicazione”) e didatticamente da poterle addirittura insegnare, cosa difficile anche per un insegnante laureato e/o di madre lingua;
- in generale viene abusato il termine-concetto di “competenza”, anzi “competenze”, che non pare adatto ad una realistica valutazione delle capacità dei bambini di questa fascia d’età;
- molti obiettivi disciplinari non tengono conto né dei tempi dell’attuale organizzazione scolastica, né degli ambienti, dei materiali, degli strumenti effettivamente a disposizione delle classi e delle scuole, né dell’età dei bambini. Inoltre in “Traguardi per lo sviluppo delle competenze”, nel paragrafo “Organizzazione del curricolo” è scritto che i traguardi “risultano prescrittivi”: a questo punto non si capisce poi come si possano costruire dei curricoli nelle singole scuole autonome. Sarebbe stata più opportuna una scelta lessicale meno deterministica e assertiva: ad es. si sarebbero potute usare espressioni come “avviare”, “orientare”, “incentivare”… in particolare per alcuni obiettivi enfaticamente alti di “Arte e immagine”, “Tecnologia”, “Musica”, “Lingue comunitarie”;
- assolutamente niente viene scritto dell’integrazione, dell’inclusione, della prevenzione della dispersione, che non sono questioni “a parte” che riguardano un numero insignificante di allievi (si pensi ai bambini stranieri, ai diversabili, DSA, dislalici, discalculici, disgrafici ecc.), ma in un modo o nell’altro, direttamente o indirettamente riguardano tutti gli alunni e tutti gli insegnanti, perchè determinano il sistema degli obiettivi e il sistema della relazioni, gli ambienti e il clima di apprendimento.
Claudia Fanti