COBAS Scuola: INDICAZIONI PER IL CURRICOLO

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COBAS Scuola: INDICAZIONI PER IL CURRICOLO

Messaggiodi edscuola » 17 novembre 2007, 7:18

COBAS - Comitati di base della scuola

INDICAZIONI PER IL CURRICOLO: PERCHÈ RIFIUTARLE

Critica all’impianto generale delle “Indicazioni per il curricolo” del ministro Fioroni con particolare attenzione alla scuola elementare

a cura di Bruna SFERRA insegnante di scuola elementare

Con D.m. del 31/07/2007 e successiva direttiva ministeriale n.68 del 03/08 2007 il ministro Fioroni ha emanato le “Indicazioni per il curricolo”, il documento cioè che sostituisce le “Indicazioni per il piano di studi personalizzato” dell’ex ministro Moratti.
Le “Indicazioni per il curricolo” sono costituite da 4 capitoli:
- CULTURA SCUOLA PERSONA
- L’ORGANIZZAZIONE DEL CURRICOLO
- LA SCUOLA DELL’INFANZIA
- LA SCUOLA DEL PRIMO CICLO

CULTURA SCUOLA PERSONA
La scuola nel nuovo scenario
La prima tematica affrontata concerne le trasformazioni avvenute nella nostra società e subito viene affermato che “ In un tempo molto breve abbiamo vissuto il passaggio da una società relativamente stabile a una società caratterizzata da molteplici cambiamenti e discontinuità” con una conseguente aumento di rischi e opportunità per ognuno di noi. Già questa iniziale asserzione dà lo spunto per domandarsi se effettivamente abbiamo appena vissuto un’epoca di stabilità o se cambiamenti e discontinuità sono invece le caratteristiche dell’evolversi di ogni società, soprattutto di tipo occidentale. Se così fosse, questa prima dichiarazione ha ragione di essere solo come giustificazione della necessità di nuovi “programmi” per la scuola di cui i docenti non sentivano il bisogno poiché ritengono validi e attuali quelli del 1985.
Scorrendo le righe troviamo però qualcosa che effettivamente è nuovo per la nostra società e di conseguenza per la scuola: la presenza sempre maggiore di culture diverse con le quali “lo studente si trova a interagire” . Nel merito viene affermato che lo studente non avrebbe gli “strumenti adatti per comprendere e mettere in relazione- le culture diverse- con la propria” e “alla scuola spetta il compito di fornire apporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta”. Ma se effettivamente lo scenario culturale è cambiato, la scuola elementare non è e non era priva di strumenti per affrontarlo, basta citare alcune fondamentali parti dei “Programmi Nazionali del 1985”: “Il fanciullo sarà portato a rendersi conto che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (art. 3 Cost.). La scuola è impegnata ad operare perché questo fondamentale principio della convivenza democratica non inteso come passiva indifferenza e sollecita gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni, alla luce dei criteri di condotta chiari e coerenti che attuino valori riconosciuti. Il fanciullo, quando inizia la sua esperienza scolastica, ha già cumulato un patrimonio di valori e di esperienze relative a comportamenti familiari, civici, religiosi, morali e sociali. La scuola, nel corretto uso del suo spazio educativo e nel rispetto di quello della famiglia e delle altre possibilità di esperienze educative, ha il compito di sostenere l'alunno nella progressiva conquista della sua autonomia di giudizio, di scelte e di assunzione di impegni e nel suo inserimento attivo nel mondo delle relazioni interpersonali, sulla base dell'accettazione e del rispetto dell'altro, del dialogo, della partecipazione al bene comune”; e ancora: “E' dovere della scuola elementare evitare, per quanto possibile, che le "diversità", si trasformino in difficoltà di apprendimento ed in problemi di comportamento, poiché ciò quasi sempre prelude a fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguentemente a disuguaglianze sul piano sociale e civile”.
Forse le “Indicazioni per il curricolo” hanno voluto porre in rilievo la problematica dell’approccio verso le altre culture per trasferirla concretamente in obiettivi didattici curricolari che aiutassero l’alunno ad allargare i propri orizzonti. Purtroppo non è così, come vedremo più in là, negli obiettivi didattici delle varie discipline non solo non vi è traccia di elementi interculturali, ma viene data notevole rilevanza alla nostra cultura a scapito delle altre.
Andando avanti nella lettura delle “Indicazioni per il curricolo” troviamo scritto: “Le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. […] Le trasmissioni standardizzate e normative delle conoscenze, che comunicano contenuti invarianti pensati per individui medi, non sono più adeguate. Al contrario, la scuola è chiamata a realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti, nella prospettiva di valorizzare gli aspetti peculiari di ognuno”. Per caso Fioroni ha dimenticato 50 anni di storia dei programmi della scuola elementare italiana e ricorda solo i Programmi del Lombardo-Radice e le “Indicazioni per il Piano di Studi Personalizzati” del ministro Moratti? Tecniche e competenze obsolete? Allora avevano ragione il ministro Moratti e l’allora presidente del consiglio Berlusconi con le loro “tre I “ (Informatica, Inglese, Impresa) e le “Indicazioni per il Piano di Studi Personalizzati” andavano benissimo! O forse l’intento del ministro Fioroni era quello di attualizzare gli obiettivi disciplinari che invece hanno subìto, semmai, una recessione rispetto ai “Programmi Nazionali del 1985”. Ma quello che è ancora più incredibile è affermare che fino ad ora i Programmi siano stati pensati per individui medi e le che le trasmissioni delle conoscenze abbiano comunicato contenuti invarianti! Come può un Ministro della Pubblica Istruzione far finta di ignorare che già i “Programmi del 1955” avevano operato un notevole sforzo di sintesi tra quanto di valido proveniva dalla tradizione scolastica, dalla legislazione e dalla riflessione pedagogica, nonché dalle sollecitazioni della contestazione asserendo che “la formulazione di questi nuovi programmi è stata sollecitata più direttamente da due esigenze: far aderire maggiormente il piano didattico alla struttura psicologica del fanciullo e tenere conto che per precetto della Costituzione l'istruzione inferiore obbligatoria ha per tutti la durata di almeno otto anni. Per rendere questi intenti praticamente attuabili, è stato alleggerito il carico delle nozioni rispetto ai programmi quinquennali precedenti e sono stati elaborati programmi graduati per cicli didattici. Tali cicli rispettano per la loro durata le fasi dello sviluppo dell'alunno e rendono meglio possibile un insegnamento individualizzato in relazione alle capacita di ciascuno, così che in un periodo di tempo a più largo respiro ogni alunno possa giungere, maturando secondo le proprie possibilità, al comune traguardo. D'altra parte, ciò consente che vengano adottati quei procedimenti saggiamente attivi che spronano il fanciullo nell'operosa ricerca e nell'approfondimento della consapevolezza di quanto viene imparando. Spetta naturalmente all'insegnante, in base alle accertate possibilità dei singoli alunni, di formulare un suo personale piano di lavoro, distribuito nel tempo, che egli potrà eventualmente aggiornare alla luce di una sempre più approfondita conoscenza della scolaresca”. Ma, soprattutto, come può il ministro far finta di non sapere che l’impianto pedagogico su cui si fondano i “Programmi Nazionali del 1985” ha determinato la prefigurazione di un tipo di scuola che si adegua alle esigenze formative del fanciullo attraverso l’offerta di una prestazione efficace fruibile a tutti gli alunni profilando, così, un ampio spazio di mediazione didattica in cui si colloca il ruolo di chi opera la trasformazione del programma, come ipotesi teorica, in programma-di-azione (programmazione)? Le amnesie del ministro Fioroni hanno, in realtà, una loro giustificazione: se la scuola non deve operare prendendo come punto di riferimento un ipotetico alunno medio, non è per garantire pari opportunità nel rispetto dei ritmi e delle capacità di apprendimento di ciascuno, ma per realizzare percorsi formativi sempre più rispondenti alle inclinazioni personali degli studenti. Risulta evidente, anche ai più sprovveduti, come questa affermazione coincida a pennello con il carattere discriminante della scuola morattiana e delle sue “Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati”: percorsi formativi e obiettivi personalizzati per soggetti considerati differenti per carattere, per temperamento, per modo di essere, dove ognuno ha il suo talento poiché è portato verso cose diverse e ama cose diverse; percorsi che riportano la scuola ad un insegnamento fondato sulla teoria delle attitudini, già fortemente stigmatizzata quaranta anni fa da Don Milani nella sua scuola di Barbiana. Non è più la scuola che si adegua alle esigenze dell’alunno ma è la scuola che risulta al servizio della “volontà dell’alunno” (o della famiglia o della società), in senso strumentale, perdendo così l’identità del suo ruolo e la specificità della sua dimensione formativa.
E se le parole hanno un peso, troviamo ancora un richiamo alla personalizzazione là dove si legge che compito della scuola è “promuovere la capacità di elaborare metodi e categorie che siano in grado di far da bussola negli itinerari personali”.
Questa prima parte del primo capitolo si conclude con alcune righe di richiamo al successo scolastico di tutti gli alunni ponendo attenzione al sostegno delle varie forme di diversità o di svantaggio attraverso il loro riconoscimento e la loro valorizzazione evitando che la differenza si trasformi in disuguaglianza. A coronamento di tutto ciò viene citata ovviamente la Costituzione. Bello! Peccato che tutto ciò che è stato scritto prima sia in palese contraddizione con questi princìpi.

Centralità della persona
In questa seconda parte del primo capitolo viene posto “lo studente al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali”. Niente di nuovo riguardo alla centralità dell’alunno nell’azione educativa svolta dalla scuola, infatti, tutto l’impianto dei “Programmi Nazionali del 1985” è fondato sull’idea che sia l’istituzione scolastica a doversi adattare alle esigenze dell’alunno e non viceversa. Vale la pena, invece, soffermarsi su quali sono gli aspetti educativi di cui si deve occupare la scuola secondo il ministro Fioroni e, in particolar modo, sull’aspetto spirituale. Con il termine “spirituale” si intende ciò che attiene alla vita religiosa oltre che a quella morale e intellettuale, cosicché le “Indicazioni per il curricolo” risultano perfettamente in linea con le “Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati” il cui personalismo riconduce ad una tradizione educativa umanistica-cristiana a cui si ispirarono i “Programmi del 1955” ma completamente abbandonata da quelli del 1985 che si rifanno alle teorie organismiche della personalità provenienti dalla psicologia umanistica-laica. La perdita del carattere laico della scuola pubblica, che trova conferma con il perdurare di disposizioni, anche da parte del ministro Fioroni, quali l’ assunzione degli insegnanti di religione cattolica e i forti finanziamenti alle scuole private, ci riconduce ad una volontà di difesa dell’identità religiosa della cultura occidentale in contrapposizione con le altre. L’apertura nei confronti delle altre culture, tanto declamata nelle “Indicazioni per il curricolo”, è dunque fittizia strumentale poiché non trova mai un riscontro coerente.
Alcune righe più giù si legge che: “Sin dai primi anni di scolarizzazione è importante che i docenti definiscano le loro proposte in una relazione costante con i bisogni fondamentali e i desideri dei bambini e degli adolescenti”. Questa locuzione contiene un’antinomia visto che gli adolescenti non sono certo ai primi anni di scolarizzazione ed è quindi probabile che questa forzatura serva nuovamente a porre in evidenza gli assunti del ministro Fioroni: non più la scuola che si adegua alle esigenze dell’alunno, come nei “Programmi Nazionali del 1985”, ma la scuola che risulta al servizio della “volontà dell’alunno” come nelle “Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati” del ministro Moratti e del suo personalismo.
Del resto, perché dedicare una parte sostanziosa di queste indicazioni alla centralità della persona se non a conferma di quanto sopra?

Per una nuova cittadinanza
Viene qui affrontato il delicato tema del rapporto scuola-famiglia-extrascuola ed è proprio in questa parte che emergono in modo eclatante le continue contraddizioni nelle quali gli estensori delle
“Indicazioni per il curricolo” cadono rispetto al problema delle diversità culturale.

Infatti da una parte si dichiara che:
- “l’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni singolo studente”;
- “bisogna sostenere attivamente l’interazione e l’integrazione –delle diversità- attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere”;
- oggi la scuola “può porsi il compito di educare alla convivenza attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente”.
Da un’altra viene invece asserito che:
- l’obiettivo della scuola è quello di proporre “un’educazione che spinga - lo studente - a fare scelte autonome e feconde. Quale risultato di un confronto continuo della sua progettualità con i valori che orientano la società in cui vive”;
- “la finalità – del sistema educativo scolastico- è una cittadinanza che permane coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale;
- “per educare a questa cittadinanza unitaria e plurale ad un tempo, una via privilegiata è proprio la conoscenza delle nostre tradizioni e memorie nazionali”;
- “la nostra scuola deve formare cittadini italiani che siano allo stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo”.
In merito a questa serie di assunzioni schizofreniche è facile notare quanto la spinta verso una scuola impostata su posizioni di tipo nazionalistico e di difesa verso la cultura occidentale sia molto forte e che l’apertura nei confronti delle altre culture venga nuovamente posta solo come specchietto per le allodole.

Per un nuovo umanesimo
In questa parte delle “Indicazioni per il curricolo” si legge: “E’ decisiva una nuova alleanza tra scienza, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo”. Se si vuole mettere da parte il fatto che, per lo meno nella scuola elementare, il raccordo interdisciplinare era ormai una pratica acquisita e ben consolidata, non rimane che chiederci cosa si vuole intendere con “nuovo umanesimo”. Attraverso un’attenta lettura di ciò che viene esposto ne emerge una concatenazione di obiettivi, spesso troppo elevati per gli ordini di scuola a cui si riferiscono, esposti con un linguaggio ridondante che non chiarisce concretamente dove si voglia approdare.
Quindi, non solo ci si chiede qual è il nuovo umanesimo a cui il ministro Fioroni si riferisce, ma se non sia una palese contraddizione promuovere saperi propri di una dottrina ideologica quando egli ha più volte affermato di ritenere che lo Stato non debba essere portatore di una sua pedagogia e quindi di rifiutare qualsiasi posizioni centralista al fine evitare forzature stataliste.
Attualmente, il concetto di umanesimo è uno dei più contraddittori e ambigui e il suo significato dovrebbe essere ricostruito e chiarito nelle sue diverse manifestazioni storiche. Ogni “umanesimo” ci dice che cosa o chi o come gli esseri umani “sono” o “dovrebbero essere” e quindi contiene sia un aspetto normativo sia un progetto che coloro i quali lo hanno proposto cercano o pretendono di mettere in pratica.
Che tipo di essere umano il ministro Fioroni vuole che la scuola formi? L’essere libero, privo di una sua natura “umana” che si auto-costruisce di Pico della Mirandola o l’uomo visto come il “grande miracolo” che, in quanto microcosmo, riflette in sé tutte le proprietà dell’universo o macrocosmo concepito come un macro-antropo vivente e senziente di Leonardo? Pensa forse il ministro ad un umanesimo che, con il pensiero positivista, ha perduto il suo significato rinascimentale e dà un’interpretazione dell’essere umano come puro e semplice essere naturale?
Si ispira, invece, ad un umanesimo marxista o a quello cristiano di Maritain oppure a quello esistenzialista di Sartre, correnti che intendono in modo molto diverso l’essenza umana? Ha pensato ad Heidegger che in questa confusione tra i diversi umanesimi storici trovò, alla fine degli anni ’40, un presupposto tacito comune e cioè che l’essere umano è un “animale razionale” di cui nessuno dubita della prima parte della definizione, dell’”animale”, mentre il “razionale” diventa, a seconda delle varie filosofie, l’intelletto, l’anima, l’individualità, lo spirito, la persona, ecc.? Ma Heidegger sostenne che in questo modo l’uomo viene ridotto ad un fenomeno naturale, ad un ente qualunque, ad una cosa, dimenticando che l’essere umano è fondamentalmente un “chi”. Il pensiero di Heidegger è fondamentale per capire che la riduzione a “cosa” dell’essere umano ha portato a considerarlo come “macchina biologica” (neo-positivismo) e quindi “utilizzabile” come forza-lavoro, produttore, consumatore, ecc. che è poi l’immagine dell’uomo oggi dominante.
Il ministro Fioroni si rifà , però ad un “nuovo umanesimo” e questo, se vogliamo può confonderci ancora di più le idee poiché il Nuovo Umanesimo (o Umanesimo universalista) è un’ideologia filosofica nata a partire dagli anni 80 dalla quale sono nati un movimento (il Movimento Umanista) e un partito (il Partito umanista). Alla luce di tutto ciò ci si stupisce che il ministro abbia voluto disfarsi delle prospettive culturali, delle opzioni culturali e didattiche dei “Programmi Nazionali del 1985” che forniscono una risposta concreta ai vari interrogativi che l’insegnante viene a porsi nello svolgere il suo lavoro per perseguire una sua nuova filosofia astrusa, disorientante e di nessuna utilità.
Ma leggiamo cosa viene scritto in conclusione di questa parte delle Indicazioni. “L’elaborazione dei saperi necessari per comprender l’attuale condizione dell’uomo planetario, definita dalle molteplici interdipendenze fra locale e globale, è la premessa indispensabile per l’esercizio consapevole di una cittadinanza nazionale e planetaria. Oggi la scuola italiana può proporsi concretamente un tale obiettivo, contribuendo con ciò a creare e rivitalizzare gli aspetti più alti e fecondi della nostra tradizione”. Eureka! Tutto torna, anche il girare e rigirare intorno a questioni planetarie, microcosmi e macrocorsi è conforme con l’intero impianto demagogico delle “Indicazioni per il curricolo” ed assolve la funzione di confondere e in qualche modo celare le reali intenzioni del ministro Fioroni, cioè quello di allineare il più possibile la scuola pubblica statale con la scuola confessionale cattolica.

L’ORGANIZZAZIONE DEL CURRICOLO
Questo capitolo illustra l’organizzazione del curricolo dalla scuola dell’infanzia alla scuola del primo ciclo (elementare e media) ed apre così: “La scuola predispone il Curricolo, all’interno del Piano dell’offerta formativa…”. È quindi espresso, in queste prima affermazione, il dettame del ministro Fioroni di affidare alle singole scuole, in nome dell’autonomia, l’elaborazione del curricolo didattico. Egli ha infatti sostituito a dei Programmi nazionali delle Indicazioni nazionali molto essenziali nella loro parte prescrittiva e scarse, se non prive, di impostazioni metodologiche e didattiche. Il timore del ministro di imporre forzature stataliste lascia alquanto perplessi poiché i “Programmi Nazionali del 1985” non hanno dettato alcuna imposizione centralista pedagogica o metodologica; semmai il contrario: in tutti questi anni hanno costituto una guida indispensabile per i docenti perché, frutto di decenni di studi pedagogici e didattici, sono basati sul principio di adattamento del processo didattico alle esigenze formative dell’alunno. Se il curricolo educativo-didattico è elaborato all’interno del Piano dell’offerta formativa è quindi diverso da scuola a scuola; come potrebbe sembrare, ciò non dà la possibilità di rispondere alle esigenze formative del territorio in cui la scuola opera ma costituisce un pericolo poiché è evidente che crea diversificazione tra scuola e scuola con il disastroso effetto di determinare sia scuole “migliori”, là dove il territorio è più agiato e, ovviamente, “peggiori” in quelli più deprivati, sia un tipo di formazione culturale diversa tra nord e sud d’Italia, fattori, tutti questi, fonte di forte discriminazione sociale.
Per quanto riguarda gli “Obiettivi di apprendimento” non si condivide il fatto che essi vengano “definiti al terzo e al quinto anno della scuola primaria e al terzo anno della scuola secondaria di primo grado” . Difatti viene sostanzialmente confermata l’articolazione della scuola primaria (elementare) della L.53/03 (riforma Moratti): un primo anno, teso al raggiungimento delle strumentalità di base, e in due periodi didattici biennali. Le “Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati”, infatti, in conformità a queste disposizioni, stabilivano obiettivi specifici di apprendimento per la classe prima, per le classi seconda e terza (primo biennio) e per le classi quarta e quinta (secondo biennio).
Questo avvenne senza nessun fondamento storico e senza darne alcuna motivazione psico-pedagogica così come avviene oggi per le “Indicazioni per il curricolo”.
I “Programmi Nazionali del 1985”, nella loro struttura e nel loro contenuto, furono tesi, invece, al rispetto della scansione ciclica corrispondente allo sviluppo cognitivo dell’alunno secondo quanto determinato dagli studi di Sergej Hessen e Ovide Decroly riguardo ai metodi di insegnamento in relazione all’età del discente, dalle ricerche empiriche di Erikson e da quelle psicologiche di Piaget.
Sulla “Valutazione” viene riconfermato il ricorso all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI) al fine di raccogliere i dati emersi da valutazioni esterne; si ricorda che tale sistema di valutazione è stato fortemente contestato negli anni scorsi da molti insegnanti che si sono rifiutati di somministrare i test e da un vasto numero di genitori che nei giorni delle prove non hanno mandato i loro figli a scuola.

LA SCUOLA DEL PRIMO CICLO (scuola primaria e secondaria di primo grado)
È interessante fermarsi a riflettere su una parte intitolata “Diritti di cittadinanza”. Si può grossolanamente affermare che essa sostituisce quella che nei “Programmi Nazionali del 1985” viene definita come Educazione alla convivenza democratica. Di certo i concetti espressi sono molto simili all’educazione alla convivenza civile delle “Indicazioni per i Piani di Studio Personalizzati” e molto distanti da quelli dei “Programmi Nazionali del 1985” che si ponevano il problema di fondo della formazione di una coscienza democratica che trovi le basi nell’educazione alla responsabilità.
Nelle Indicazioni del ministro Moratti e del ministro Fioroni il termine ‘democrazia’ non viene mai usato. Forse entrambi lo considerano desueto o più probabilmente il suo abbandono trova la sua giustificazione nell’impostazione di una scuola in cui si viene a perdere nella sua organizzazione e nella sua funzione educativa e didattica la visione ugualitaria dei rapporti sociali e dei diritti
C’è anche un richiamo all’art.21 della Costituzione sul diritto alla parola e, per quanto già osservato fino adesso, non ci stupisce che venga individuato come “primo strumento di comunicazione” un adeguato livello di uso e di controllo della lingua italiana.

AREE DISCIPLINE COMPETENZE
Le aree disciplinari vengono così individuate:
- AREA LINGUISTICO–ARTISTICO-ESPRESSIVA: Lingua italiana, Lingue comunitarie, Musica, Arte e immagine, Corpo movimento e sport;
- AREA STORICO-GEOGRAFICA-SOCIALE: Storia, Geografia;
- AREA MATEMATICA-SCIENTIFICA-TECNOLOGICA: Matematica, Scienze naturali e sperimentali, tecnologia.
Prima di entrare nel merito delle singole discipline è bene osservare che, seppure venga giustamente raccomandato di evitare la frammentazione dei saperi a favore delle esperienze interdisciplinari, è alquanto discutile il modo in cui esse vengano accorpate nelle varie aree disciplinari. Per esempio: la disciplina “Corpo, movimento e sport” è inserita nell’area linguistca-artistico-espressiva, quando è notorio per chi opera nella scuola elementare che l’attività motoria è fondamentale anche per lo sviluppo dell’organizzazione spazio-temporale (Storia e Geografia), per la conoscenza del corpo (Scienze), per potenziare la capacità di cogliere relazioni e porre in relazione oggetti fra loro, contare, orientarsi nello spazio (sopra, sotto, avanti, dietro...) (Matematica e Geografia) e un analogo ragionamento si può fare per le discipline “Musica” e “Arte e immagine”. La scelta effettuata dai “Programmi Nazionali del 1985” di fare di questi insegnamenti delle Educazioni
( Educazione all’immagine, Educazione al suono e alla musica, Educazione motoria) introduceva la variabile di discipline meno formalizzate ma ritenute “componenti essenziali dell’unità educativa della persona” e “forme di linguaggio (l’iconico, il musicale, il motorio) con le quali l’alunno “ha forte consuetudine” e che, tra l’altro, “possono favorire anche gli apprendimenti più complessi dell’area linguistica e logico-matematica”.
In buona sostanza, le “Indicazioni per il curricolo” si allineano con le scelta operata dalle precedenti “Indicazioni per il piano di studi personalizzato” di fare delle Educazioni delle vere e
proprie discipline e ne mantengono una simile, se non uguale, denominazione.
È oggi aperto un ampio dibattito epistemologico, culturale e pedagogico sui contenuti delle varie discipline delle “Indicazioni per il curricolo” in cui sono emerse forti critiche. Di seguito se ne citeranno alcune e se ne porranno altre.

LINGUA ITALIANA
- “L’acquisizione della competenza strumentale della scrittura, insegnata entro i primi due anni di scuola” anziché entro il primo come viene indicato nei “Programmi Nazionali del 1985”.
- Tra i “Traguardi di sviluppo della competenza al termine della scuola primaria” troviamo: “leggere testi di vario genere appartenenti alla letteratura dell’infanzia”. Ciò costituisce un insostenibile limite poiché, in tal modo, verrebbe precluso agli alunni di attivare quel processo di ricerca, comprensione e interpretazione del testo che è alla base della lettura.
I “Programmi Nazionali del 1985” raccomandano, a tal proposito, non solo che l’insegnante legga agli alunni “testi di vario tipo (non solo racconti, poesie, brani letterari, ma anche brevi notizie tratte dai giornali, lettere, documenti scolastici,ecc.)” ma anche che debba “possedere aggiornata e non superficiale conoscenza delle pubblicazioni e dei libri più adatti per i fanciulli, dai testi di narrativa e di divulgazione, alle collane monografiche, alle enciclopedie, ecc.” per “stimolare e accrescere la motivazione del fanciullo a leggere, dedicando particolare attenzione alla scelta di testi validi per le loro qualità intrinseche” e, inoltre, che l'insegnante debba aver “cura di accendere interessi idonei
a far emergere il bisogno ed il piacere della lettura. E' una esigenza anche infantile quella di accrescere la propria esperienza e di allargare i confini della propria conoscenza e dei propri sentimenti: è opportuno che l'insegnante aiuti gli alunni a trovare i libri e, in genere, le pubblicazioni che corrispondano a quella esigenza in modo sempre più costruttivo”.
In pratica, se un insegnante ritenesse opportuno proporre ai propri alunni la lettura di testi di autori che non siano propriamente appartenenti alla letteratura dell’infanzia ma, in ogni caso, idonei ai bambini, con le “Indicazioni per il curricolo” non potrebbe più farlo e ciò arrecherebbe un grave freno alla promozione delle manifestazioni espressive dell’alunno e al suo approccio al mondo dell'espressione letteraria.
- Per la scuola secondaria di primo grado viene indicata “la lettura di alcuni testi del patrimonio letterario italiano e dialettale” senza alcun accenno a ciò che riguarda la letteratura straniera incoerentemente rispetto a quanto affermato riguardo l’importanza della conoscenza delle altre culture.

MATEMATICA
- Questa disciplina viene articolata in tre temi: Numeri; Spazio e figure; Relazioni, misure, dati e previsione mentre nei “Programmi Nazionali del 1985” i temi individuati sono cinque: I problemi; Aritmetica; Geometria e misura; Logica; Probabilità, statistica, informatica.
Non si tratta soltanto di aver semplificato all’estremo le denominazioni ma, come si può facilmente osservare, mancano due temi fondamentali: i problemi e la logica. Non soltanto i bambini rischieranno di perdere l’uso di termini appartenenti ad un linguaggio specifico quali “aritmetica”, “geometria”, ecc. per sostituirlo con i più banali “numeri”, “figure”, ecc., ma, l’aver eliminato dalla matematica due tematiche così importanti significa stravolgere la più recente ricerca didattica che ha individuato in questa disciplina un contributo alla formazione del pensiero. Sviluppare concetti, metodi e atteggiamenti, che possano formare un pensiero matematico, è molto più importante e basilare che non addestrare soltanto all’uso di strumenti matematici, utilizzabili in modo acritico, ripetitivo e meccanico.
Qualcuno potrebbe obiettare che nella presentazione e nell’elenco dei traguardi di sviluppo della competenza della matematica la risoluzione dei problemi è presente, ma se poi ne è completamente priva negli obiettivi di apprendimento da raggiungere ci troviamo di fronte ad una incongruenza che non trova spiegazioni sotto il profilo pedagogico-didattico.
- Non si fa cenno ai sistemi di numerazione diversi da quello decimale per la notazione multibase dei numeri naturali, pratica didattica ormai consolidata perché considerata vantaggiosa per l’acquisizione del concetto di tali numeri e raccomandata, invece, dai “Programmi Nazionali del 1985”.
- Per lo studio dell’area delle figure piane si indica solo il quadrato e il rettangolo con un riferimento molto generico alle altre figure, mentre nei “Programmi Nazionali del 1985” è prevista l’acquisizione di perimetro e area di tutte le principali figure piane. Inoltre non viene citato lo studio degli angoli e delle rette.
- Sparisce completamente lo studio delle figure solide e dei volumi, obiettivo al contrario indicato nei “Programmi Nazionali del 1985”. Si tenga presente che alcune metodologie didattiche suggeriscono di percorrere un itinerario geometrico che parta dall’osservazione delle figure solide facenti parte di uno spazio concreto vissuto dall’alunno, per giungere allo studio delle figure piane che necessita di una maggiore capacità di astrazione poiché bidimensionali e non percepite dall’alunno nella realtà fisica.
- L’acquisizione dei numeri decimali viene posta come obiettivo al termine della terza classe, mentre quella del concetto di frazione come obiettivo al termine della quinta classe. Si tratta di un grave errore procedurale: i processi cognitivi vanno considerati ancorati all’esperienza e alla matematizzazione della realtà, pertanto una progressione adeguata richiede di partire dalla frazione per giungere al numero decimale, come del resto ogni insegnante, ogni libro di testo, ogni guida didattica propongono.
- Viene a mancare l’obiettivo dell’acquisizione della capacità di risolvere le espressioni, cioè del saper rispettare l’ordine di esecuzione di una serie di operazioni come, invece, viene indicato nei “Programmi Nazionali del 1985”.

SCIENZE NATURALI E SPERIMENTALI E TECNOLOGIA
- Come primo obiettivo di apprendimento del tema: Oggetti, materiali e trasformazioni viene indicata la costruzione di concetti geometrici e fisici fondamentali quali la lunghezza, gli angoli, le superfici, la capacità e il volume, il peso, la temperatura, la forza, la luce, ecc.
Si noti bene che è finalmente apparso lo studio degli angoli e dei volumi ma in un contesto ben diverso da quello specificatamente matematico e ci si chiede, per esempio, come sia possibile acquisire il rapporto tra capacità e volume se quest’ultimo non viene prima affrontato all’interno di un percorso prettamente geometrico.
- Sparisce, in continuità con le “Indicazioni per il piano di studi personalizzato”, l’adattamento dei diversi organismi ai differenti ambienti.
La scomparsa della teoria evoluzionista di Darwin dai programmi scolastici ha origine nel 2003 con la manifestazione folkloristica “Settimana antievoluzionista”, con tanto di imbrattamento del Museo di Storia Naturale della città, organizzata a Milano da Alleanza Studentesca e da alcuni esponenti di Alleanza Nazionale e Forza Italia contro l’insegnamento della teoria di Darwin nelle scuole. Tutto ciò con la complicità dell’amministrazione provinciale di allora che patrocinò un convegno dal titolo “Evoluzionismo: una favola per le scuole” nel quale l’ex parlamentare di Alleanza Nazionale Pietro Cerullo dichiarò non solo che la teoria di Darwin costituisce l’anticamera del marxismo ma pare che abbia anche esclamato: “E’ meglio avere antenati che discendono da Giove, rispetto a quelli degli evoluzionisti che strisciano per terra in quanto vermi”. Da allora ad oggi si è aperto un ampio dibattito in cui il Disegno Intelligente della teoria creazionista, a quanto pare, sta avendo la meglio.
- Non viene posta alcuna attenzione sul problema della tutela dell’ambiente in rapporto all’azione spesso nociva dell’uomo sulla natura e alle possibilità tecnologiche per gli interventi relativi alle calamità naturali come, invece, indicato nei “Programmi Nazionali del 1985”.
- Anche per le Scienze, come per l’apprendimento della Matematica, vi è una sostanziale riduzione dei temi affrontati e dei loro contenuti. Le “Indicazioni per il curricolo” prevedono tre temi: Sperimentare con oggetti e materiali; Osservare e sperimentare sul campo; L’uomo, i viventi e l’ambiente. I “Programmi Nazionali del 1985” ne prevedono cinque: Fenomeni fisici e chimici; Ambienti e cicli naturali; Organismi, piante, animali, uomo; Uomo-Natura; Uomo-Mondo della produzione. Tale impoverimento potrà causare la perdita dell’obiettivo principe dell’insegnamento scientifico, cioè mettere in grado l’alunno di riconoscere quale sia il ruolo della scienza e quali siano le sue potenzialità e i suoi limiti.


STORIA - GEOGRAFIA
- Per lo studio della Storia e della Geografia si conferma la scansione delle “Indicazioni per il piano di studi personalizzato”.
STORIA: nella scuola elementare si termina con la Caduta dell’Impero d’Occidente per proseguire nella scuola media fino alla Storia contemporanea;
GEOGRAFIA: nella scuola elementare si termina con le Regioni italiane per proseguire nella scuola media fino alla Geografia del Mondo.

Ciò è stato determinato dalla scelta degli estensori delle “Indicazioni per il curricolo” di concepire le stesse attraverso un curricolo unico dalla scuola dell’infanzia alla scuola media. Molte e illustri sono state le voci che hanno stigmatizzato questa scelta poiché non trova alcun presupposto psicologico e pedagogico di base. È inconcepibile supporre che i discenti non abbiano la possibilità di approfondire i vari argomenti nelle diverse tappe della loro età evolutiva, è evidente, infatti, che le capacità di astrazione e di simbolizzazione sono molto diverse.
- In Storia viene negata agli alunni della scuola elementare l’opportunità di approfondire, come recitano i “Programmi Nazionali del 1985”: “i fatti, gli avvenimenti, i personaggi che hanno contribuito a determinare le caratteristiche civili, culturali, economiche-sociali, politiche, religiose della storia d’Italia, con specifico riferimento al processo che ha condotto alla realizzazione
dell’unità nazionale, nonché alla conquista della libertà e della democrazia”. Le difficoltà che in età infantile si possono incontrare nel collocare fatti ed eventi nel tempo sono più facilmente superabili se l’approccio è il meno astratto possibile e se collocato, quindi, nell’ambiente di vita; a prova di ciò, è sufficiente pensare quanto per i bambini risultino profondamente significative e di grande coinvolgimento, anche emotivo, tutte quelle attività didattiche che, nell’affrontare il periodo storico della Seconda Guerra Mondiale, del Fascismo e della Resistenza, vedono la collaborazione diretta di chi ha vissuto quei momenti: nonni, parenti, amici che attraverso i loro racconti mantengono viva la memoria storica.
L’attenzione che le “Indicazioni per il curricolo” sembrano porre sulla conoscenza delle altre culture e sulla capacità di interagire con esse non trova nel sistema del curricolo unico una concreta rispondenza: imparare a pensare storicamente vuol dire acquisire la capacità di comprensione storica del passato e delle connessioni tra passato e presente ed è indispensabile, a tal fine, che gli alunni della scuola elementare compiano un percorso completo (fino ai giorni nostri) delle più significative vicende storiche nazionali, europee e planetarie con un’attenzione particolare nei riguardi delle varie civiltà. Solo in tal modo si rende attuabile l’obiettivo di scoprire, attraverso la Storia, la diversità culturale.
È impensabile, inoltre, che argomenti quali la Preistoria, le Civiltà dell’Oriente Antico e il Mondo Greco e Romano non vengano affrontati dagli alunni di scuola media, ormai adolescenti, le cui esigenze e capacità di apprendimento corrispondono ad una tappa dell’età evolutiva capace di elaborare teorie astratte. Dice Piaget: “Verso gli undici o dodici anni ha luogo nel pensiero del bambino una fondamentale trasformazione, che segna il suo completamento in rapporto alle operazioni costruite durante la seconda infanzia: il passaggio dal pensiero concreto al pensiero “formale”, o come, si dice con un termine barbaro ma chiaro, “ipotetico-deduttivo”.
È evidente che questi ragazzi, giunti alla scuola superiore, porteranno con loro lacune tali da ostacolare uno studio della Storia consapevole e critico nel corso dei loro studi futuri.
- In Geografia i bambini di scuola elementare non conosceranno l’Europa e gli altri Continenti; non potranno neanche localizzare su una carta geografica i paesi di provenienza dei loro compagni stranieri, tanto meno avranno l’opportunità di comprendere “l’ampiezza del sistema di relazioni che coinvolgono e condizionano ciascun ambiente o paesaggio”, evidenziando “i problemi e le soluzioni adottate dalle diverse popolazioni”, così come indicato dai “Programmi Nazionali del 1985” la cui connotazione antropologica riguardo alla Geografia ne fa uno strumento importante per la formazione allo “studio degli uomini” e delle loro società “nel tempo e nello spazio”.


In conclusione, le “Indicazioni per il curricolo”, confrontate con i “Programmi Nazionali del 1985” risultano più misere nei contenuti didattici ed epistemologici delle discipline, non curanti delle più valide teorie della ricerca in campo pedagogico e psicologico e prive della peculiarità dell’approccio metodologico-didattico con cui ogni disciplina si propone all’apprendimento dell’alunno, cioè di quelle “idee guida” felicemente proposte dai “Programmi Nazionali del 1985”.
L’impoverimento culturale che ne segue è probabilmente la risposta ad un disegno più ampio, cioè quello di ricondurre la scuola ad una logica di mercato in cui non vengano formate menti dal pensiero critico ma facilmente assoggettabili alle richieste di una società consumistica, quale quella attuale, caratterizzata dal sempre più consistente depauperamento dei valori laici e pluralistici e nel quale viene a collocarsi un mondo lavorativo sempre più precario e flessibile.
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