di edscuola » 20 ottobre 2008, 7:03
Audizione Commissione Istruzione
Senato della Repubblica
Osservazioni sullo schema di “Piano programmatico di interventi volti alla razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico di cui all’art. 64, della Legge 6 Agosto 2008, n.133”
Roma, 14 ottobre 2008
Premessa
Non sembra ai Comuni che né il Piano Programmatico in esame né i provvedimenti sulla scuola assunti recentemente, possano ritenersi rispettosi dei ruoli e delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, così come inquadrati nel nuovo Titolo V della Costituzione.
I Comuni ritengono infatti preoccupante il ricorso alla decretazione di urgenza nonché al voto di fiducia in materia di Istruzione, che elimina il confronto e la condivisione di una riforma che riguarda la crescita e lo sviluppo delle giovani generazioni, il futuro della nostra società e quindi non solo i Ministeri dell’Istruzione e del Tesoro.
I Comuni, nell’attuale quadro normativo sono compartecipi dell’istruzione e quindi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di intervenire in materia, perchè il modello di sistema di istruzione proposto impatta significativamente sul diritto costituzionale all'istruzione che la Repubblica in tutte le sue declinazioni - compresi gli Enti Locali- è tenuta a garantire (art. 3 Costituzione) e sulla programmazione dei piani e dei servizi connessi al diritto allo studio, di stretta competenza comunale.
Il nuovo modello inoltre dovrà, per un verso, confrontarsi maggiormente con le competenze previste dalle norme per gli Enti Locali in alcuni ambiti specifici, come il dimensionamento e l'educazione degli adulti, nei quali non sarà sufficiente il confronto con le Regioni, ma dovrà essere acquisita l’intesa con Comuni, Province e Regioni, dall'altro dovrà essere esaminato rispetto al suo impatto sui bisogni dei cittadini, alunni e famiglie, a cui sia la scuola che i Comuni sono chiamati a rispondere.
Va detto che sono condivisibili alcune osservazioni della premessa dello schema del Piano Programmatico quando si fa riferimento alla centralità della scuola quale sede privilegiata di formazione della persona e la necessità di rendere pienamente efficienti i servizi scolastici.
Parimenti è sotto gli occhi di tutti che la scuola italiana presenta consistenti divari con gli altri Paesi europei in riferimento agli esiti scolastici e se, come dice il Ministero, ciò è dovuto a forme di disinteresse da parte degli alunni, a demotivazione e stanchezza del personale etc, dovrebbe portare a ben altre conclusioni che a quelle dei provvedimenti in corso e del Piano stesso, che anziché ipotizzare rimedi ai mali denunciati, modulando meglio verso questo fine le risorse esistenti, prevede soluzioni quali: tagli al personale, alle ore di insegnamento alla durata dell’orario scolastico, etc.
Va inoltre ricordato che un’offerta formativa qualificata ed incisiva sul territorio non può non tener conto delle specificità demografiche orografiche e culturali dei piccoli Comuni che in Italia sono ben 6000, alcuni dei quali si trovano inoltre nelle isole.
Parlare in modo astratto di numeri in materia di alunni significa spesso eludere il significato stesso di “diritto all’istruzione” e di “qualità formativa”. Se, come afferma il piano programmatico ministeriale, le deroghe alle regole numeriche del dimensionamento sono diventate la norma e non l’eccezione forse bisogna meglio collegare la norma con la realtà.
Ci sono paesi che pur non essendo “di montagna” ne hanno tutte le caratteristiche in termini economici, di servizi e di infrastrutture. Aree in cui la popolazione scolastica si è talmente diradata che il rispetto dei numeri imporrebbe la gestione congiunta di decine di scuole di ordine diverso.
L’innalzamento del numero minimo di alunni per classi potrebbe comportare la chiusura di scuole la cui utenza si troverebbe a gravitare su edifici limitrofi inadeguati sul piano edilizio, senza contare il problema socio-culturale, ancor prima che economico, della chiusura della scuola in tanti piccoli Comuni. Così come non può essere trascurata la difficoltà di gestire il trasporto scolastico per un’utenza di diverse fasce d’età da parte di Comuni che spesso non sono dotati neanche di scuolabus.
Rilevante comunque in merito ad una necessaria riorganizzazione della rete scolastica è il rispetto delle competenze dei soggetti istituzionali; come già accennato la materia è infatti trasferita e non appare avocabile.
Non è la prima volta che il Ministero quando pensa ai risparmi ricorre alla eliminazione del docente e allo spostamento della classe in un’altra scuola, dovendosi poi ricorrere al trasporto scolastico con costi ben più elevati del risparmio ottenuto e, soprattutto a carico dei Comuni.
Sarebbe stato meglio concordare le modifiche necessarie per avviare la sperimentazione prevista nella finanziaria precedente, che rispettando le competenze dei vari soggetti avrebbe potuto ugualmente razionalizzare l’esistente.
ALCUNI PROBLEMI DI MERITO
Scuola dell’Infanzia
La proposta di introduzione di un orario obbligatorio anche solamente nella fascia antimeridiana confligge, nella nostra esperienza di amministratori, con le richieste delle famiglie, soprattutto nelle regioni del centro-nord a maggiore diffusione della scuola infanzia e dell'occupazione femminile; se la scuola statale, già gravemente carente nella copertura prevista dai parametri europei, diminuisce il tempo scuola è evidente che le famiglie si rivolgeranno ad altri gestori per avere risposte alle loro esigenze, dal privato alle scuole paritarie comunali.
E' noto l'ingente investimento dei Comuni in questo campo, sia dal punto di vista della qualità educativa che dell'entità dell'offerta, come pure dello sforzo per ridurre al minimo il contributo economico delle famiglie a fronte di rette elevate nelle paritarie private; ci si chiede quindi con quali risorse i Comuni, già duramente provati dalle passate e presenti scelte economiche dei Governi nazionali, potranno far fronte ad un aumento delle richieste .
A ciò si deve aggiungere una valutazione, non ideologica ma legata al sapere accumulato da decenni dalle scuole infanzia comunali, il cui modello in alcune realtà è portato ad esempio a livello internazionale, sulla validità pedagogica ed educativa di un tempo scuola così ridotto per bambini molto piccoli come anche dell'ipotesi di un insegnante unico, si rischia in questo modo che, anche a fronte dei profondi mutamenti delle capacità di apprendimento in questa fascia di età e della tipologia e dei bisogni delle famiglie, la scuola per l'infanzia torni ad essere un servizio di custodia, nemmeno tanto efficace visto il tempo ridotto.
Inoltre l'aprire le sezioni tradizionali anche ad alunni sotto i tre anni, introducendo un anticipo fuori da ogni contesto pedagogico, comporterebbe una minor qualità del servizio e un aumento di spesa per i Comuni che dovrebbero garantire spazi per usi diversificati (zona riposo, cambio, etc.), senza trascurare la dequalificazione didattica che si verrebbe a produrre dovendo gestire bambini troppo piccoli insieme a quelli previsti dall'attuale normativa e senza alcun accordo, tra Ministero ed Enti locali come peraltro avvenuto in precedenti occasioni, nelle quali erano state concordate una serie di condizioni indispensabili per procedere inoltre in via sperimentale.
L’anticipo nella scuola dell’infanzia è stato già sperimentato in accordo con l’Anci, nell’a. sc.2002/2003 e in relazione a tale sperimentazione erano stati individuati alcuni requisiti qualitativi irrinunciabili.
Tali requisiti indispensabili per una corretta accoglienza di bambini piccoli possono essere così sintetizzati: la possibilità di formare sezioni con età omogenea, con un rapporto bambini-educatori, rispettoso della legislazione regionale per i servizi alla prima infanzia, la disponibilità di locali, servizi ausiliari e servizi igienici idonei; l’assenza di liste d'attesa per l’iscrizione alla scuola dell’infanzia; l’adeguamento del servizio mensa ai parametri nutrizionali legati all'età; la garanzia del sostegno ai disabili; lo studio di un diverso modello organizzativo; la valutazione, anche economica, delle esigenze strutturali.
Proprio sulla base di tali sperimentazioni è stata attivata dal Ministero una forma di ampliamento del servizio della scuola dell’infanzia realizzato con le Sezioni Primavera che accolgono i bambini dai due ai tre anni in contesto fortemente protetto e concordato, il cui finanziamento i Comuni ritengono tuttora necessario, affinché sia garantita la prosecuzione dell’iniziativa.
Allo stesso modo l’ANCI chiede rassicurazioni circa il finanziamento per la costruzione e gestione di asili nido.
SCUOLA PRIMARIA
Per quanto attiene al docente unico cui affidare classi a 24 ore, si confermano le preoccupazioni già espresse dall’ANCI negli emendamenti presentati al decreto Gelmini. (documento allegato)
Si ribadisce la convinzione che un tema del genere non può essere trattato con un provvedimento d’urgenza, peraltro volto al contenimento della spesa pubblica, senza gli approfondimenti ed i confronti dovuti. In ogni caso, la definizione dei piani di studio, degli orari, dei limiti di flessibilità interni nell'organizzazione delle discipline, è demandata dall’art. 7, comma 1, lettera a), della legge 28 marzo 2003, n. 53, a regolamenti di delegificazione che, a norma del comma 2 dello stesso articolo, devono essere definiti “previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome”.
Oltre a quanto sopra, si rileva l’ambiguità della formulazione adottata: “ le istituzione scolastiche costituiscono…” che non permette di comprendere se ci si trovi di fronte ad un obbligo o ad una facoltà. Mentre non appare per nulla certo che, laddove ve ne sia la richiesta da parte delle famiglie, di formare classi funzionanti mediamente 24 ore settimanali, a queste si affiancheranno le classi funzionanti secondo gli attuali modelli organizzativi con il tempo prolungato e tempo pieno. Per non parlare dell’assicurazione da parte del MIUR di garantire l’assegnazione del numero necessario di docenti, laddove nella classe siano presenti alunni con disabilità.
E’ evidente che il privilegiare l'orario di 24 ore settimanali con docente unico mette in crisi un modello di scuola che, con il sostegno fondamentale degli interventi per il diritto allo studio comunali, assicura una offerta formativa -di competenza delle Autonomie Scolastiche- adeguata sia nella declinazione temporale che soprattutto nell'articolazione pedagogica a bisogni di apprendimento estremamente complessi e diversificati.
Come potranno le scuole esercitare la loro competenza sull’autonomia organizzativa- art. 21 della legge 59/97, se l’organizzazione viene già predefinita per legge?
In tutto il Paese cresce la richiesta di tempo pieno, non si comprende come con le norme proposte questo verrà garantito. E’ evidente che non potrà essere richiesto ai Comuni di supplire, senza risorse aggiuntive, a carenze e ad attività pomeridiane ed integrative e che in ogni modo non potranno richiamare passate forme di doposcuola.
Non è poi accettabile senza una concertazione sulle risorse la formulazione prevista al punto 2) del Piano, relativo alla “Riorganizzazione scolastica” dove si dice che gli Enti Locali provvederanno con azioni mirate a trasporti, adeguamento delle strutture edilizie, ecc..
Come già accennato in premessa, poiché nella scuola dell’infanzia, nella primaria e nella secondaria di primo grado è previsto un aumento degli alunni per classe, va ricordato che i Comuni stanno provvedendo alla messa a norma degli edifici scolastici secondo i parametri oggi vigenti e le classi sono spesso già al limite della capienza. Se il numero massimo deve essere raggiunto già al momento delle iscrizioni, le zone ad alta densità migratoria avranno il problema dell'accoglienza obbligatoria, degli alunni in arrivo ad anno scolastico iniziato, che andranno a gravare su classi già al limite e spesso con presenza di 2-3 alunni disabili. Come potranno essere previsti ulteriori adeguamenti, se gli stanziamenti sono sempre più scarsi?
DIMENSIONAMENTO
Va ricordato che già da tempo il D.Lgs. 112/98 ha trasferito a Comuni e Province, ciascuno per le scuole di propria competenza, i compiti e le funzioni concernenti, tra l’altro, l’istituzione, l’aggregazione, la fusione e la soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione e la redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche.
Pertanto, mentre sui criteri proposti dovrebbe formalizzarsi un’intesa in tempi utili e adeguati all’adozione di provvedimenti condivisi, per quanto riguarda i prefigurati Regolamenti operativi, si dubita fortemente che essi possano essere assunti su tale specifica materia, che trasferita dal D.L.gs 112/98, ha poi avuto conferma nella sua titolarità, dalla modifica della Costituzione, legge 3/2001.
Non appare dunque accettabile per un confronto rispettoso delle competenze, la formulazione dell'art.3 del ddl di conversione in legge del dl recante disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria utilizzato, curiosamente, come contenitore normativo di una questione, il dimensionamento delle istituzioni scolastiche, che i Comuni ritengono debba essere oggetto di intesa in Conferenza unificata poiché il DPR 233/98 prevede che il dimensionamento deliberato dalle Regioni sia proposto dalle Province sentiti i Comuni.
Se obiettivi e tempi del dimensionamento vengono imposti dal Governo su proposta del Ministro delle Finanze pena diffida e commissariamento, non si comprende dove sta la valutazione che i territori sono chiamati a fare rispetto ai bisogni di istruzione dei territori stessi e la loro autonomia decisionale. Tutto ciò mentre si discute di federalismo, sussidiarietà e autonomia dei diversi livelli dello Stato.
EDUCAZIONE E ISTRUZIONE DEGLI ADULTI
Negli ultimi anni le sempre più ampie esigenze della popolazione di recupero nell’età adulta di saperi e competenze è come è noto stata soddisfatta esclusivamente dai Comuni che sotto la forma di Educazione degli Adulti hanno sopperito alla carenza di una legislazione nazionale, assicurando anche una integrazione e una inclusione sociale, con la scolarizzazione degli stranieri adulti. Solo recentemente il Ministero con l’Istruzione degli adulti ha aggiunto un tassello all’ordinamento, che però non può essere utilizzato per scardinare l’esistente.
Sembra infatti in questo campo particolarmente necessaria la concertazione con i Comuni cui è in capo l'Educazione degli Adulti, affinché i criteri per la determinazione degli organici previsti dal piano programmatico non si trasformino nella sostanziale chiusura generalizzata dell’apprendimento non formale, lasciando in essere soltanto l’istruzione formale.
Si evidenzia pertanto la opportunità di chiarire il proseguimento dell’attività dei moduli e dei corsi non finalizzati al conseguimento di un diploma (e quindi non ordinamentali?) che rispondono a bisogni sociali estremamente importanti, come per esempio l'alfabetizzazione dei lavoratori stranieri, che vanno invece sostenuti con la certificazione delle competenze acquisite.
Non è soltanto l’istruzione formale infatti che influisce a tempi medio - lunghi sul sistema generale dell’economia e su quelli specifici sia dell’occupazione che della coesione e integrazione sociale. Accanto alle prospettive immediate di occupazione derivanti dall’istruzione, va ricordato e rispettato quel corredo di capacità e potenzialità che rendano possibile gestire positivamente la variabile e imprevedibile mutazione della società derivante sia dalla perdita di lavoro di un numero sempre più ampio di individui che dalla massiccia immigrazione cui sono sottoposti i nostri territori.