PD Pisa: Professionalità docenti

Rassegna Stampa e News su Scuola e Sindacato

PD Pisa: Professionalità docenti

Messaggiodi edscuola » 30 novembre 2007, 22:17

GLI INSEGNANTI COME RISORSA DELLA SCUOLA PUBBLICA
Gianfranco Giovannone

Tutti sono pronti a riconoscere il ruolo fondamentale della scuola e degli insegnanti per la crescita culturale ma anche economica del nostro paese. Lo ha fatto il presidente della Camera al momento del suo insediamento, lo fa spesso il presidente della Repubblica, lo fa un giorno sì e uno no il ministro della pubblica istruzione. E tutti riconoscono, al tempo stesso, che gli insegnanti italiani sono sottopagati, il fanalino di coda dei paesi OCSE. Il programma dell’Unione sembrava aver colto questa drammatica contraddizione:
“Lo stato di forte disagio in cui versa il mondo della Scuola deriva anche dal disconoscimento e dalla sottovalutazione della funzione e dell’autorevolezza sociale degli insegnanti …Bisogna riconquistare la fiducia degli insegnanti , riconsegnare loro le risorse e un ruolo centrale per la realizzazione dell’innovazione. Occorre attivare politiche per valorizzare il loro lavoro, il loro ruolo, la loro formazione scientifica nelle loro diverse declinazioni disciplinari, la loro funzione di intellettuali e di protagonisti di scelte chiave per la qualità del futuro del Paese”
E ancora:
“Un ruolo centrale lo avranno gli insegnanti, la cui professione riveste un ruolo strategico per il Paese. Vogliamo rendere l’insegnamento una scelta appetibile per i migliori talenti, uomini e donne,così che la qualità della scuola possa beneficiare della loro formazione e qualificazione”
Mentre esprimiamo un apprezzamento complessivo per il lavoro svolto da Giuseppe Fioroni e Mariangela Bastico per il lavoro svolto al MPI per ridare serietà e autorevolezza alla scuola italiana, non possiamo non rilevare come la surreale e anche un po’ umiliante vicenda del rinnovo contrattuale abbia purtroppo provveduto a smentire bruscamente queste parole. Per concederci i soliti cento euro lordi di aumento – che il governo di centrodestra ci riconobbe senza particolari drammatizzazioni – il governo ha ingaggiato con i sindacati di categoria un estenuante e apparentemente incomprensibile braccio di ferro. Apparentemente, perché la disputa attorno ai sei euro lordi – tanta era la differenza tra le richieste sindacali e le disponibilità del governo – in realtà è stata caricata esplicitamente, ad esempio sulla stampa, ma non solo, di significati simbolici un po’ preoccupanti che hanno mostrato i limiti ideologici di certo riformismo, limiti che rischiano di ipotecare anche la fisionomia del futuro Partito Democratico A spalleggiare il rigorismo del ministro dell’economia infatti, sono intervenuti non pochi rappresentati di quel riformismo di sinistra ansioso di ricevere il plauso di opinionisti come Pietro Ichino o Angelo Panebianco, una sorta di riformismo ideologico e talvolta un po’ sloganistico, molto diverso dal riformismo “tranquillo” ed efficace di un personaggio come Pierluigi Bersani. Nessuno nega che dal pubblico impiego, e in parte anche dal mondo della scuola vadano eliminate quelle sacche di inefficienza, assenteismo e servizi spesso scadenti che francamente non sono più tollerabili, e che costituiscono un primato tutto italiano. Del resto, tra governo e sindacati era stato firmato un memorandum d’intesa, ispirato in parte da Pietro Ichino, che andava proprio in quel senso. Ma aver trasformato una normale tornata contrattuale in uno scontro tra sindacati corporativi che difendevano i “fannulloni” e “riformisti” paladini dell’efficienza e della meritocrazia è stato un errore che sicuramente ha fatto perdere ulteriori consensi al governo di centro-sinistra, ma che soprattutto richiederebbe una riflessione sulla natura spesso astratta e ideologica di certo “riformismo” un po’ provinciale , spesso apertamente ispirato al liberismo e alle politiche antisociali e antisindacali della signora Thatcher. Per fare un esempio, un “riformista” come Nicola Rossi, parlando del modesto contratto ancora in via di rinnovamento ha scritto (Corriere della Sera del 3 settembre):
“Padoa Schioppa spiega che per riqualificare la spesa pubblica si deve intervenire sulle retribuzioni, visto che nel settore dei beni e servizi e degli investimenti si è ormai raschiato il fondo del barile. Sbaglio o ha appena firmato un contratto da Babbo Natale con i dipendenti pubblici”. Ci sembra un esempio di riformismo “estremista” preoccupante sul quale occorrerà necessariamente discutere all’interno del PD, perché richiama, ad esempio, l’insofferenza nei confronti dei sindacati e dello stesso lavoro dipendente – pubblico e privato – da parte di intellettuali come Michele Salvati che hanno dato un notevole contributo nel redigere il Manifesto del Partito Democratico.
Ma per quanto riguarda la scuola il problema è più antico e drammatico, va ben al di là della pur deludente gestione dell’ultima tornata contrattuale. Se le frasi altisonanti contenute nel programma dell’Unione avevano un senso politico e non solo retorico, allora è legittimo interpretarle come l’impegno da parte del governo di centro-sinistra a compiere uno sforzo finanziario straordinario per cominciare ad avvicinare gli stipendi dei docenti italiani alle medie europee. E per fare questo occorre una decisione politica, perché è un problema che può essere avviato a soluzione attraverso due o forse tre leggi finanziarie, perché se si arriva a ridosso della scadenza contrattuale senza aver deciso prima che occorre uno sforzo finanziario straordinario per la scuola, il risultato saranno comunque i soliti cento euro lordi. Su questo gli insegnanti, e in particolar modo gli insegnanti dei DS hanno diritto ad una risposta finalmente chiara e senza ipocrisie. Tutto il resto, compresi i rituali riconoscimenti del nostro ruolo fondamentale o strategico per lo sviluppo e la modernizzazione del nostro Paese, sono soltanto chiacchiere, vuote e ormai anche un po’ beffarde.
Una risposta chiara e senza ipocrisie dovrebbe riguardare esclusivamente la questione delle compatibilità finanziarie, vorremmo che ci venisse risparmiata la penosa e disinformata paccottiglia con cui si è respinta fino ad ora la richiesta di valorizzazione professionale da parte degli insegnanti. Ad esempio: non si possono aumentare significativamente gli stipendi dei docenti italiani perché il loro numero è eccessivo rispetto agli altri paesi europei. Il ministro Fioroni ha confutato efficacemente questo argomento ricordando la particolare struttura del territorio italiano, e soprattutto gli 80.000 insegnanti di sostegno, a testimonianza del fatto che il nostro Paese è all’avanguardia nell’integrazione degli alunni diversamente abili, inseriti in classi comuni e non speciali, come avviene nel resto d’Europa. Comunque,se esistono sprechi ed inefficienze è compito del governo porvi rimedio, senza assumerli surrettiziamente come argomenti per negare la piena valorizzazione della professionalità docente. Né, vogliamo sperare, si vorrà chiedere agli insegnanti di dimostrare di essere lavoratori a tempo pieno, con piena dignità professionale. A differenza di quanto ci è stato raccontato per anni, ora che i dati internazionali sono ampiamente disponibili, sappiamo che l’orario di cattedra dei professori è attorno alle diciotto ore in tutti i paesi OCSE.
Lo stesso Quaderno bianco, firmato congiuntamente dai ministri Padoa Schioppa e Fioroni, mostra esplicitamente che la differenza delle ore di insegnamento tra l’Italia e la media OCSE – differenza definita “leggera” dal rapporto OECD, “Education at a glance” – non è tale da giustificare il fatto che gli insegnanti italiani guadagnino 8-9000 euro meno della media europea. Tra l’altro,se si escludessero dalla comparazione gli Stati Uniti, che hanno un monte ore eccezionalmente alto, la differenza tra l’Italia e la media OCSE sarebbe decisamente trascurabile, mentre la Finlandia, che si piazza invariabilmente al primo posto nelle comparazioni internazionali relative al profitto degli studenti, ha un monte ore inferiore a quello italiano, a dimostrazione che non vi è correlazione automatica tra orario di cattedra degli insegnanti e successo scolastico.
La necessità di valutare l’efficacia del lavoro degli insegnanti, avanzata con forza nel Quaderno bianco non può però essere elusa, anche se gli stessi studiosi che vi hanno contribuito non ne nascondono la complessità, soprattutto quando si tratta di legarla all’incentivazione dei docenti. Ogni anno il rapporto OCSE-PISA – ma non solo - riporta dati sconfortanti in proposito, evidenziando una drammatica disparità tra il Nord e il Meridione del nostro Paese – ma al Centro i risultati sembrano largamente insoddisfacenti - , una situazione preoccupante per quanto riguarda le competenze raggiunte dagli studenti del settore tecnico-professionale e la cronica incapacità del sistema a colmare lo svantaggio sociale e culturale di base degli studenti, perpetuando invece di attenuare questo svantaggio. La questione può essere così sintetizzata:
1. A partire dagli anni ottanta, la maggior parte dei paesi economicamente avanzati – ma non l’Italia - si è dotata di un sistema nazionale di valutazione basato sulla misurazione degli esiti della scuola, ad esempio in termini di competenze degli studenti e dei molteplici fattori che concorrono a tali risultati. Un sistema nazionale di valutazione permette di monitorare l’efficacia dei sistemi educativi meglio di quanto non avvenga con i benchmark desunti dai confronti internazionali come l’OCSE-PISA perché la definizione degli standard di apprendimento rispetta le peculiarità, l’eredità culturale e l’identità propria di ciascun paese. Condividiamo pienamente l’istanza, posta con forza dal Quaderno bianco, di colmare l’evidente e grave ritardo italiano, per dotare il nostro paese di uno strumento indispensabile per elaborare e assumere indirizzi di politica scolastica e per migliorare la qualità complessiva del nostro sistema educativo. Nel quaderno si dice che “la maggioranza degli insegnanti avverte chiaramente la necessità della valutazione”, ma la percentuale di tale maggioranza in realtà supera di poco il 50%, a dimostrazione del ritardo culturale di una parte consistente del corpo insegnante.
2. Come lo stesso Quaderno bianco suggerisce, la correlazione tra valutazione dell’azione educativa e l’incentivazione dei docenti non può essere automatica – non lo è in Francia o in Germania, ad esempio, dove l’esistenza di sistemi di valutazione nazionali non si riflette sui criteri di determinazione della carriera dei docenti. In realtà l’unica esperienza in cui si sta tentando di implementare questa correlazione è il Regno Unito e, in parte, negli Stati Uniti.. Nel Quaderno bianco si affronta il problema di questa correlazione con molta cautela e avendo ben presenti i complessi problemi che tale correlazione implica: “ Appaiono innanzitutto evidenti le difficoltà e i rischi connessi a un utilizzo automatico dei risultati della sola misurazione delle conoscenze e competenze per indurre miglioramenti dell’azione educativa. Sia nell’esperienza delle graduatorie di scuole della Gran Bretagna, sia nell’esperienza degli Stati Uniti, si è tentato di indurre in modo automatico, in un caso l’abbandono da parte delle famiglie e studenti delle scuole “peggiori”, nell’altro un impegno maggiore degli insegnanti legando le loro retribuzioni ai risultati misurati. In entrambi i casi, si è aperto un confronto sui possibili effetti perversi di tali meccanismi” L’insieme di queste e altre considerazioni “ non preclude alcun utilizzo della valutazione, ma suggerisce cautela nel suo insieme”. E ancora: “Mentre è evidente che l’obiettivo ultimo è quello di assicurare dati livelli essenziali di conoscenza e competenza, si è visto che tentare di conseguire questo obiettivo attraverso la fissazione di meccanismi automatici premio/sanzione può introdurre effetti perversi. … La strada appropriata è dunque da un lato quella della misurazione dei progressi, dall’altro, quella di meccanismi flessibili e modificabili per la valutazione del contributo della scuola a quei progressi, che eviti rigidi meccanismi pianificatori. E’ agli esiti di questa valutazione che appare possibile e ragionevole legare la retribuzione accessoria”. Tre sono le soluzioni – non alternative ma complementari – che si ipotizzano:
• Un impegno didattico aggiuntivo da parte degli insegnanti più adatti in relazione alle necessità accertate. La riduzione dei vincoli che limitano oggi il numero massimo di ore che un singolo insegnante può esercitare potrebbe consentire maggiore flessibilità nell’impegnare, di volta in volta, gli insegnanti che appaiono adatti alle necessità emerse dalla diagnosi.
• Il secondo fattore – un impegno più motivato e focalizzato di tutti gli insegnanti di una data scuola – riguarda essenzialmente le scuole che si trovino in una “situazione di criticità” che richiedano la missione del “team di supporto” . Il team di supporto aiuterebbe la scuola a fissare gli obiettivi di progresso e l’incentivazione sarebbe legata, appunto, ai progressi compiuti dalla scuola nel suo complesso rispetto alla situazione iniziale. “A tali obiettivi può essere legata la previsione di risorse aggiuntive premiali, per l’intero corpo insegnante e per il personale in genere della scuola. Particolarmente efficace può essere l’incentivazione per i dirigenti scolastici”
• Il terzo fattore riguarda l’incentivazione dei singoli insegnanti. “ Per i singoli insegnanti non si tratta di vedere una parte della retribuzione legata ai risultati ottenuti l’anno precedente, quanto di individuare il modo in cui i risultati stratificati nel tempo possano consentire un “salto” di carriera. Non si tratta di una strada semplice, ma su di essa si potrebbe lavorare, legandone l’attuazione ai progressi del sistema nazionale di valutazione”. Inoltre, si potrebbero prendere in considerazione i successi ottenuti nelle scuole in cui si è operato per raggiungere gli obiettivi stabiliti nelle diagnosi valutative; i crediti formativi derivanti sia da iniziative pianificate sia da iniziative degli insegnanti; i risultati professionali ottenuti dagli insegnanti in aree diverse dall’insegnamento.
Dire che “non si tratta di una strada semplice” sembra davvero un eufemismo, perché il tentativo di legare l’incentivazione alla valutazione dell’efficacia educativa così come enunciata nel Quaderno bianco appare non solo estremamente complessa, ma alcune proposte appaiono difficilmente comprensibili.. Intanto, sembrerebbe di capire, la maggior parte degli insegnanti coinvolti dovrebbero essere, prevalentemente, quelli che lavorano in scuole in situazione di criticità: Non a caso si fa spesso riferimento al Mezzogiorno, l’area che in tutti gli attuali confronti internazionali viene individuata quella a maggior sofferenza per quanto riguarda la matematica, le scienze e la capacità di lettura. Proprio questa criticità iniziale consentirebbe di rilevare i progressi degli studenti che permetterebbero di premiare le scuole “virtuose”. E gli altri?Quelli che lavorano in un liceo di Bolzano, di Bologna o di Firenze, che si piazzano già ora ai primi posti dei confronti internazionali e magari superano la mitica Finlandia?. Per quanto riguarda poi l’incentivazione dei singoli insegnanti, riesce difficile comprendere come si facciano a cogliere “ i risultati stratificati nel tempo”.
Resta il fatto però che l’ipotesi di collegare il risultato dell’azione educativa allo sviluppo di carriera dei docenti appare non solo condivisibile, ma fa apparire sbrigativi e dilettanteschi sia i tentativi passati di instaurare forme di meritocrazia nelle scuole, sia gli appelli accorati alla premiazione dei migliori che appaiono periodicamente sulla stampa. A noi sembra un’ipotesi di difficilissima realizzazione, ma crediamo che vada sostenuta la volontà di realizzare un efficace e condiviso sistema di valutazione dell’efficacia dell’azione educativa, mentre l’ipotesi di collegare tale valutazione all’incentivazione dei docenti dev’essere discussa e approfondita molto seriamente. E vogliamo sperare, infine, che nell’attesa che si realizzi nel nostro paese un serio sistema di valutazione scolastica, gli stipendi dei docenti vengano intanto portati ad una soglia dignitosa, poi si studierà come premiare le eccellenze. Come afferma lo stesso Quaderno bianco, se la maggioranza – esigua – degli insegnanti è favorevole a forme di incentivazione legate ai risultati conseguiti, questa maggioranza afferma perentoriamente che ciò sarà possibile solo quando tutti gli insegnanti godranno di stipendi “europei”.
Ora che i dati diffusi dal Quaderno bianco hanno reso pubblico quello che in realtà era abbastanza noto per chi avesse avuto la pazienza di procurarsi i dati sull’orario di lavoro e sulle retribuzioni dell’area OCSE, ci auguriamo non ci sia più nessuno, soprattutto tra gli stessi insegnanti, che se ne esca con la proposta di preparare le lezioni e correggere i compiti a scuola, per dimostrare all’opinione pubblica che lavoriamo davvero. Spiace anzi dover scendere a questi livelli, ma siamo consapevoli di quanto forti siano stati, in parte anche a sinistra, i pregiudizi nei confronti degli insegnanti, e di quanto i pregiudizi e i luoghi comuni siano vischiosi e duri a morire. Ma dev’essere la politica, non gli insegnanti, che nella stragrande maggioranza dei casi svolgono seriamente il loro lavoro, a dimostrare all’opinione pubblica l’importanza della loro funzione sociale, innanzitutto con un dignitoso riconoscimento economico.
Nell’ambito della valorizzazione della professionalità docente la questione dei benefits degli insegnanti, affrontato da tempo nella maggior parte dei paesi europei ma non in Italia, riveste un ruolo non secondario. Nella “Intesa sulla Conoscenza”, firmata da tutti i sindacati, dai ministri Fioroni, Nicolais e Padoa Schioppa si legge “occorre studiare forme di esenzione e di agevolazione che consentano ai docenti di usufruire di modalità non formalizzate di formazione, connesse a spese per servizi culturali onerosi (musei, mostre, libri etc)”. In una serie di colloqui avuti con Mariangela Bastico mi è sembrato che il vice-ministro fosse molto sensibile alla questione, anche se poi, nel tormentatissimo iter dell’ultima legge di bilancio è riuscita ad inserire solo una norma per la deducibilità delle spese relative all’acquisto del PC. Il problema è urgente perché, appunto, qualsiasi iniziativa relativa all’estensione dei benefits deve necessariamente passare dalla legge finanziaria, e mi sembra legittimo chiedere se al Ministero della Pubblica Istruzione abbiano allo studio progetti da sottoporre al vaglio del Ministero del Tesoro, che ovviamente ha un ruolo decisivo in merito a stanziamenti ad hoc per i benefits agli insegnanti. Credo che un azione decisa sulla questione dei benefits, soprattutto se comunicata con chiarezza, semplicità ed efficacia , avrebbe un enorme significato simbolico per tutta la categoria, a fronte di un impegno finanziario non proibitivo
Naturalmente non c’è solo la questione economica ad ostacolare il pieno riconoscimento della professionalità degli insegnanti, e, ripetiamo, riconosciamo che questo governo ha compiuto passi importanti, sia nel cancellare gli aspetti più odiosi e insostenibili delle riforme della Moratti, sia nel tentare di ripristinare l’autorevolezza della scuola e degli insegnanti. Ma di fronte al fatto che, come ha recentemente riconosciuto il ministro della funzione pubblica, un insegnante all’apice della carriera,e quindi alle soglie dei sessant’anni, non arrivi a guadagnare mille e ottocento euro al mese, non si può non riconoscere che quello dello status sociale ed economico dei docenti costituisca di gran lunga il problema principale.
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PD Pisa: Professionalità docenti 2

Messaggiodi edscuola » 30 novembre 2007, 22:18

LA PROFESSIONALITA’ DEGLI INSEGNANTI E LA SUA FORMAZIONE
L’insegnante “incoraggiante” e riflessivo
Enzo Catarsi

La professionalità docente è ormai unanimemente riconosciuta come questione centrale nel processo di rinnovamento del sistema scolastico italiano. Una scuola rinnovata, infatti, abbisognerà, di una nuova professionalità docente, dai caratteri assai diversi da quelli cui siamo tradizionalmente abituati. Essa dovrà sostanziarsi di diverse competenze, che potremmo definire nella maniera seguente: 1. competenze culturali e psico-pedagogiche; 2. Competenze tecnico-professionali; 3. competenze metodologiche e didattiche; 4. competenze relazionali; 5. Competenze “riflessive”.
La nuova professionalità docente
Non sfuggirà, pertanto, la novità di una tale caratterizzazione della professionalità degli insegnanti rispetto alla situazione esistente. La proposta, peraltro, non intende essere polemicamente critica nei confronti della attuale categoria docente, la cui formazione, com'è noto, risente ancora della influenza nefasta della riforma Gentile del 1923, anche se tali lacune, ovviamente, non possono certo essere primariamente imputate a responsabilità soggettive. Occorre pertanto lavorare per il loro superamento, magari organizzando esperienze organiche di formazione in servizio che abbiano nei caratteri della continuità e della sistematicità i loro tratti distintivi.
Allo stesso modo pare giusto evidenziare che la caratterizzazione delle competenze alla base della nuova professionalità docente deve essere intesa in tutta la sua dinamicità e con la sottolineatura che tutte e cinque debbono essere presenti in misura equilibrata.
La prima intende evidenziare che gli insegnanti debbono essere uomini e donne del proprio tempo, con una ricca preparazione culturale ed in possesso di puntuali conoscenze psicologiche e pedagogiche. Le competenze metodologiche e didattiche fanno invece riferimento a quelle strategie che sono alla base del lavoro degli insegnanti: programmazione, verifica e valutazione, osservazione e documentazione. Anche se, infatti, abbiamo chi intende aprire una fase postprogrammatoria siamo convinti che la strategia della programmazione non sia stata ancora acquisita nel suo significato intrinseco e sia stata oggetto di equivoci talvolta artatamente proposti nella discussione.
L'attività programmatoria, al contrario, appare fondamentale per la esplicitazione di quella intenzionalità educativa che è l'essenza stessa della scuola e non introduce certamente nel processo educativo elementi di schematicità e di passivizzazione degli allievi. Anche per questo, quindi, è da sottolineare la primaria importanza del carattere collegiale della programmazione, condizione essenziale, fra l'altro, per il successivo momento della verifica e valutazione.
Altra fondamentale competenza è inoltre quella osservativa, che consente una approfondita conoscenza del ragazzo e della sua individualità. Allo stesso modo molto convincente appare anche un'altra motivazione alla base dell'uso del metodo osservativo che, essenziale per conoscere la individualità del singolo allievo, diventa determinante al fine di garantire la flessibilità della “programmazione didattica”, che abbisogna di progressive modifiche proprio sulla base delle risposte date dai ragazzi e verificate ed osservate dagli adulti. Fondamentale, infine, l’approccio alla documentazione, che consente di valorizzare le esperienze di innovazione didattica e di costruire sapere professionale
La competenza relazionale
In questa nostra proposta le relazioni sono da considerare come elemento centrale della esperienza scolastica e perciò la competenza relazionale deve essere considerata primaria nella definizione della professionalità docente. Questo anche alla luce della convinzione, giustamente sempre più diffusa, che la collegialità costituisce aspetto imprescindibile del lavoro scolastico, dove il gruppo degli insegnanti deve poter operare in maniera collegiale.
L'esperienza però ci mostra quanto sia difficile lavorare collaborando con gli altri e come, quindi, l'acquisizione di puntuali competenze relazionali sia fondamentale anche per il reale funzionamento di un gruppo. Quest'ultimo, però, incontra di solito numerosi ostacoli, in quanto le tensioni che si sviluppano al suo interno possono creare situazioni di difficoltà. É chiaro, pertanto, come la complessità di lavorare in gruppo possa far scattare dei “meccanismi di difesa” a livello inconscio che spesso finiscono per rendere apprensivo il soggetto. Questo avviene proprio perché mettere in discussione i propri convincimenti non è molto facile e molto più difficile è superarli, abbandonando le certezze e le sicurezze a cui di solito si è fatto riferimento. Formare all’ascolto gli insegnanti e metterli in condizione di creare relazioni proficue con i colleghi è quindi condizione essenziale per una significativa produttività del lavoro docente.
Allo stesso modo le competenze relazionali serviranno molto anche per migliorare il rapporto con le famiglie, che sempre più dovranno caratterizzare il Piano dell’offerta formativa di qualsivoglia istituzione scolastica. La consapevolezza del carattere “ecologico” e complessivo dello sviluppo, infatti, deve rendere sempre più chiara la necessità di un rapporto organico e continuativo anche con i genitori, verso i quali ci si deve rivolgere con atteggiamento rassicurante ed empatico.
L’ insegnante “incoraggiante”
Ai fini della qualificazione della professionalità docente si rivelerà inoltre fondamentale la capacità di attivare relazioni gratificanti ed “incoraggianti” con gli allievi. Questo alla luce della convinzione che il comportamento degli insegnanti è essenziale ai fini dello svilupparsi di personalità equilibrate ed anche della stessa riuscita degli studenti nelle attività scolastiche.
L'insegnante incoraggiante deve puntare a sviluppare nell'allievo autostima, fiducia, sicurezza, interesse sociale, capacità di cooperare e di sviluppare attività. Al contempo egli deve essere orientato da una serie di principi che vengono indicati in maniera molto chiara. In primo luogo occorre promuovere le attività degli allievi facendo riferimento alle loro motivazioni interne. Al contempo l'insegnante deve essere capace di comprendere la realtà specifica del singolo studente, acquisendo consapevolezza degli eventuali problemi che possono derivare dalla sua storia personale oppure dall'ambiente familiare di provenienza. In questo caso, infatti, gli allievi si sentono considerati e rispettati e più facilmente acquisiranno quella sicurezza che è imprescindibile per poter ottenere risultati nello studio.
Altrettanto rilevante è responsabilizzare gli allievi in maniera che gli stessi si sentano artefici della loro vita scolastica. Ma il principio più significativo che l'insegnante incoraggiante deve avere presente è a nostro avviso quello del “sottolineare il positivo”, che richiama l'opportunità di sottolineare gli aspetti positivi delle prestazioni dei ragazzi, senza enfatizzare – sempre e comunque - quelli negativi.
La competenza relazionale deve inoltre avvantaggiarsi della conoscenza dei problemi e delle tecniche della comunicazione in situazione scolastica, a cominciare dalle strategie della conferma e del rinforzo sociale, di cui è stata rilevata l'indubbia utilità. A questo proposito, allora, si tratta di avere presente che, per quanto riguarda la comunicazione non verbale, l'atteggiamento di conferma passa attraverso comportamenti non verbali quali sguardi, gesti, postura del corpo ed il tono della voce. L'annuire ed il sorridere costituiscono, ad esempio, due comportamenti non verbali che confermano e rassicurano l'allievo.
Riguardo invece la comunicazione verbale è stato rilevato in numerosi studi la utilità della descrizione della situazione. Altri atteggiamenti che possono rivelarsi confermanti possono essere inoltre le richieste di chiarimento di informazioni, le espressioni di incoraggiamento e le espressioni di interessamento. Allo stesso modo sono state valorizzate la ripresa ad eco o risposta a specchio e la riesposizione dei contenuti. Quest'ultima, a seconda delle competenze linguistiche del bambino, può assumere la forma di espansione (cioè completamento della frase nella sua riesposizione) o parafrasi (cioè riesposizione del contenuto con altre parole).
Particolarmente utile, comunque, si è rivelata la tecnica, di derivazione rogersiana, della conferma come ripresa ad eco o a specchio che favorisce la libera espressione dei soggetti. La utilizzazione di tale tecnica, detta anche tecnica del “rispecchiamento verbale”, consente di proporre all’allievo una continua stimolazione, in quanto lo si pone in condizione di esprimersi continuamente, poiché l'insegnante si limita a verbalizzare i suoi comportamenti, a riassumere quanto lui ha detto, dimostrando attenzione per la sua verbalizzazione e ridandogli continuamente la parola.
Si tratta infatti di mostrare attenzione continua per l'interlocutore e di dimostrare comprensione nei confronti del suo discorso, che potrà arricchirsi e svilupparsi in maniera più articolata anche in virtù delle domande “incoraggianti” dell'insegnante e del suo atteggiamento complessivo di conferma. In questo modo, infatti, l’insegnante può davvero attivare un rapporto “diretto” con l’allievo ed assumere correttamente un ruolo incoraggiante e di “facilitatore”, che caratterizza di una nuova eticità la professionalità docente.
La competenza riflessiva
La riflessività si presenta come competenza di grande significato poiochè, in effetti, consente al soggetto, nei diversi contesti, di elaborare teoria a partire dalla propria esperienza. In questo caso, infatti, possiamo parlare di costruzione della conoscenza e di elaborazione della teoria a partire da un processo di concettualizzazione del reale, indagato ed osservato in maniera consapevole. Il comportamento di tutte le persone, in effetti, è ispirato a teorie, più o meno implicite, che debbono appunto essere portate a livello di piena consapevolezza. Tale acquisizione è certamente favorita dalla conversazione con se stessi e con gli altri e proprio per questo si rivela particolarmente opportuna l’esperienza che il soggetto può fare nel gruppo, dove il confronto interattivo stimola anche l’impegno introspettivo.
In particolare appare utile utilizzare la strategia del piccolo gruppo, dove gli insegnanti possono raccontare le loro esperienze e confrontarsi fra loro. Tale impegno conversazionale, peraltro, non è fine a sé stesso, ma si alimenta di una continua mediazione tra sapere teorico e sapere pratico. Allo stesso modo utile, inoltre, può rivelarsi la via della “narrazione riflessiva”, che più facilmente – anche a partire da un argomento – consente di coniugare un approccio teorico con l‘ esperienza personale di uno o più partecipanti al gruppo. Tale modalità necessita di un insegnante che si viva anche come “facilitatore della comunicazione” e che riesca a vivere la sua professionalità al servizio della crescita dei ragazzi.
Il contesto del “gruppo di lavoro”, con i colleghi, ma anche con gli studenti, può essere molto utile per l’affinarsi della competenza “riflessiva”, che deve mettere in grado l’ insegnante di vivere consapevolmente il proprio impegno professionale e di arricchirlo continuamente. Le diverse competenze indicate in precedenza (culturali, tecnico-professionali, metodologiche, relazionali) sono infatti essenziali; ma non possiamo dimenticare che i professionisti dell’educazione devono continuamente confrontarsi con situazioni problematiche e devono essere capaci di “categorizzare” l’esperienza, mentre imparano dalla medesima e concorrono alla costruzione di nuovi saperi. In tale contesto è quindi opportuno che possano avvalersi di una forma di razionalità euristico-riflessiva, a suo tempo identificata da Dewey e successivamente interpretata da Donald Schon come fondamentale per una “epistemologia della pratica professionale”. In questo modo affineranno in maniera puntuale la loro intenzionalità educativa e contribuiranno alla costruzione di un sapere professionale consapevole e contestualizzato, in grado di valorizzare la dimensione delle emozioni
ed in questo modo di essere realmente proficuo per la crescita complessiva delle giovani generazioni.
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PD Pisa: Avviso

Messaggiodi edscuola » 30 novembre 2007, 22:18

Cari/e compagni/e, cari/e, amici/amiche
vi invitiamo a partecipare a una riunione del Forum del Partito Democratico sulla scuola della provincia di Pisa, che avrà luogo LUNEDI 3 DICEMBRE alle ore 17 presso il Centro di documentazione del Complesso scolastico Concetto Marchesi.
Scopo della riunione è definire programma, percorsi di discussione e di consultazione, linee fondamentali della piattaforma politica del CONVEGNO SULLA PROFESSIONE DEGLI INSEGNANTI di cui abbiamo varie volte parlato e che intendiamo tenere a Pisa come momento di lancio del Forum sulla scuola del Partito Democratico. Per il convegno, sulla base delle discussioni precedentemente tenute, abbiamo fissato la data di VENERDI 25 GENNAIO 2008, e abbiamo già assicurata per quella data la presenza di Letizia DE TORRE, sottosegretaria alla Pubblica Istruzione.
Avevamo stabilito, come ricorderete, di lavorare sui seguenti temi:
1)- Gli insegnanti come risorsa della scuola pubblica per controbattere un senso comune diffuso, anche discutendo sulle condizioni (in termini di sviluppo della professionalità degli insegnanti, di organizzazione del lavoro, di azioni positive per garantire a tutti il diritto al sapere) e per creare le condizioni di consenso indispensabili per un forte investimento sulla scuola
2)-la professionalità degli insegnanti (in termini di competenze disciplinari, di capacità di relazione, di capacità di progettazione e programmazione) e la sua formazione.
3)-gli insegnanti come lavoratori: stato giuridico; valutazione e sviluppo di carriera; l’organico funzionale e le possibilità di differenziazione delle mansioni. Il tema è scottante e delicatissimo, e su questo intendiamo garantirci la presenza di esponenti nazionali dei sindacati confederali di categoria
4)-poteri, diritti e doveri degli insegnanti nella scuola autonoma: il tema è legato a quello più complessivo del governo della scuola autonoma e della costruzione di una rete istituzionale tra scuole autonome e autonomie locali in una prospettiva di riordino federalista dello stato.
Abbiamo ricevuto elaborazioni interessanti sui primi due punti, che distribuiremo e discuteremo nella riunione e che successivamente diffonderemo anche on-line, per sviluppare al massimo la consultazione democratica.
Nella riunione intenderemmo inoltre stabilire il percorso per produrre proposte anche sugli altri argomenti e per coordinare i materiali.
Data l’importanza della riunione, vi chiediamo di essere presenti e puntuali e di estendere l’invito a tutte le persone interessate.

Cordiali saluti
Massimo Baldacci
già resp. scuola Ds Pisa
Salvatore Scordino
già resp. scuola Margherita-DL Pisa
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Dibattito sulla professionalità

Messaggiodi edscuola » 8 dicembre 2007, 9:12

Dibattito sulla professionalità

Professione insegnante
Daniela Di Vita

Oggi non è una professione “ambita” ma sembra essere piuttosto una professione di ripiego……
Non è ambita perché
• ha perso un valido riconoscimento sociale
• non rappresenta più un ruolo / uno status socialmente riconosciuto come importante
• non ha un corrispettivo stipendiale appetibile
• Stipendio basso = orario ridotto = compatibile con uno pseudo part-time favorevole solo e in parte alle donne
• Gli insegnanti oggi sono “vecchi” i nuovi vengono dal precariato che mette insieme insegnanti non più giovani, poco competenti, non selezionati che hanno la scuola come ultima risorsa lavorativa….
• Gli insegnanti sono demotivati, esercitano una professione per niente gratificante, hanno come utenza un mondo di alunni, dall’infanzia all’adolescenza, enormemente modificato ed in continua evoluzione senza entrare nel merito della positività o meno di questa evoluzione, un mondo al quale non sanno e non riescono più a rapportarsi, per cui aumenta la loro insoddisfazione e il circolo diventa vizioso……

Docente
• poco motivato
• poco pagato
• poco competente
Discente
• Poco preparato
• Poco motivato
• Poco competente

Come si vede l’interazione è semplicistica ma chiara e quindi lavorare sul docente e sul recupero a tutto tondo della sua professionalità significa lavorare sull’alunno, sul discente, in modo direttamente proporzionale

Affrontare il problema
• della selezione
• dell’orario ( non si può più pensare ad un orario esclusivamente frontale più un monte ore annue poco rendicontate….è necessario pensare ad un esercizio della professione che comprenda lezione frontale e preparazione, pianificazione,valutazione…sempre “in orario di servizio” come avviene negli altri paesi europei per dare dignità a tutto l’operato necessario alla funzione docente)
• dello stipendio
• della diversificazione (perché diverse sono le tipologie di utenza che sono sempre più presenti nelle nostre scuole e che devono essere affrontate seriamente vedi gli alunni extracomunitari, gli alunni diversamente abili, gli alunni in forte disagio, gli alunni con disturbi di apprendimento, gli alunni con capacità intellettive superiori alla norma, le cosiddette eccellenze ……..)

L’insegnante deve essere realmente competente

• nel campo disciplinare
• nel campo sociale e relazionale
• nel campo psicopedagogico

e quindi preparazione universitaria mirata e corredata di tirocini effettivamente validi per la formazione di professionisti dell’educazione e della formazione.

L’insegnante non può più essere autoreferenziale perché questo contribuisce ad una carenza nella reale valutazione del “prodotto”: le competenze devono realmente rispondere a livelli standard verificabili oggettivamente.

La professione docente è quindi legata anche alla valutazione dell’alunno.
Un alunno sa ed impara solo se ha un docente che “sa” e “sa insegnare”


Il docente oggi lavora all’interno di una scuola autonoma e quindi, un professionista come sopra caratterizzato, può davvero operare in modo autonomo, con modalità di ricercazione che possano sempre più migliorare la qualità delle nostre scuole; in un feedback interattivo e costante ma sostanziale per gli alunni e per il miglioramento delle loro competenze e del loro sapere.

Al momento è comunque indispensabile fermare i “cambiamenti” che ormai annualmente ci vengono proposti dai vari ministeri e che impegnano gli insegnanti in attività delle quali non si vedono i risultati e si percepisce solo l’inutilità e la perdita di tempo aumentanto la sopradetta e ripetuta demotivazione.
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Dibattito sulla professionalità

Messaggiodi edscuola » 8 dicembre 2007, 9:13

Intervento di Luisa Roberti

Nella questione della professione docente si intrecciano e si sovrappongono in maniera a volte fuorviante una quantità di problemi diversi. Tutti reali, o quasi tutti, ma se vogliamo ricostruire una linea politica sul problema dobbiamo riuscire a separarli metodologicamente e definire esattamente alcuni nodi da affrontare, senza la pretesa di prenderli in esame tutti insieme. Questo se vogliamo fare un convegno sull’argomento che abbia una reale efficacia operativa, e non solo una generica assemblea di ….lamentazioni

Formazione e reclutamento

Insegnanti poco preparati, poco motivati, poco efficaci

La preparazione è ovviamente legata al funzionamento dell’università. Non so se nell’attuale situazione è giusto limitarsi a chiedere agli insegnanti una laurea triennale. Ho spesso verificato una preparazione disciplinare approssimativa nei giovani della SSIS che ho avuto al tirocinio. Un insegnante deve innanzi tutto conoscere profondamente le materie che deve insegnare. Ma questo non può essere demandato al momento della preparazione professionale specifica (oggi la SSIS) pena un costo sociale troppo elevato. Laurea specialistica e poi esame/sbarramento all’ingresso nella formazione professionale?

La motivazione ha molto a che vedere con il mercato del lavoro di questa fase del paese. E’ inutile lamentarsi che molti si rivolgano alla scuola come un ripiego. Se il mercato del lavoro è questo, non possiamo far appello alla volontà degli aspiranti, che fanno quello che possono. E’ il datore di lavoro (leggi lo stato) che deve mettere degli sbarramenti e pretendere dei requisiti per chi vuole insegnare.

Un grosso problema sta nella difficoltà di programmare le risorse umane, per cui la scuola continua a immettere in forma precaria gente per lo più impreparata, creando aspettative sociali a cui poi è vincolata. Come mai oggi qualunque disoccupato intellettuale si sente o si proclama ‘insegnante’ disoccupato? Solo una specifica preparazione lo può definire come insegnante!

Quindi dopo avere scelto persone preparate, in quantità definita dalle previste esigenze anche di lavoro a tempo determinato, c’è bisogno di una fase specifica di formazione. I contenuti della formazione non devono più essere disciplinari, ma specificamente didattici e pedagogici. Per questo sono perplessa ad affidare questo compito all’Università nei termini in cui è stato fatto finora. Servono due cose: conoscenza della realtà della scuola, che si può ottenere con un lavoro di tirocinio svolto presso le scuole, sfruttando le capacità e le esperienze accumulate e spesso sprecate (ci sono molti insegnanti che sarebbero ottimi formatori), ma anche conoscenza della società in cui si svolge il lavoro dell’insegnante, con tutti i problemi, di inserimento, di integrazione, di dinamica di gruppo ecc. Fra l’altro quest’ultima è una conoscenza di cui si sente la necessità anche per i docenti già in servizio, in una realtà in continua trasformazione. E allora è difficile affrontarla con un curriculum di studi ad hoc. Sarebbe più utile potere di volta in volta avere a disposizione una task force sul territorio con questo compito istituzionale e quindi legata direttamente alle scuole per affrontare i problemi al momento in cui si presentano.

In realtà su tutto questo iter ho molte più domande che risposte, ma ci sono dei nodi grossi che vanno affrontati
Come garantire la preparazione disciplinare?
Come scegliere fra gli aspiranti i soggetti adatti a questo tipo di lavoro?
Come fornire le capacità didattiche e relazionali (a quanti, in che sede, con quali tempi: due anni a loro spese con costi così elevati mi sembra francamente troppo)
A che punto collocare il concorso, che è ancora il metodo migliore di assunzione? Prima della formazione, nel qual caso si rischia di scegliere solo sulla base dei contenuti disciplinari, o dopo la fase di formazione, quasi come una conclusione logica, però allora chi non passa il concorso non sarà un disoccupato della scuola ma semplicemente un disoccupato, anche se si è formato a sue spese e magari ha fatto pratica di insegnamento?

Alcuni di questi nodi li ho trovati affrontati nel Quaderno bianco sulla scuola, che contiene delle linee di indirizzo anche piuttosto interessanti, benché non complete. Ma mi domando quanto lo stesso governo dia credito a questo testo. Non mi riferisco alla scommessa sulla durata del governo, ma a quello che lo stesso intende fare nel periodo della sua legislatura. E’ un testo molto complesso e anche di difficile divulgazione, un grosso studio di settore, che impegnerebbe il governo per un tempo molto lungo. Vorrei capire se ci sono le forze per provare a metterlo in pratica nel suo complesso o almeno individuare delle priorità.
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